Scheda film
Regia: Renzo Martinelli
Sceneggiatura: Renzo Martinelli e Valerio Massimo Manfredi, con la collaborazione di Giuseppe Baiocchi
Fotografia: Fabio Cianchetti
Montaggio: Tommaso Feraboli
Scenografie: Rossella Guarna
Musiche: Roberto Cacciapaglia
Suono: Radu Nicolae e Maurizio Di Coste
Italia/Polonia, 2013 – Storico – Durata: 120′
Cast: F. Murray Abraham, Enrico Lo Verso, Alicja Bachleda Curus, Piotr Adamczyk, Matteo Branciamore, Marius Chivu, Antonio Cupo
Uscita: 11 aprile 2013
Distribuzione: Microcinema
Sangue da Oriente
Non è un caso che Renzo Martinelli abbia scelto di aprire la sua ultima fatica dietro la macchina da presa prendendo in prestito una delle frasi più emblematiche pronunciate dallo storico francese Marc Bloch: «L’ignoranza del presente nasce fatalmente dall’incomprensione del passato». Filmografia alla mano, il suo cinema ha infatti rivolto lo sguardo quasi del tutto verso il passato, con l’intento di rievocare lezioni scritte nel tempo, spesso nel e con il sangue, al fine di far comprendere appieno alle platee di turno che gli errori che l’uomo continua imperterrito a compiere nel presente e le colpe delle quali si macchia ancora oggi hanno le rispettive fondamenta nei tempi che furono. Dunque, quelle parole sintetizzano alla perfezione il pensiero e la linea autoriale portata avanti dal regista lombardo in quasi vent’anni di carriera cinematografica, inaugurata nel 1994, dopo una lunga gavetta trascorsa a dirigere spot per note marche e videoclip per celebri cantanti del panorama italiano, con Sarahsarà e proseguita fino all’11 aprile 2013, data di uscita nelle sale di Undici Settembre 1683. Una linea autoriale, la sua, trasferita nel bene e soprattutto nel male in nove pellicole, nelle quali si è andata delineando un’aspirazione ben precisa che lo ha portato e lo continua a portare (il suo prossimo progetto è un film inchiesta su Ustica) a toccare temi sociali e irrisolte questioni storiche attraverso contenuti e argomentazioni via via sempre più impegnativi. Il risultato è un corpus che film dopo film ha perseguito un’idea chiara di impegno civile e in primis di ricerca di una o più verità storiche negate, occultate o ancora peggio dimenticate. Un progetto che vuole avvicinare (o almeno prova a farlo) lo spettatore alla storia con la “S” maiuscola, sfruttando gli strumenti a disposizione della Settima Arte. Lodevole non c’è che dire, meritevole di attenzioni e di sostegno, peccato che i buoni propositi dichiarati da Martinelli non trovino un’adeguata espressione drammaturgica, tanto nel modo in cui i temi sollevati vengono trattati, quanto il modo in cui quest’ultimi vengono narrati. Ciò dipende sostanzialmente dall’approccio alla materia avuto in questi anni dal regista lombardo, caratterizzato di volta in volta da una retorica esibita, da un’enfasi superflua, da una serie di reticenze ingiustificate e da chiare manipolazioni degli eventi.
In Undici Settembre 1683 tutti questi mali genetici vanno a confluire, penetrando nel dna drammaturgico e tecnico-stilistico di un’opera che racchiude in sé i difetti e i limiti atavici di quel cinema che punta in alto, per poi accorgersi di non essere capace di sostenere fino in fondo le aspettative e le idee di partenza. In tal senso, le crepe nel progetto vanno ricercate direttamente alla radice, con una sceneggiatura che, nonostante il contributo di Valerio Massimo Manfredi, mette ancora una volta a nudo l’assenza di una linea coerente nel racconto e nell’architettura drammaturgica, incerta su quale strada sia più giusta da percorrere, tanto che ci si trova al cospetto di un vulcano che erutta sullo schermo brandelli di spettacolo, cronaca, storia e romanzo. Il tutto appesantito da interventi didascalici e dimostrativi che la scrittura di Martinelli non riesce a scrollarsi di dosso sin dai tempi di Porzus, ricostruzione sostanzialmente corretta ed esauriente dell’eccidio del febbraio 1945 e delle sue cause, che soffre però di uno squilibrio dettato dalla presenza di rari passaggi incisivi, retoriche scene-madri e invenzioni di turgido lirismo simbolico. La stessa spada di Damocle che pesa sui lavori successivi, a cominciare proprio da Vajont, passando per Piazza delle Cinque Lune, Carnera e Il mercante di pietre, simboli incontrovertibili di un accumulo di dietrologia che troverà la sua massima espressione in Barbarossa. Ed è con quest’ultimo kolossal storico che Undici Settembre 1683 condivide in tutto e per tutto il podio della pochezza.
Vanificato l’interessante spunto narrativo di partenza che getta più di un’ombra sulla coincidenza fatale di date (l’11 settembre 2001 con l’Oriente che sferra ancora una volta un attacco all’Occidente), il film porta sullo schermo un evento di indubbia portata e peso storico, ossia il tentativo sanguinario di assedio alla fortezza di Vienna da parte delle truppe turche, respinto con un costo ingente di vite umane dalla Lega Santa grazie all’intervento divino di un frate proprio in un tragico 11 settembre del 1683. Peccato che si finisce a fare i conti nient’altro che con uno “show” bellico dove è il tentativo di spettacolarizzazione a farla da padrona. Al suo cospetto non può non ritornare alla mente quanto fatto da Luc Besson nella personale rivisitazione di Giovanna d’Arco, con la quale è possibile intercettare assonanze di scrittura, ma non di certo di messa in scena che rappresenta l’altro grosso tallone d’Achille della pellicola di Martinelli. Pur non avendo grande respiro, ad esempio, le sequenze di battaglie portate sullo schermo dal collega transalpino sono spettacolarmente riuscite con qualche trovata tattica originale che non dispiace affatto, a differenza di quelle mostrate in Undici Settembre 1683 che soffrono spesso di una mancanza di credibilità legata alla falsità di quanto mostrato (vedi il primo tentativo di assedio con cannoneggiamento turco sulle mura di cinta di Vienna). Il regista italiano si affida per l’intera durata della pellicola a posticci effetti visivi che appesantiscono la visione, mortificandola, ma soprattutto a uno stucchevole gusto visivo plasmato sull’estetica pubblicitaria che rende tutto artefatto e irritante (vedi l’uso spasmodico delle immagini a rallentatore). A chiudere il cerchio un cast spaesato e personaggi scritti con lo stampino.
Voto: ***
Francesco Del Grosso
Alcuni materiali del film: