Recensione n.1
Da un certo punto di vista, la faccenda è semplice.
Giappone, 1865: un gruppo di samurai devono mantenere l’ordine in città per conto dello Shogun, in una situazione politicamente tesa. Arriva un giovane samurai di eccessiva bellezza e tutti perdono la testa (anche letteralmente).
Film estremamente stilizzato (c’è pochissimo pittoresco d’epoca, pochissimo Hokusai, per intenderci), a tratti lento, girato quasi tutto in interni fra uomini vestiti di nero: le passioni divampano oscuro fra reticenze, autoinganni, plateali menzogne e improvvise verità dirette. Se solo alcuni sono esplicitamente innamorati del ragazzo, il sospetto dilaga su tutti e molti dei rapporti interni al gruppo, di comando come di amicizia, finiscono per apparire segnati dall’omosessualità – nessuno sembra del tutto indenne. Il giovane samurai stesso è rigorosamente opaco, le sue motivazioni contraddittorie. E’ solo usato oppure usa gli altri anche lui? E’ di famiglia ricca ed è, come dire, un volontario. Quando gli chiedono perché risponde, per avere il diritto di uccidere. Ma non si capisce se sia freddo e intelligente o solo trascinato da motivi oscuri anche per lui.
In definitiva, è un film di cui si capisce la metà. Si intuisce una enorme quantità di sottintesi.
C’è per esempio la situazione politica. Il 1865 si trova in mezzo alle confusissime vicende che portarono alla fine dello shogunato ed alla restaurazione imperiale. Si fa spesso riferimento ad eventi probabilmente famosissimi. Può essere bene sapere che i samurai del film stanno con la fazione perdente e probabilmente faranno una brutta fine ed il clima di morte che si respira sia un’anticipazione del loro destino. Si respira in un certo senso un’aria di Salo’ – mi chiedo se non vi sia un riferimento a Pasolini.
(Brevissimo riepilogo: gli Shogun Tokugawa governavano il Giappone da 250 anni, l’Imperatore era privo di qualsiasi potere. Cardine dello shogunato era l’esclusione degli stranieri. A metà dell’800 americani ed inglesi impongono al Giappone di aprire i suoi mercati. Rimasto tecnologicamente al 1600 questi non può opporsi: apre i porti al commercio occidentale. Scoppia la rivolta xenofoba contro la debolezza dello shogun: ci si propone di ridare il potere all’Imperatore. Dopo varie complicate vicende, lo shogunato è abolito, l’Imperatore restaurato ma i vincitori cominciano una radicale occidentalizzazione del Giappone per poter meglio combattere gli Occidentali. La nazione ancora medievale di questo film dopo 40 anni è una potenza industriale e militare in grado di sconfiggere sia la Cina che la Russia).
Ben più complicati da districare sono altri dettagli, di cui non si capisce se debbano far ridere o rivelarci qualcosa di significativo o profondo. Il culmine è rappresentato da un vecchio samurai piuttosto ridicolo, di cui tutti rilevano l’incapacità: a un certo punto racconta al giovane un lungo apologo su patate, spiriti delle patate e volpi furbe perché pagano il loro sake con soldi e non con foglie – forse sta solo cercando di comunicare il motivo per cui ha una posizione così importante malgrado la sua incapacità.
Ma non si capisce. Ci sono parecchi momenti del genere, col risultato che si ride abbastanza spesso, talvolta sicuramente a proposito (le didascalie in giapponese lette dal narratore sono sicuramente ironiche), talvolta forse no.
Ci sono anche i numerosi combattimenti col bastone, quasi tutti svolte importanti della storia: vengono commentati dagli spettatori e sembrano rivelare aspetti del carattere dei combattenti, ma naturalmente non siamo in grado di giudicare da noi stessi (almeno, io non lo sono) e dobbiamo fidarci di quanto ci viene detto.
Kitano, naturalmente, è lì per rassicurare lo spettatore occidentale che ha cominciato ad apprezzarlo – diventa sempre più chiaro quanto i film di Kurosawa fossero pesantemente occidentalizzati.
