Recensione n.1
Per chi fosse stato in una grotta negli ultimi mesi, dico solo che “Il signore degli anelli” e’ l’evento cinematografico dell’anno. Tratto da un libro di culto, narra la storia della battaglia tra bene e male in un mondo popolato da elfi, nani, orchi, goblin e altre creature fantastiche, e tutto ruota intorno ad un anello di incommensurabile potere. Il film presenta solo la prima parte di questa storia, che si svilupperà in altre due pellicole per un totale di almeno 9 ore.
Mi trovo nella situazione ideale per recensire “Il signore degli anelli”: appassionato di Tolkien, ho letto il libro più volte una decina di anni fa, non ho quindi ricordi abbastanza precisi da rovinarmi il film con pretese filologiche, ma allo stesso tempo ho ben presente l’atmosfera e il coinvolgimento del romanzo.
Proprio per questo trovo però difficile recensire il film senza fare riferimenti precisi a scene ed avvenimenti che vi accadono, per cui se non avete ancora visto (o letto) “Il signore degli anelli”, e non volete anticipazioni, e’ meglio che non proseguiate nella lettura.
Il film e’ probabilmente quanto di meglio si poteva realizzare dal testo di base, se escludono alcuni errori di non grossa portata:
1) Il potere dell’anello e’ un potere molto sottile, un potere magico difficile da descrivere. Le scene iniziali, purtroppo, fanno credere il contrario, mostrando come questo dia un potere incredibile in battaglia. Ridurre il potere dell’anello a questo significa minare la credibilità dell’impianto di base della storia (perchè tanta fatica per un anello che ti rende solo piu’ forte fisicamente?).
2) Gollum, da quello che mi ricordo delle opere di Tolkien, non e’ sempre stato Gollum. Era una creatura (un hobbit, mi sembra) che si e’trasformata per colpa del potere di corruzione dell’anello stesso. Sorvolare su questo aspetto (sarebbero bastate due frasi ad inizio film,
quando si parla di lui) significa non far capire bene come l’anello possa corrompere le persone.
3) I cavalieri neri, come trovano Frodo? Che i cavalieri percepiscano l’anello quando viene indossato e’ chiaro. Ma a volte sembra che riescano a percepirlo anche quando Frodo non lo indossa (altrimenti non si spiega come lo trovino sempre), altre volte invece sembra di no (come nella scena della taverna). Un po’ di chiarezza avrebbe giovato.
4) Arwen. Tutti gli appassionati si sono lamentati per l’inserimento di questo personaggio. Filologia a parte, il personaggio di Arwen e’ inserito senza alcun motivo. Non basta certo una parentesi romantica da 30 secondi per rendere il film piu’ appetibile al pubblico femminile, e per di piu’ tante cose non vengono spiegate (Cos’e’ il pegno che consegna, di preciso? Perche’ stava cercando gli Hobbit?)
5) Lascio per ultimo quella che forse e’ la svista peggiore del film. Nel bosco elfico vediamo Galadriel, e fin qui tutto bene. All’improvviso però, prima di congedarsi Galadriel dice di avere superato la prova e che perderà quindi i poteri e se ne andrà. Che prova? Che poteri? Dove andra? Perche’? Mi sembra assurdo introdurre nel film un tema senza spiegarlo.
A parte questi problemi, come dicevo all’inizio, tutto e’ perfetto. Il film pero’ non e’ un capolavoro, ma “solamente” bello.
Perche’?
Il problema e’ il romanzo di base, schematico e ripetitivo. Mi spiego, prima di far inferocire gli appassionati di Tolkien (di cui tra l’altro penso di far parte). “Il Signore degli anelli”, soprattutto nella prima parte, e’ un bellissimo romanzo non tanto per la storia di base, quanto per tutto un subtesto narrativo che viene contestualmente creato.
