Recensione n.1
Baz Luhrmann è un idiota o un genio o ambedue? Non lo so.
Nella grande scena in cui entriamo per la prima volta al Moulin Rouge le ballerine e gli uomini in frac ballano un mix di Voulez Vous Cocher Avec Moi e Smell Like Teen Spirit e qualcos’altro.
Poi arriva Satine che fa Diamonds are a Girl Best Friend con un inserto di Material Girl e zac! scatta il ricordo: il video di Material Girl era un omaggio proprio alla Marilyn di quel film. E perchè il compositore è identico a Michael Foucalt e tutti i suonatori dell’orchestra pure? Ma perchè Foucault è l’unico filosofo francese del XX secolo citato
in una canzone di Prince (Sign of the Times)! Luhrmann da l’idea di non aver visto più di venti film in vita sua ma migliaia di video musicali. Però deve aver visto anche la Traviata e la Boheme e probabilmente dei quadri di Sargent e Boldini (curiosamente, non di Toulouse Lautrec che qui, interpretato da John Leguizamo da l’idea di non aver mai toccato un pennello) e naturalmente le fotografie di Pierre+Giles. Frasi: Talent borrow, genius steal. E inoltre: il buon gusto è il peggior nemico della grande arte (credo che sia di Picasso).
Baz Luhrmann è del tutto privo di qualsiasi forma di buon gusto. Ci sono momenti di idiozia così sublime da raggiungere il genio. Ad ogni nuova canzone (Roxanne! Like a Virgin! The hills are alive with the sound of music…), ad ogni nuova inquadratura demente (Zoom! Dissolvenza! Stop and Go!), ad ogni luogo comune detto con tanto sentimento (l’Amore Vince Ogni Ostacolo! Ma lo Spettacolo Deve Continuare!) ci diciamo no, non può farlo! E invece lo fa.
E quando arriva il grande spettacolo teatrale d’ambiente indiano, scopriamo la vera influenza: i film indiani commerciali, quei drammoni musicali in cui tutti i generi si confondono e sovrappongono…
Una potenza visiva demente e, apparentemente, nessuna forma di pensiero dietro. Non si riesce a capire se ci sia dell’ironia o no. Credo di no ma non ne sono sicuro. Non lo so. Forse è davvero un genio, cioè qualcuno che non ha bisogno dell’ironia. O forse è davvero un’idiota. Nicole Kidman meravigliosa, ma ormai lo diciamo sempre, è un dato assodato (e recentemente, The Others…).
Ewan McGregor, lontano dalla castrante direzione di Lucas, si conferma affascinante e bravo (canta e balla discretamente). Menzione speciale per il mitico Jim Broadbent nella parte dell’impresario. E per non dare l’impressione sbagliata: mi è piaciuto immensamente. Solo che
non ho le idee chiare su che razza di film sia.
So you can’t stop the Children of the Revolution… (T.Rex/Violent Femmes).
Stefano Trucco
Recensione n.2
Parigi, 1899: Christian (Ewan McGregor), un giovane scrittore bohemienne, incontra per caso Toulouse Lautrec (John Leguizamo), che lo convince a presentare le sue proposte per uno spettacolo teatrale a Satine (Nicole Kidman), la stella del Moulin Rouge. Ma Satine scambia Christian per il Duca di Monroth, a cui deve concedersi per convincerlo a finanziare il teatro. Questo incontro cambierà la vita di tutti…
Rispetto allo scorso anno, avaro di buoni film, questo inizio di stagione cinematografica e’ incredibilmente ricco di ottimi titoli. “The others”, “Fantasmi da Marte”, “La nobildonna e il duca” e adesso quella che e’ la vera sorpresa dell’anno: “Moulin Rouge”.
Al ritorno dal Festival di Venezia non riuscivo a spiegare perche’, sebbene ci fossero alcuni ottimi film, il festival fosse sottotono: il motivo e’ proprio che mancavano titoli al livello di “Moulin Rouge”, da amare alla follia, eccessivi, strepitosi. E pensare che, quando i pochi fortunati che avevano potuto vederlo già a Cannes, mi dicevano che era molto più eccessivo di “Romeo+Giulietta” stentavo a credergli, ritenendo impossibile superare quegli eccessi.
