Recensione n.1

* spoiler alert: level 1

Che noia che barba, che barba che noia… E’ come quando una persona urla; se lo fa una volta può anche attirare l’attenzione, ma se lo fa sistematicamente, di continuo, nessuno ci farà più caso. Lo stesso vale per questo film: qualche scena di guerra fatta bene di certo potrebbe emozionare, coinvolgere, ma quasi due ore e mezza di incessanti sparatorie no. Si rimane anestetizzati, emozionalmente abulici di fronte ad uno spettacolo di morte spesso veritiero, ma altrettanto spesso così vicino alla realtà di un videogame. Ho guardato l’orologio più volte nella vana speranza che il tempo potesse scorrere velocemente quanto i proiettili nel film: niente da fare. Lo ammetto, non amo particolarmente le pellicole di guerra, però riponevo una discreta fiducia nelle capacità ritrovate di Ridley Scott come narratore di grandi storie e come regista popolare e raffinato al tempo stesso. Sì, indubbiamente sa girare bene, sa costruire una scena, l’inquadratura è sempre quella giusta (benché qualcuno potrà erroneamente scambiare “Black Hawk Down” per un film-documentario), la fotografia è al solito impeccabile, il montaggio del nostro premio Oscar Pietro Scalia è ineccepibile però… però…che noia!!
DA TENERE: Solo le classiche note tecniche di cui sopra e forse l’intenzione di raccontare un fatto realmente accaduto, pur se sotto un punto di vista inevitabilmente di parte. Fine. Anzi, “this is the end…”.
DA BUTTARE: Ora ho capito: Ridley Scott voleva dimostrare che sa pisciare più lungo di Steven Spielberg! Nel film “Salvate il soldato Ryan” Spielberg ha girato la straordinaria sequenza di battaglia iniziale di venti minuti? “Benissimo -avrà pensato Scott- ed io la dilato fino a farci un film di due ore e venti!”.
NOTA DI MERITO: Non sapete come convincere le vostre ragazze ad accompagnarvi a vedere questo filmaccio di guerra? Dite loro che è pieno zeppo di figaccioni (un critico americano ha detto che sembra il catalogo di “Uomo Vogue”)! Almeno loro si rifaranno gli occhi…
NOTA DI DEMERITO: Nel pieno della battaglia (cioè una parte qualsiasi della pellicola) un soldato, dopo un’esplosione, non ha più il corpo dalla cinta in giù, è completamente maciullato e gli manca pure un braccio, ma trova la forza di sussurrare ad un suo compagno “Dite alle mie figlie che sto bene…”. E muore. Cioè la fine che dovrebbe fare lo sceneggiatore idiota che nel 2002 ha ancora il coraggio di scrivere battute come questa. E purtroppo non è la sola nel film… Che noia che barba, che barba che noia…
SITO UFFICIALE: http://www.spe.sony.com/movies/blackhawkdown//

Ben, aspirante Supergiovane

Recensione n.2

Ci si sente forti, lassu’ nel cielo, a dominare terra e mare volando talmente bassi da vedere i volti delle persone, ancora abbastanza lontani da non dover “ingaggiare” rapporti di qualunque tipo con loro.
Si sentivano forti gli americani, volando su Mogadiscio, dominando dall’alto l’ennesima citta’ di baluba assatanati dalla voglia di sangue e di potere.
Ma anche i Black Hawk cadono, e insieme a loro progressivamente cade il film, che perde la sua compatta bellezza e allenta il ritmo in una serie infinita di corse e sparatorie, con il pathos che si sfilaccia e muta piano piano in noia (e tremenda retorica negli ultimi quindici minuti).
Non e’ certo un film pro-americano: e’ il racconto per immagini di una bruciante sconfitta, talmente dolorosa e ingestibile politicamente ad aver costretto gli USA a non scendere piu’ in campo laddove fossero necessarie forze di terra. Kabul se la sono ripresa i mujahddin, non dimentichiamocelo.
Non fa male ricordare che anche i soldati USA sono ragazzi che soffrono, muoiono e si cagano sotto dalla paura; e’ piacevole vedere la rabbia dei somali messa in scena quasi oggettivamente, percepire uno sguardo piu’ distaccato del solito, ben simbolizzato da un uomo anziano che, trasportando un bambino morto, taglia la strada alle truppe ormai in fuga che cercano di tornare indietro.
Dall’aria alla polvere, dalle risate al sangue, dalla sicurezza al disastro: se Scott non fosse cosi’ affascinato dalla guerriglia e avesse rinunciato a un’ora di film, sarebbe stata una grande riflessione su che cosa veramente possiamo fare noi “occidentali” in situazioni del genere.

Mafe

Recensione n.3

Per gli amanti dei film di guerra, delle atmosfere militari e dell’azione, è impossibile perdere l’ultima fatica di Ridley Scott.
Oltre due ore di pura adrenalina, paura e sangue, che impazzano sullo schermo, concedendo allo spettatore sporadici quanto brevi, momenti di tregua. L’azione nel cuore di Mogadiscio, documentata dai giornale d’epoca, si trasforma nella bara della gran parte dei militari impegnati nell’operazione.
Le orde di indigeni che, sbucando da ogni angolo di strada, attaccano con ogni arma, anche le pietre, i soldati americani, hanno un che di zombesco, ed incarnano correttamente l’ineluttabilità di certi eventi. Purtroppo, non si tratta di un film fuori dal coro. Scott torna a proporlo in perfetto stile “Full Metal Jacket”, a dieci anni di distanza dall’esaurimento del filone, senza per questo riuscire a ridestare nulla di significativo.
Lo splatter regna sovrano, e dita mozzate, torsi squarciati e mani volanti, non fanno che annoiare lo spettatore. La scena dell’operazione sull’arteria femorale a mani nude, è l’unica che gela il sangue, ma non per via della crudezza delle immagini (simili ad un documentario di chirurgia), quanto per l’urlo agghiacciante del ragazzo operato, che in pochi secondi, e nessuna parola, materializza il soffio della vita.
I personaggi sembrano già visti, e la vita nelle camerate, è tristemente banale. L’unica elemento interessante che trapela, è la paura di tornare “nella mischia”, che accompagna lo spettatore, anche fuori dalla sala. Nonostante questo, la colonna sonora, come le riprese degli elicotteri non emozionano (“Apocalypse Now” resta comunque un’altra cosa…).

Maggie