La storia, in fondo, non e’ altro che una serie di pericoli che vengono superati uno dopo l’altro, in misura sempre maggiore. Il subtesto pero’ al cinema e’ impossibile da rendere, per limiti insiti nel mezzo espressivo. Ecco allora che rimane la parte piu’ debole, resa peraltro egregiamente, e manca il “di piu'”. Certo, con un film molto piu’ lungo (almeno un’ora, un’ora e mezza di aggiunte), si sarebbero potute aggiungere varie sfumature. Ma un film di tale lunghezza sarebbe stato impossibile da commercializzare, e comunque avrebbe recuperato solo una minima parte di quello che e’ stato perso.
Applausi quindi a Peter Jackson, per l’ottimo lavoro. Applausi anche al film, forse il miglior film di fantasy della storia del cinema. Ma per i capolavori si guardi altrove. Al libro, per esempio.
Graziano Montanini
Recensione n.2
***1/2 spoiler alert: level 1
Una recensione inversamente proporzionale alla lunghezza esasperante del film. Come si suol dire, sarò breve: “Il Signore degli Anelli” è un ottimo film fantasy di NOVE ore (vado sulla fiducia per le prossime due parti), realizzato magnificamente da un grande Peter Jackson (che al suo attivo ha solo una manciata di film, ma che è uno di quei registi genialoidi e un po’ schizzati che molti di noi amano alla follia) ed interpretato da bravissimi attori che “vivono” la storia non come un semplice film, ma come una vera e propria avventura (e vorrei ben vedere: 18 mesi in Nuova Zelanda!). Ma allora perché il pubblico si divide nettamente tra esaltati e detrattori? E’ facilmente intuibile, ma qui sotto vi elenco un paio di esempi. Per quanto mi riguarda io sto nella “terra di mezzo”: né entusiasta, né tantomeno incazzato per quello che ho visto. Diciamo “cullato da una piacevolissima noia”.
PERCHE’ VEDERLO: Perché nessun altro avrebbe potuto far di meglio con un soggetto titanico come questo. Perché, anche se non si è letto il libro, ci si rende conto di assistere ad una grandissima avventura. Perché, se avete letto il libro, vi renderete conto di quanto Jackson sia stato fedele alla psicologia dei personaggi e ad ogni particolare.
PERCHE’ NON VEDERLO: Perché se non ve ne frega assolutamente niente di nani, elfi e via discorrendo, vi annoierete a morte e già dopo dieci minuti dall’inizio del film desidererete di non essere mai entrati in sala. Perché dopo ben tre ore vi accorgerete che manca la fine; d’altro canto bisogna capire che non è una trilogia a episodi, ma un unico film di nove ore in tre parti.
DA TENERE: La potenza visiva della pellicola, piena di effetti speciali che volutamente non sempre si vedono, ma che contribuiscono a creare un mondo di fantasia popolato da strani esseri.
DA BUTTARE: Troppo ricco, troppo fedele al romanzo per non annoiare i neofiti.
NOTA DI MERITO: L’aver riportato Peter Jackson dietro ad una macchina da presa. Per i miei gusti fa troppo pochi film…
NOTA DI DEMERITO: Speriamo che Peter Jackson non aspetti l’uscita di tutti e tre i film per rimettersi al lavoro.
QUISS: Una frazione di secondo, ma si nota: in quale scena il regista compare nel film?
