Scheda film
Regia: Jonathan Teplitzky
Soggetto e Sceneggiatura: Frank Cottrell Boyce, Andy Paterson tratto dal romanzo autobiografico “The Railway Man” di Eric Lomax
Fotografia: Garry Phillips
Montaggio: Martin Connor
Scenografie: Nicki Gardiner
Costumi: Lizzy Gardiner
Musiche: David Hirschfelder
Australia/Regno Unito/Svizzera, 2014 – Drammatico – Durata: 116′
Cast: Colin Firth, Nicole Kidman, Jeremy Irvine, Stellan Skarsgård, Hiroyuki Sanada
Uscita: 11 settembre 2014
Distribuzione: Koch Media
Le cicatrici della guerra e della pace
Ci sono storie che ignoriamo e dopo averle scoperte, grazie al cinema, ci rendiamo ancora più conto di una delle funzioni di quest’arte: farci vedere ciò che ancora non sappiamo e magari, come nel caso de Le due vie del destino, avvicinare alla Storia attraverso una meravigliosa storia d’amore e non solo. Nell’ultimo lungometraggio del regista di A Vampire’s Life (documentario sulla vita della scrittrice Anne Rice), c’è la materia magmatica per eccellenza: vita & morte, un classico – si direbbe – ma, supportato da una storia fortissima, il tòpos può ancora coinvolgere ed emozionare.
Alla base di tutto c’è la vita vera di Eric Lomax (interpretato straordinariamente da Colin Firth), un ufficiale britannico fatto prigioniero nel corso della II Guerra Mondiale e torturato dall’esercito giapponese. Lo vediamo da adulto e i suoi atteggiamenti, il suo modo di (non) vivere ci ricorda le parole di Gadda, anche lui ferito dalla guerra e dalla perdita del proprio fratello. «La tragica orribile vita. Non voglio più scrivere; ricordo troppo. Automatismo esteriore e senso della mia stessa morte: speriamo passi presto tutta la vita. Condizioni morali e mentali disastrose: Caporetto, gli aeroplani, Enrico, immaginazioni demenziali.– è troppo, è troppo» – scriveva Carlo Emio Gadda.
Traslando queste sensazioni, possiamo solo immaginare quello che abbia provato Lomax per una vita intera dopo il trascorso nella “Ferrovia della morte” (tra la Tailandia e la Birmania), ma, come si suol dire, la vita può anche sorprendere e per un uomo che è vissuto per i treni, è proprio lì che accade l’incontro con Patti (Nicole Kidman).
Nel 1957 il film di David Lean, Il ponte sul fiume Kwai, aveva già trattato l’argomento sotto forme più epiche, il regista australiano ha ben in mente l’opera del regista inglese tanto da scegliere di omaggiarlo riecheggiando atmosfere e immagini di Breve incontro (1945) per la messa in scena della storia d’amore tra Eric e Patti.
La struttura del film è molto classica (e forse in questo si sarebbe dovuto osare di più): partire circa quarant’anni dopo quel fatidico 1942, per poi creare un continuo salto tra presente e passato in una sovrapposizione di piani. Il ritmo non regge sempre la tensione che si sarebbe dovuta creare lungo tutta la pellicola; in particolare, per quanto vogliamo essere romantici, la rappresentazione del colpo di fulmine tra l’uomo e la donna ha un po’ il sapore del già visto e cade, talvolta, nella semplificazione.
Nonostante questi difetti, la potenza della storia sostiene il film, merito anche delle rese attoriali di Firth (Lomax grande) e di Jeremy Irvine (Lomax giovane) e del ritratto realistico della banalità del male (le scene di tortura – soprattutto il waterboarding – sono molto forti emotivamente e non tanto per l’esplicitazione, quanto per la paura e lo schiacciamento della dignità umana che esprimono). Con quel silenzio che comunica più di qualsiasi altra parola, Firth ci fa entrare in empatia col suo personaggio che emerge con tutta la sua carnalità e umanità. Ci troviamo di fronte a un uomo che porta sulla pelle e nell’animo le piaghe delle torture e alcuni suoi sentimenti ci risultano quasi giustificabili, ne seguiamo la parabola evolutiva e – senza svelarvela – rimarrete pietrificati di fronte a un cambiamento per nulla scontato. Il film è stato girato in gran parte nei luoghi in cui si è svolta la Storia, sarà suggestione, sarà l’ottima colonna sonora, ma è come se lo spettatore fosse lì fisicamente e alcune battute fanno accapponare la pelle pensando a quello che è adesso quel luogo (meta turistica). Per chi ancora non conoscesse questo crimine contro l’umanità, il libro prima e il film ora permettono di rompere l’oblio.
Tolstòj ci aveva già trasmesso quanto l’amore possa essere salvifico – sia esso inteso tra un uomo e una donna, per se stessi e verso l’altro – con Lomax ne riscopriamo la verità di quest’affermazione.
«Bisogna vivere, bisogna amare, bisogna credere» – Andrej Bolkonskij, Lev Tolstoj: “Guerra e pace”.
Voto: 7
Maria Lucia Tangorra