Jimmy Bly e’ un giovane pilota emergente di formula Cart, che lotta per il titolo mondiale contro il campione Beau Brandenburg. Carl Henry (Burt Reynolds), team manager di Bly, decide di aiutare Jimmy affiancandolo a Joe Tanto, ritiratosi da anni dalle corse in seguito a una vicenda non completamente chiarita.
Parlare di Driven equivale a parlare del nulla, cinematograficamente parlando. E forse non e’ un caso che l’unico altro film veramente brutto di Renny Harlin (Cliffhanger), che solitamente riesce a fondere con bravura azione e divertimento, sia stato sceneggiato come questo da Sylvester Stallone. Perchè l’etica-estetica stalloniana qui e’ presente in tutta la sua banalità, in una continua ricerca di quelle tematiche che, anche se con Rocky gli avevano valso l’Oscar, Stallone non e’ mai riuscito a rendere a rendere meno che banali. Già il fatto che il film faccia un miscuglio tra Formula Cart e Formula 1 (Burt Reynolds e’ ovviamente modellato partendo da Frank Williams, e il fatto che il campione abbia un cognome tedesco non e’ certo casuale…), per via del fatto che Stallone non e’ riuscito a trovare nell’ambiente della Formula 1 la collaborazione che aspettava, e’ esemplificativo della poca cura con cui la pellicola e’ realizzata: ma in fondo questo non e’ che una piccola goccia d’acqua nel mare dello squallore del film. La storia e’ inesistente, e in un crescendo di “tarallucci e vino” ci presenta personaggi che alla fine, a modo loro, risultano tutti buoni. La musica e’ utilizzata per coprire i momenti morti del film, riuscendo così a risultare più irritante di quello che normalmente sarebbe. Gli attori sono o giovani sconosciuti dalle capacità recitative di un attore da soap opera, oppure vecchie mummie la cui capacità espressiva si e’ affievolita nel corso degli anni (non che Stallone ne abbia mai avuto tanta, comunque). Alcune scene di incidenti sono girate abbastanza bene, anche se la Computer Grafica spesso si vede in maniera esagerata. Ma il fulcro del film, la chicca che riassume in maniera perfetta la sua sciattezza, sono le scene di sorpasso, che puntualmente si svolgono nella stessa, sconcertante maniera: le due macchine sono una dietro l’altra, primo piano sui pedali della macchina dietro con il pilota che cambia marcia e/o accelera, ed avviene il sorpasso; come se, come nei vecchi cartoni animati giapponesi di corse automobilistiche (a cui si poteva perdonare l’ingenuità degli anni ’70), i piloti andassero in quinta, e per sorpassare gli bastasse ingranare la sesta e accelerare…

Graziano Montanini