SITO UFFICIALE: http://www.ilsignoredeglianelli.it/
Ben, aspirante Supergiovane
Recensione n.3
Accingendomi a scrivere questa recensione una premessa si impone come necessaria: non ho letto Il Signore degli Anelli se non le prime duecento pagine, ho letto, invece Lo Hobbit e un po’ di Silmarillion e non sono un grande fan di Tolkien. So di risultare impopolare, ma, eccezion fatta per la parentesi fiabesca di Lo Hobbit, trovo lo scrittore britannico assai pesante. I motivi per cui mi risulta ostico Il Signore degli Anelli stanno proprio là dove i suoi più grandi estimatori si esaltano e si commuovono: Tolkien non scrive solamente un romanzo, ma crea con una veridicità e una complessità senza eguali nella letteratura contemporanea un mondo, la Terra di Mezzo, con una propria storia (nel senso di storia come successione di epoche da un’ipotetica creazione in poi), una propria dettagliata geografia, una propria biologia delle razze, una propria fisica, una propria logica del possibile e dell’impossibile. Una complessità e una completezza senza pari, che per alcuni sono la porta sul mondo dei sogni, per altri un ostacolo che sbarra l’accesso alla Terra di Mezzo, tanto vasto è lo sforzo di immaginazione richiesto.
Detto ciò, l’impresa che Jackson tenta, di portare, cioè. Al cinema un colosso di tale portata, appare da subito come una di quelle sfide al limite delle possibilità umane. Come ricreare la Terra di Mezzo e le sue infinite sfaccettature solo con il linguaggio audiovisivo senza pesanti descrizioni verbali, senza migliaia di preamboli e di scene introduttive, di divagazioni e precisazioni? Come catapultare lo spettatore in questo mondo fantastico riuscendo a coinvolgere quei pochi che non conoscono o non apprezzano il romanzo e a non deludere (impresa ancora più ardua…) i grandi estimatori?
Jackson risponde a questi quesiti rivelando uno straordinario quanto parzialmente inaspettato talento visivo e un geniale piglio visionario, e punta sull’impatto delle immagini. Al di là di dettagliate considerazioni sulla narrazione su alcune scelte talvolta discutibili, sul piano puramente visivo il film è assolutamente straordinario. La freddezza spoglia di alcune superproduzioni ipereffettate è spazzata via d straordinarie costruzioni visive, eccessive e barocche: stupefacenti le scene di battaglia, cupe e apocalittiche, incredibili paesaggi e scenografie. Jackson “ascolta” alla perfezione gli spunti visionari suggeriti da Tolkien e li amplifica , addirittura li supera, eccede. Impossibile non rimanere affascinati e coinvolti davanti a tanta magnificenza: e questo straordinario “rapimento” consente allo spettatore di sorvolare su alcune imprecisioni cinematografico-narrative che, se da un lato risulterebbero forse invisibili per i tolkeniani più accaniti, potrebbero rendere meno semplice il compito a tutti gli altri. Mi riferisco a quelle evidenti mancanze nell’amministrazione della storia in cui talvolta incappa Jackson, soprattutto nella trattazione di alcuni personaggi: per prendere un esempio chiaro parliamo della regina elfica Galadriel, la quale davanti a Frodo dice improvvisamente di aver superato una prova e aver perso i poteri, suscitando nello spettatore medio le giustificate domande “ma quale prova?” e “quali poteri?” . E poi chi è questa Arwen (tralasciando momentaneamente i confronti testuali con il romanzo, considerati più avanti) che irrompe improvvisamente sulla scena facendo da deus ex machina? Come incappa negli hobbit? Come conosce Aragorn? Cosa gli regala? Come sappiamo che gli elfi sono immortali? Potremmo continuare a lungo, perché spesso si ha la sensazione che molti personaggi siano, per carenza di spazio, presi e gettati nella bolgia, nella speranza che la fama del libro “chiuda il buco”. Inoltre alcune fasi della narrazione, come il drammatico “volo” di Gandalf, sono aritmicamente degli improvvisi singhiozzi, troppo “rapide” per risultare fluide nel contesto di una narrazione generalmente scandita e solenne.
Quindi, pur rimanendo tutti i meriti di un regista, Peter Jackson, che dimostra di avere personalità ed estro, pur restando, a nostro giudizio, il miglior fantasy al cinema, rimangono, anche, alcune imprecisioni di scrittura dovute a quelle che noi chiameremmo “poca cinematografabilità” di un simile, complesso romanzo, almeno in sole “nove ore”.