“Moulin Rouge” e’ un capolavoro e proietta Baz Luhrman, che già aveva diretto due ottimi film, nell’olimpo dei registi che rimarranno nella storia del cinema. Il ritmo e’ trascinante: divertentissima e mai noiosa la parte iniziale, ricca di invenzioni linguistiche e narrative e in molti momenti quasi cartoonistica, struggente la seconda parte, dove il divertimento lascia spazio al pathos. Le scenografie sono barocche fino all’eccesso: interni incredibilmente eccessivi ed esterni dipinti che sembrano uscire da un film di Tim Burton. L’idea di fondo della colonna sonora e’ geniale: creare un musical adattando ad un contesto da fine ‘800, e alle esigenze narrative del film, molte delle canzoni che hanno fatto la storia della musica moderna; già Resnais, in “Parole, parole, parole” aveva fatto qualcosa di simile, si potrebbe dire: ma aveva invece compiuto l’operazione inversa, adattando musiche del passato ad un contesto moderno.
E, infine, non bisogna sottovalutare il fatto che “Moulin Rouge” sta già diventando oggetto di culto: casualmente, all’uscita dalla sala, ho incontrato 4 persone che conoscevo che stavano entrando al secondo spettacolo, ognuna venuta per conto suo: tutte e quattro erano venute a
vedere il film per la seconda volta. Erano anni, probabilmente dai tempi di “Titanic”, che non vedevo persone tornare a rivedere il film dopo pochi giorni…
Voto: 10.
Graziano Montanini
Recensione n.3
L’opinione che ho di Luhrmann sè abbastanza chiara anche dopo la visione di “Moulin Rouge”: il suo è un cinema eccessivo, “post moderno” , che mischia culture, epoche diverse con l’immaginario collettivo e popolare.
In questo caso, come in Romeo + giulietta , la sorte è toccata al musical. Rivisitazioni di classici degli anni 70,80,90; la classica storia d’amore tra l’artista e la mignotta, e in mezzo l’uomo ricco che però non è amato ma fa il prepotente Sono gli ingredienti di un film che ahimè, pur rappresentando un nettissimo passo avanti rispetto all’insipienza e la ridicola versione del testo Shakesperiano, di “Romeo + Giulietta” risulta ancora una volta mal fatto. Alcune scene musicali sono azzeccatissime, non c’è che dire. Quella del Can Can, “your Song”, Roxanne e il Tango. Luhrmann pur non possedendo grandi doti registiche (anzi, appare piuttosto dilettante commettendo errori gravissimi di montaggio, movimenti di macchina spesso assurdi), in alcune scene dimostra il suo stile visionario e folle, o meglio ancora anarchico, privo di regole.
Privo di regole, o meglio prive di senso sono certi abbinamenti musicali, spesso associati narrativamente a situazioni scontate, o meglio ancora anticipate in maniera prevedibile e scontata (vedi l’attacco di like a virgin).
Insomma,stupisce, più che l’insufficienza (non grave) del film, il totale entusiasmo per questo film di alcune persone. Per cui basta vedere una indubbia grande scenografia, delle scene indubbiamente divertenti e folli (ma sempre per la serie, si passiamo una serata piacevole e basta) per esaltarsi e gridare al grande film. Luhrmann sbaglia film perchè si rifugia nei soliti stereotipi narrativi fatti di donne incomprese, lieto fine, eroe artista; senza però rinnovarsi narrativamente, aggiungendo spesso situazioni kitch (a dire il vero sia volontarie che involontarie).
Un regista coerente nel suo gusto eccessivo e ridondante, ma di gran lunga incapace di fare cinema nel vero senso della parola, di dare emozioni e lasciare qualcosa a livello emotivo. Giusto un film piacevole a tratti, adatto per due ore e mezza di sorrisetti e frasi tipo “toh guarda che canzoni ha messo”. E null’altro. Un film che certo rimarrà stampato per l’enormità del lavoro figurativo, ma mancante di quella bellezza globale, che rende un film entusiasmante.
Voto: 5
Francesco
Recensione n.4
L’opinione che ho di Luhrmann sè abbastanza chiara anche dopo la visione di “Moulin Rouge”: il suo è un cinema eccessivo, “post moderno” , che mischia culture, epoche diverse con l’immaginario collettivo e popolare.
In questo caso, come in Romeo + giulietta , la sorte è toccata al musical. Rivisitazioni di classici degli anni 70,80,90; la classica storia d’amore tra l’artista e la mignotta, e in mezzo l’uomo ricco che però non è amato ma fa il prepotente. Sono gli ingredienti di un film che ahimè, pur rappresentando un nettissimo passo avanti rispetto all’insipienza e la ridicola versione del testo Shakespeariano, di “Romeo + Giulietta” risulta ancora una volta mal fatto. Alcune scene musicali sono azzeccattissime, non c’è che dire. Quella del Can Can, “your Song”, Roxanne e il Tango. Luhrmann pur non possedendo grandi doti registiche (anzi, appare piuttosto dilettante commettendo errori gravissimi di montaggio, movimenti di macchina spesso assurdi), in alcune scene dimostra il suo stile visionario e folle, o meglio ancora anarchico, privo di regole.