Stefano Trucco
Recensione n.2
Dalla notte dei tempi l’uomo ha deciso di sopravvivere all’animale che e’ in lui costruendo delle regole in cui incanalare le pulsioni che lo attraversano. La storia ha insegnato che i maggiori divieti, dietro a un’apparenza di ordine, hanno gonfiato le pulsioni rendendole malsane e gravandole di un opprimente senso di colpa.
Il contrasto tra le regole, il potere e la natura intima dell’uomo e’ alla base del nuovo film di Nagisa Oshima, che torna al cinema dopo quattordici anni di inattività e continua a colpire, questa volta senza scandali, tessendo una trama sottile intorno a un gruppo segreto di samurai. Un microcosmo in cui la serenità ha bisogno di regole ferree per contenere l’uomo e la tangibile inquietudine finisce con il trovare sfogo sul nuovo adepto Nako. Il giovane e’ tanto femmineo nell’aspetto quanto violento nella determinazione di diventare una perfetta macchina da guerra e la sua psicologia inafferrabile e’ sicuramente il motore dell’azione. Tutti sono irrimediabilmente attratti da lui, tutti lo vorrebbero possedere e lui si concede, alimentando proprio ciò che maggiormente si teme: il disordine. Il regista rappresenta questa distanza tra l’uomo e la sua natura attraverso una messa in scena rigorosa e fredda, non concedendo allo spettatore alcun coinvolgimento emotivo ma immergendolo in un mondo tanto lontano per cultura ed epoca quanto vicino ed attuale per le dinamiche psicologiche che lo animano.
La sceneggiatura a volte sembra dire troppo, altre volte pare tacere più del necessario e gli interpreti non sempre sono specchio del loro travaglio interiore. Di grande atmosfera le musiche di Sakamoto e davvero forte, nel suo simbolismo, l’immagine che chiude il film, unica concessione lirica in grado di sintetizzare in modo poetico il pessimismo di fondo sulle capacità dell’uomo di arrivare a una chiarificazione pacifica con se stesso.
Luca Baroncini de “Gli Spietati”
Recensione n.3
Kyoto, 1865: il giovane e bellissimo Kanô entra in una scuola di samurai e il suo perverso fascino da giovane efebo finisce per scatenare gelosie e rivalità: di lui si innamora il compagno Tashiro e un maturo guerriero che viene, però, trovato morto. Dopo Ecco l’impero dei sensi, Oshima (che nel frattempo ha lavorato in televisione ed è guarito da una grave malattia) ha placato un po’ il suo esplicito sguardo erotico e, con una sfrontatezza delicata e mai volgare – ma anzi piena di rispetto e pudore – che sarebbe inutile ricercare in un film occidentale, sonda l’omosessualità maschile e il sadismo dell’amore in una pellicola formalmente stilizzata e rigorosa, tutta tessuta di primi piani e lente carrellate: un ritmo che potrebbe infastidire o annoiare lo spettatore distratto e impaziente, ma per chi è abituato a un cinema d’autore lo sforzo non è così sovrumano e in ogni caso è ampiamente ripagato. Assolutamente imperdibile l’ultima inquadratura del ciliegio che cade, avvolta in una fotografia magica e fuori dal tempo, simbolo dell’universale malizia e del fascino seducente del Male, che spesso si nasconde dietro le cose più belle e in apparenza degne di fiducia. Kitano, che torna dopo anni a recitare per Oshima, avrebbe forse potuto dare di più, ma la sua aria menefreghista è comunque essenziale per l’impeccabilità del film. Di tabù c’è soltanto il tema (per la cultura europea, poi), non certamente la messinscena. Il doppiaggio è finalmente adeguato per un film giapponese, ma la voce che segue nel loro corso le didascalie (lasciate in ideogrammi) è semplicemente atroce. Titoli internazionali: Taboo o Tabou. Una produzione Shochiku, riconoscibile dal logo sul cui sfondo campeggia un vulcano innevato (il Fujiyama o Monte Fuji). DRAMM 101’ * * * ½
Roberto Donati