8 Mile Road è la strada che segna il confine amministrativo tra il centro ed i sobborghi settentrionali dell’area metropolitana di Detroit. Lunga oltre 30 chilometri e larga 8 corsie, quest’arteria, il cui tracciato venne disegnato nel 1785 per servire come base per le mappe dell’intero territorio del Michigan, è percorsa ogni giorno da 70000 automobili. Ai suoi bordi, che Jimmy osserva attraverso i finestrini di un autobus semivuoto, si susseguono edifici abbandonati ed attività commerciali di povera qualità, spacci di liquori, bische, riparazioni di automobili, clubs di strip tease.
Oltre a indicare un luogo realmente esistente, 8 Mile è anche una metafora che connota tutto il centro di Detroit, un tempo sede delle più importanti industrie automobilistiche americane, e che negli ultimi trent’anni è stato devastato dalla ristrutturazione dell’economia. Al suo interno, i neri costituiscono più dell’80% della popolazione, mentre, nella adiacente municipalità di Warren, oltre il 90 % degli abitanti sono bianchi. L’impenetrabilità tra le due zone e le loro diverse condizioni sono evidenti, ma trattate senza schematismi.
A differenza di altri film ambientati nei ghetti delle città americane, il messaggio di 8 Mile è più complesso. Il degrado non è solo effetto del razzismo, ma della struttura economica e della frammentazione amministrativa. Detroit ha un sindaco nero e democratico, il che non gli impedisce di perseguire una politica di grandi opere e agevolazioni fiscali nella inutile speranza di competere con le altre municipalità e attirare posti di lavoro.
Il paesaggio urbano è mostrato con intelligenza e il criterio di scegliere luoghi che oggi vengono utilizzati in modo diverso da quello originario – un’operazione che secondo il regista è la stessa che fanno i tipi come Jimmy con la loro musica – ci trasmette il costante senso di insicurezza del protagonista. Dal Chin Tiki, un vecchio ristorante in stile polinesiano, al Michigan theater, costruito nel 1926 su progetto dei fratelli Rapp, ed ora usato come parcheggio multipiano, molti sono i simboli di un passato che, seppure non remoto nel tempo, appartiene ad un’altra era. Il più emblematico è sicuramente lo stabilimento dove lavora Jimmy, un edificio degli anni ’20, disegnato da Albert Kahn, il più noto progettista di complessi industriali, che è stato parzialmente riaperto nel 1993 con il nome di New Detroit Stamping ed ora produce pezzi di ricambio per la General Motors.
Altrettanto interessante è il territorio che si estende immediatamente al di là di 8 Mile, abitato da bianchi a basso reddito, e che funziona come una sorta di zona cuscinetto fra Detroit ed i sobborghi benestanti.
Curtis non ci mostra neri che cercano di introdursi nelle zone bianche, ma un bianco che passa il confine e assieme al nero realizza un progetto di vita altrimenti impossibile. In questo modo, si trasforma anche il significato di 8 Mile, che non è più solo un limite fisico, ma la barriera fra Jimmy, un “genio senza fiducia in se stesso”, e quello che vuole diventare, e che riuscirà a diventare solo tornando dentro il cuore della città.
Paola “brezza”