Bianco, nero e muto.
Nell’era della tecnologia virtuale è ancora possibile emozionarsi per una storia che è composta solo di volti e di silenzio? Se qualcuno pensa che sia impossibile visioni “Juha”, film del finlandese Aki Kaurismaki: posso assicurarvi che si dovrà ricredere. Fin dagli esordi, il più illustre, folle, rappresentate della cinematografia finnica contemporanea, ci ha abituato alla sua “filosofia dell’essenziale”. La sua ricerca di un’astrattezza rarefatta si può dire conclusa: Juha è un film in bianco e nero, muto, con didascalie. Non spaventatevi perchél’umorismo surreale dei personaggi, l’intensità dei loro volti e la capacita chapliniana di generare l’emozione da un semplice battito di ciglia terrà lontana la noia e ci condurrà ad un’astrusa e impietosa riflessione sui reali passi avanti compiuti dal cinema nell’era dell’informatica e del digitale. I modelli seguiti dall’originale regista sono svariati: si va dagli ovvi riferimenti al re del melodramma Douglas Sirk, fino ai francesi Renoir e Godard. Non vorremmo però che il lettore pensasse al film come ad un mero esercizio di stile, zeppo di rimandi e di citazioni del cinema che fu. Non è così: questa pellicola è un piccolo originale gioiello da conservare nel cuore e da portare nel nuovo millennio. E’ la storia di due sposi agricoltori in una Finlandia fuori dal tempo (il regista con ironia accosta ambienti e `toni’ anni 50 ad un forno a microonde!). La loro vita bucolica è serena fino a quando l’uomo della città, il ricco Shemeikka giunge nell’intimità della coppia e corrompe l’ingenua Marja, promettendole ricchezze e ozio. Marja seguendolo verrà invece sfruttata come prostituta. Il tutto si concluderà con il più classico dei finali melodrammatici che non riveliamo per ovvie ragioni. E’ grande la sfrontatezza di Kaurismaki nell’affrontare un film che ripudia ogni contaminazione commerciale, costruendo una storia di silenzi e volti, inquadrati da una rigorosa macchina da presa che sceglie sempre il piano fisso o il campo e controcampo. Il regista meno “trendy” del momento non si ferma qui. Se il ‘900 è il secolo del progresso tecnologico, il decennio appena trascorso è caratterizzato dalla caduta delle ideologie e dall’avanzata di una fastidiosa e melmosa rincorsa al politicamente corretto. In “Juha” possiamo assistere ad un perfetto manifesto del marxismo-leninismo, ispirato da un’attenzione profonda alla classe lavorativa (l’unica interessante per il regista) e da una netta opposizione tra proletari e capitalisti. Questa netta contrapposizione spinge addirittura il regista a difendere (gli indifendibili?) diktat del realismo socialista dalla contaminazione della commerciale produzione degli studio (la prima parte bucolica, agreste, reale contro la seconda metropolitana e menzognera). Il finale del film potrebbe indurci a pensare che, in un’epoca dominata dal mercato, non ci sia più spazio per i sentimenti che non vogliono diventare merce. Proprio il film di Kaurismaki ci da la forza per sognare che non sia ancora così.
Paolo Bronzetti