Privo di regole, o meglio prive di senso sono certi abbinamenti musicali, spesso associati narrativamente a situazioni scontate, o meglio ancora anticipate in maniera prevedibile e scontata (vedi l’attacco di like a virgin).
Insomma,stupisce, più che l’insufficienza (non grave) del film, il totale entusiasmo per questo film di alcune persone. Per cui basta vedere una indubbia grande scenografia, delle scene indubbiamente divertenti e folli (ma sempre per la serie, si passiamo una serata piacevole e basta) per esaltarsi e gridare al grande film.
Luhrmann sbaglia film perchè si rifugia nei soliti stereotipi narrativi fatti di donne incomprese, lieto fine, eroe artista; senza però rinnovarsi narrativamente, aggiungendo spesso situazioni kitch (a dire il vero sia volontarie che involontarie).
Un regista coerente nel suo gusto eccessivo e ridondante, ma di gran lunga incapace di fare cinema nel vero senso della parola, di dare emozioni e lasciare qualcosa a livello emotivo. Giusto un film piacevole a tratti, adatto per due ore e mezza di sorrisetti e frasi tipo “toh guarda che
canzoni ha messo”. E null’altro.
Un film che certo rimarrà stampato per l’enormità del lavoro figurativo, ma mancante di quella bellezza globale, che rende un film entusiasmante.
Voto: 5
FrancescoDue
Recensione n.5
Il gusto per l’eccesso, la commistione stilistica tra musiche, scenografie e costumi razionalmente inaccostabili, il virtuosismo tecnico, sono da sempre marchio di fabbrica del cinema secondo Baz Luhrmann. A partire dalla favola “Ballroom – Gara di Ballo”, fino alla rilettura in salsa pop del testo shakesperiano di “Romeo e Giulietta”. In “Moulin Rouge”, il geniale regista spinge ulteriormente il pedale sull’acceleratore della fantasia e costruisce un mondo sospeso, dove il luogo del peccato della Parigi di fine ottocento, diventa un caleidoscopio di luci e colori e dove l’atteso can-can si ritrova interpretato in “Voulez vous coucher avec moi” per poi sfumare nell’hit dei Nirvana “Smells like ten spirits”. Ed e’ la provocatoria scelta di reinventare il musical l’idea forte del progetto di Baz Luhrmann. Non a caso i momenti più coinvolgenti sono proprio quelli in cui musiche lontanissime, per genere ed epoca, vengono accostate per raccontare la storia d’amore tra la cortigiana Satine e il rampollo inglese in cerca d’amore, Christian. Una rivisitazione di “Your song” di Elton John fa scoccare la scintilla tra i due, portandoli a ballare direttamente in cielo tra le stelle. “Heroes” di David Bowie, mixata a “I will always love you” di Dolly Parton, celebra il loro amore impossibile. Un po’ quello che si chiede al cinema: interpretare la realtà attraverso una visione “bigger than life”, dove tutto e’ amplificato, esagerato, irreale, come in un sogno. A una prima parte tanto squinternata quanto affascinante e ricca di suggestioni, tenuta insieme da una certa ironia e dall’idea che in fondo si sta partecipando a un gioco, segue però una brusca virata narrativa. L’amore fumettistico e sopra le righe tra i due protagonisti perde in leggerezza e si trasforma in prevedibile tragedia; i personaggi cominciano a prendersi terribilmente sul serio e da pedine di un sottile gioco intellettuale tentano di diventare vivi e pulsanti. Il problema di fondo e’ che non si crede neanche per un fotogramma all’amore tra Satine e Christian e la loro passione, urlata e cantata, non provoca il minimo coinvolgimento. E la colpa non e’ neanche dei protagonisti (anche se Nicole Kidman in versione “pene d’amor perduto” non e’ il massimo della credibilità), quanto proprio del tentativo di imbrigliare un sogno colorato e fantasioso in una storia a misura di pubblico. Ecco quindi sopraggiungere nello spettatore un senso di saturazione visiva e di pesantezza, in cui le sfumature del sogno si perdono nei confini di una routinaria e forzata storia d’amore, che da trampolino della fantasia diventa invadente e noiosetta realta’.
Luca Baroncini