Per ciò che riguarda il confronto serrato e testuale tra film e romanzo e la querelle sulla fedeltà delle scelte d’insieme di Jackson a Tolkien, non essendo in grado di istituire un simile confronto, ci siamo serviti dell’opinione di un grande estimatore della saga tolkeniana, laureando in Storia Medievale all’Università degli Studi di Pavia, il collega Andrea Maricelli:
La questione è semplice: “Quanto è fedele il film al romanzo?”
La risposta: non lo è affatto.
Cosa significa “fedele” per un film che cerca di trasporre cinematograficamente la saga fantasy più famosa del secolo? Dovrebbe riportare tutti i dialoghi? Tutti i personaggi? Dovrebbe visualizzare tutte le descrizioni?
Se dovesse essere davvero così, il film non è affatto fedele, molti passaggi sono stati cancellati.
E’ completamente assente la figura di Tom Bombadil (e con lui quella della Dama Baccadoro e il paesaggio dei Tumulilande), probabilmente l’unico Essere della Terra di Mezzo a non risentire dei poteri malvagi dell’Unico Anello, e la principessa elfica Arwen, la Stella del Vespro, reincarnazione di Luthìen, appena nominata da Tolkien, appare almeno nel primo episodio della trilogia di Jackson come un personaggio in alcuni casi troppo risolutivo.
Ma c’è di più: tramite un’annotazione comparata, annotando i passaggi del romanzo ricordando le scene del film, si compone un quadro ancora più desolante. Qualche esempio: mancano completamente il trasloco di Frodo a Crifosso, nella terra di Buck, e gli episodi a questo correlati (sono circa altri due capitoli tagliati); la festa di compleanno iniziale, che nel romanzo di Tolkien è doppia (compie gli anni nello stesso giorno di Bilbo anche Frodo), ha un unico protagonista; i passaggi più divertenti del mirabile affresco sulla cultura hobbit sono ridotti al solo sbotto del vecchio Tronfipiedi (chi ha letto il libro ricorderà sicuramente per lo meno Lobelia Sackville-Baggins, odiosa ricca hobbit gelosa della casa di Bilbo); scomparso anche il capo elfico Gildor Inglorion, che gli Hobbit (i TRE hobbit, visto che Merry si unirà al gruppo solo a Crifosso e non, come asserito nel film, insieme a Pipino nelle terre del vecchio Maggot) incontrano prima ancora di passare il Brandivino; per quanto riguarda la scena della chiatta sul fiume non c’è nel libro alcuna traccia di cavalieri neri all’inseguimento della compagnia: i Nazgul sono alle loro calcagna, è vero, ma sono visti dagli hobbit solo quando questi sono sani e salvi sull’altra sponda del fiume. Si potrebbe anche continuare…
Immaginiamo però ora di guardare la questione da un altro punto di vista: appressiamoci a questa “fedeltà” non come un mero e oggettivo ricalco dell’opera originale, ma come l’appropriarsi del Cuore della Saga, come una prioritaria fedeltà emotiva obbligatoriamente mediata dal diverso strumento di comunicazione usato.
Ed ecco che il film diviene, attraverso un artificio semplice e complicato come la parola magica che apre l’ingresso delle miniere di Moria, straordinariamente fedele.
Il Signore degli Anelli di Jackson è il Signore degli Anelli di Jackson, non quello di Tolkien. La parola del creatore della Terra di mezzo non rimane, immutata, a presentarci una fotocopia del libro, ma riluce immanente in quasi tutto ciò che vediamo e sentiamo in queste tre ore di puro distacco dal nostro mondo. E’ un viaggio quello che ci propone il regista della trilogia. E’ una proposta di lettura del mito tolkeniano. E se ci si fida, se ci si fa trasportare fino a fondersi nel film, si ritroverà la stessa atmosfera che si respira nella “Compagnia dell’Anello” di carta.
