Scheda film
Regia: Riahi Brothers
Soggetto e sceneggiatura: Arash e Arman Riahi
Fotografia: Mario Minichmayr, Arash T. Riahi, Arman T. Riahi,
Dominik Spritzendorfer, Olivia Wimmer
Montaggio: Nela Märki
Musiche: Karwan Marouf
Austria/Svizzera, 2013 – Documentario – Durata: 118’
Uscita: 11 Settembre 2014
Distribuzione: Officine UBU
Sale: 4
Le Arti della guerra
Nel “credo” di moltissimi la tattica più efficace da attuare per neutralizzare l’avversario di turno e portare a casa un risultato positivo è da decenni il seguente: “l’attacco è la migliore difesa”. Anni or sono, invece, Gandhi con la sua dottrina basata sulla non–violenza e sull’amore universale consegnava alla storia una delle più grandi lezioni mai impartite sull’unione dei popoli e la non belligeranza. Pur se basate su impostazioni diametralmente opposte e su pesi specifici lontani anni luce (con la prima che non può essere minimamente messa a confronto con la seconda in termini di importanza, di impatto e di valore storici), entrambe le posizioni però trovano i rispettivi fondamenti nelle stategie belliche. Seguendo traiettore differenti, infatti, ci si trova a fare i conti con approcci alla materia che, se accostati, possono dare origini a forme e metodologie di “lotta” pacifica contro qualcosa o qualcuno. E sono proprio quest’ultime, ognuna con i propri caratteri distintivi, le esperienze intorno alle qauli ruota e si sviluppa il baricentro drammaturgico di Everyday Rebellion, il documentario dei Riahi Brothers che approda nelle sale nostrane con Officine UBU (l’11 settembre non è un caso) dopo un fortunato percorso nel circuito festivaliero internazionale: dal Biografilm Festival (Premio del pubblico) all’IDFA, passando per il CPH: DOX di Copenaghen (Premio del pubblico).
Il docu-film scritto e diretto dal duo iraniano esplora il variegato universo dei movimenti di disobbedienza civile che operano in tutto il mondo (da Occupy Wall street alla Primavera araba, dal movimento spagnolo 15 M alle Femen ucraine; a quest’ultime Kitty Green nello stesso anno ha dedicato Femen – L’Ucraina non è in vendita), celebrando il potere delle proteste creative non violente che sono diventate le risposte più concrete alle esigenze di cambiamento e miglioramento della Società odierna. Il risultato è una mappatura che, sottoforma di un mosaico a incastro, palleggia da un’esperienza all’altra con lo scopo di renderle un copus unico. Ne analizza i tratti distintivi con novizia, passione e interesse, ne descrive il dna umano e le spinte propulsive che le hanno generate, ma anche le tattiche adottate da ciascuna di esse per mostrare allo spettatore quanto e cosa si possa fare per rispettare i diritti altrui e abbraciare la causa comune della pace.
Senza alcun dubbio si tratta di un film necessario dal punto di vista informativo, oltre che utile per portare all’attenzione delle platee tanto i movimenti mediaticamente più conosciuti (vedi le Femen o gli Indignados), quanto quelli che, anche se ugualmente importanti, non hanno avuto la stessa visibilità (dal cartoonist Mana Neyestani agli stencil artist Icy&Sot e al coro gospel Reverend Billy). Un viaggio esistenziale e fisico da Madrid a New York che nella sua interezza interessa ma stranamente non emoziona come dovrebbe, vuoi per l’eccessiva lunghezza in termini di durata, vuoi per l’incapacità degli autori di generare un equilibrio nella narrazione corale. Anche se mossi da buoni propositi, i Riahi Brothers si limitano a documentare per poi assemblare, senza supportare e restituire con la medesima efficacia tutte le esperienze che hanno deciso di filmare. L’empatia nei confronti di ciò che viene filmato si avverte solo a folate, dando a Everyday Rebellion una sensazione di frammentazione incontrollata e di discontinuità. Non mancano i passaggi forti e toccanti (vedi il voice over sussurrato in spagnolo), ma sono parentesi isolate disseminate lungo la timeline che non sono sufficienti a tenere a galla l’opera. Ciò che rimane sono solo le tante e nobili intenzioni che hanno mosso i registi e nulla di più. Il resto purtroppo è rimasto cristallizzato da qualche altra parte, magari nella postazione di editing dove il film è stato montato.
RARO perché… è un documentario non del tutto riuscito.
Voto: 5 e ½
Francesco Del Grosso