Scheda film

Regia e Fotografia: Daniele Ciprì
Soggetto e sceneggiatura: Alessandra Acciai, Daniele Ciprì, Massimo Gaudioso e Miriam Rizzo
Montaggio: Giogiò Franchini
Scenografia: Marco Dentici
Costumi: Grazia Colombini
Musiche: Pino Donaggio, Zeno Gabaglio
Italia/Svizzera, 2014 – Commedia – Durata: 90’
Cast: Sergio Castellitto, Rocco Papaleo, Valeria Bruni Tedeschi, Jacopo Cullin, Ivan Franek, Teco Celio, Sonia Gessner, Sioux
Uscita: 25 settembre 2014
Distribuzione: Lucky Red

 Colpevole fino a prova contraria

Mentre l’ex fraterno collega di set Franco Maresco si gode la “latitanza” e il Premio Speciale della Giuria della sezione “Orizzonti” meritatamente conquistato con Belluscone – Una storia siciliana alla 71esima Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia, Daniele Ciprì approda nelle sale con la sua ultima fatica dietro la macchina da presa, la seconda in solitaria dopo lo scioglimento consensuale dello storico sodalizio artistico che tanto, tra polemiche e censure, ha lasciato nella storia nostrana. Dieci anni sono trascorsi da quel “divorzio” e da Come inguaiammo il cinema italiano che mise la parola fine alla collaborazione tra i due registi siculi, ma l’eco di ciò che erano riusciti a portare sul grande e piccolo schermo risuona ancora prepotentemente nell’immaginario del nostalgico cinefilo di turno e non solo, tant’è che anche adesso che le loro strade si sono da tempo separate il pubblico e gli addetti ai lavori cercano e inseguono insistentemente una continuità con la loro precedente produzione che non può più avere luogo. E non perché entrambi l’abbiamo rinnegata, al contrario, ma perché è semplicemente irripetibile sotto svariati punti di vista.
C’è comunque da registrare un diverso rapporto dei due cineasti con ciò che è stato: se Maresco tra difficoltà produttive e personali prova comunque a distillare nella sua recente filmografia qualche rimando più o meno evidente (l’uso del B&N, lo stile e la costruzione dei personaggi), Ciprì ha preferito rivolgere lo sguardo verso altro, salvo alcuni riferimenti che sembrano però affiorare nelle sue opere in maniera inconscia o sotto forma di riflessi istintivi. In tal senso, un film come La Buca, ancora di più del precedente È stato il figlio, rappresenta la cartina tornasole di una volontà ben precisa del secondo di rinnovarsi e rinnovare il modo di fare e concepire il suo cinema, passando anche attraverso il lavoro come direttore della fotografia per pellicole di altri colleghi (da Bellocchio a De Maria e Celestini, dalla Guzzanti alla Torre e al duo Grassadonia-Piazza). Infatti, se escludiamo il cinismo con il quale caratterizza i personaggi e le situazioni (vedi l’intera famiglia protagonista dell’opera prima), oppure il disegno astratto fuori dal tempo e dallo spazio delle ambientazioni, la suddetta continuità viene meno.
Distribuita da Lucky Red a partire dal 25 settembre con duecento e passa copie senza alcun passaggio festivaliero, la seconda pellicola scritta e diretta da Ciprì segna un nuovo step nella carriera del regista palermitano. In questa commedia old style in odore di buddy movie racconta la storia di un’involontaria amicizia maschile tra Oscar, avvocato fallito e senza scrupoli, e Armando, ex detenuto che ha scontato venticinque anni di carcere per un reato mai commesso, mantenendo, nonostante la profonda ingiustizia subita, una bontà d’animo impeccabile. A farli incontrare per caso è la vita, rappresentata simbolicamente da un cane randagio, il quale fa in modo che i destini dei due protagonisti si incrocino. Sinossi alla mano, è immediatamente identificabile il tentativo dell’autore di portare sulla carta prima e sullo schermo poi una sorta di favola dai toni surreali che, strizzando entrambi gli occhi alla gloriosa tradizione dei Maestri nostrani (da De Sica a Monicelli e Risi) e ai grandi esponenti della commedia classica a stelle e strisce (Edwards, Wilder, Capra e Lubitsch), guarda si al passato, ma non al proprio portfolio. Una volontà, questa, che si traduce tanto nello script quanto nella messa in scena.
Tra citazioni, omaggi, evocazioni e seguendo filologicamente le lezioni impartite dal sopraccitato cinema, ne La Buca Ciprì affronta temi delicati come l’ingiusta detenzione, l’illegalità e persino quello scottante delle intercettazioni. Per farlo usa i toni e le sfumature della tragi-commedia, mescolando il tutto con una sottotrama mistery introdotta dalle dinamiche giudiziarie che condurranno i due protagonisti alla riapertura del processo che aveva portato anni or sono Armando in prigione. Tali indagini finiscono inevitabilmente con l’avvicinare una coppia composta da personaggi agli antipodi (resa in maniera piuttosto convincente dal duo Castellitto-Papaleo), anch’essa modellata a immagine e somiglianza di quella che oggi, ma soprattutto ieri, animava i plot delle commedie alla quali il regista siciliano fa riferimento. Ed è proprio dalla linea gialla che arrivano le cose migliori del film, a cominciare ad esempio dall’arringa di Oscar alla giuria polare durante il processo. Purtroppo, questo, oltre a consegnare una sufficienza in pagella, non è abbastanza per innalzare il valore complessivo di un’opera che funziona a fasi alterne, a causa di una scrittura che contrappone guizzi e sussulti a cali evidenti, soprattutto dal punto di vista ritmico e dialogico.
Stile, confezione estetico-formale, fotografia e orchestrazioni, consegnano alla platea un lavoro di buona fattura all’insegna del revival e del vintage, ma anche della cura e dell’attenzione rivolta da Ciprì e dai suoi collaboratori nei confronti del dettaglio. In questo caso, però, il dettaglio serve ma non fa la differenza.

Voto: 6

Francesco Del Grosso