Gimli il nano non potrebbe essere diverso: attento alle ricchezze, borioso e strafottente, ma immensamente addolorato e presente quando avverta la minaccia di Mordor direttamente sulla sua gente, sul popolo di Balin di Fundin, signore di Moria.
Legolas, Arwen, Elrond, sono anch’essi così come ce li siamo immaginati: insuperbiti dalla loro posizione privilegiata di immortali, inizialmente schivi nei confronti dei nani, ma anche stanchi dell’onere che l’appartenenza alla razza elfica porta con sé: l’essere custodi e guardiani, e il poterlo potenzialmente essere anche dell’Unico, diventa per loro un fardello troppo pesante. Qualche appunto personale su Galadriel invece lo farei: sono estremamente affezionato al passaggio del libro nel quale Galadriel regala tre dei suoi capelli d’oro a Gimli figlio di Gloin… peccato che né questa né altre scene siano state riportate. Ma questi sono giudizi soggettivi, che poco hanno a che fare con la nostra trattazione.
Che dire degli “Uomini mortali che la triste morte attende”? Aragorn e Boromir: l’onore e il rimorso, resi ciechi da attimi di avidità. Quale ammirazione suscitano però entrambi quando, chiamati al dovere dall’attacco selvaggio dell’armata Uruk-hai non si tirano indietro e ripagano con la virtù della spada attimi di debolezza propri del genere umano! Anch’essi sono ben delineati, e i tormenti del Boromir filmico invocano il sospetto, il disprezzo, la pietà e la compassione che già avevamo provato verso quello romanzesco. Non mi soffermerò su Gandalf e Saruman poiché credo che la fedeltà e l’amore con cui siano stati trattati questi due personaggi siano assolutamente visibili.
Per gli Hobbit il discorso è diverso: non ne avevamo mai visti al cinema, è la prima volta (dal lungometraggio animato che si proponeva lo stesso scopo della trilogia di Jackson) che assistiamo a stralci di vita di questo popolo di Mezzuomini, e devo dire che l’effetto è affascinante: sono simpatici, allegri, buoni e leali, coraggiosi più di quanto non pensino essi stessi di esserlo, e forse è per questo che l’Anello ha meno influenza su di loro di quanta non ne abbia sulle altre razze. Sono i personaggi tolkeniani per eccellenza, sono i suoi figli (in tutti i sensi, essi rappresentano fisicamente e moralmente l’età dell’innocenza), e appaiono così come ci sono stati descritti.
Questo discorso sui personaggi non vuol essere, in ultima analisi, una panoramica sui protagonisti del film solo rispetto al libro di Tolkien, bensì credo di poter affermare che, eccezion fatta per gli hobbit, guardando muoversi queste razze fantastiche sullo schermo, si colga meravigliosamente il typos di ciascuna di esse così come potremmo leggerlo (Marion Zimmer Bradley, Terry Brooks, Pat O’Shea, Michael Ende, Robert E. Howard) o giocarlo (parlo dei Role Playing Game) ovunque.
Ma altri elementi concorrono a formare questo mirabile e verosimile affresco: le ambientazioni, prima di tutto. Sia gli interni che i paesaggi d’esterno sono stati cercati o ricreati da un uomo che davvero ama il mito tolkeniano. Sono conscio del fatto che il Consiglio di Elrond nel libro non si tenga all’aperto, ma quale lieve imperfezione assolutamente perdonabile rispetto ai panorami bianchi delle Montagne Nebbiose, alle grigie e profonde immensità delle miniere di Khazad-Dum (per le quali, sono d’accordo con Gimli, l’appellativo “miniere” è fortemente riduttivo) e dei suoi interminabili saloni, all’altezza sconsiderata di Isengard, la torre di Saruman il Bianco, dalla quale un astuto movimento di macchina, seppur digitalizzato, ci fa cadere avvicinandoci al dramma di Gandalf prigioniero sulle sue sommità. Il blu riposante di Lothlorien, la terra degli elfi, si scontra fieramente con il rosso cupo, il giallo e il nero di Barad-Dur e dell’Orodruin (la torre di Sauron e il suo vulcano, nel quale la compagnia dovrà gettare l’anello), mentre il verde delle colline e la lente gialla della macchina da presa rilassano e tranquillizzano nella terra degli hobbit, la Contea.
Le musiche, infine, fanno da collante di questo mondo, sottolineando i diversi momenti senza mai sembrare inopportune e fuori luogo. Perfino il potente coro utilizzato per le cariche dei Nazgul diviene parte integrante del film, senza risultare ridondante delle loro figure.
La trasposizione di un libro in film porta spesso con sé il grande difetto di uniformare l’immaginazione dello spettatore verso un dato personaggio o luogo, e questo il più delle volte è un male.
Ma a mio parere Jackson non ha voluto dirci: “Il Signore degli Anelli è così”. Egli ha bussato alle nostre case e ci ha sussurrato: “Queste sono le emozioni, le visioni e i sogni che Tolkien mi ha trasmesso.”
Il risultato, quindi, in quest’ottica, è straordinario, una fantastica opera lirica, e per quante possano essere le obiezioni mosse su ciò che del romanzo si è dovuto a forza sacrificare, questo non cambia il risultato: finalmente, quarantotto anni dopo la sua prima edizione, il Signore degli Anelli di John Ronald Reuel Tolkien, è un film.
Una splendida porta sulla Terra di Mezzo.
(Andrea Maricelli, Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Storia Medievale)
Simone Spoladori
Recensione n.4
Punto primo: Il film non c’ entra assolutamente nulla con il libro, e’ ispirato al libro e attinge a piene mani dalla trama ma sia la trama stessa che i personaggi, i luoghi e addirittura il “feeling” ed i sentimenti sono ASSOLUTAMENTE diversi rispetto al libro e in alcuni casi addirittura opposti.
Punto secondo: Il film, preso come film, e’ veramente bello. E’ una sintesi tra guerre stellari e l’ ultimo pianeta delle scimmie con la differenza che ha un ambientazione piu’ potente, una trama piu’ ricca e un background talmente complesso che chi ha fatto il film non ha bisogno di inventare assolutamente nulla.
Questo e’ in sintesi il mio parere, mi aspettavo tutt’ altra cosa ma dalla sala sono uscito felice perche’ ho visto un bel film che non mi ha deluso. Mi aspettavo di vedere “il signore degli anelli” e mi sono ritrovato a vedere tutt’ altro ma questo tutt’ altro e’ stata la ragione per cui mi e’ piaciuto. Perche’ LOTR (il libro) non e’ stato rovinato e al suo posto ho trovato qualcosa “ispirato” al signore degli anelli e che quindi non lo va a rovinare o intaccare.
Il cartone animato e’ DI GRAN LUNGA piu’ “signore degli anelli” del libro e se penso a quel cartone fatto film sarei uscito dalla sala molto piu’ deluso, appunto perche’ sostanzialmente uguale al libro.
Il punto e’ che per es. mentre Harry Potter (che proprio non m’e’ piaciuto) prende una pagina si e due no dal libro con il risultato che vien fuori un macello mischiato che non ha senso logico ne emotivo, FOTR si muove su un binario del tutto diverso…
I punti chiave del libro ci sono tutti resi anche abbastanza fedelmente ma TUTTO CIò che li collega, che fa “sostanza” e’ COMPLETAMENTE diverso, come ho già detto non solo, oggettivamente, la trama (pur seguendo la stessa decina di tappe) e’ completamente diversa ma i personaggi stessi sono stravolti nel loro senso, nei loro sentimenti e nella loro crescita. Ciò che non rende questo fatto un difetto gravissimo e’ che questa terra di mezzo e questi personaggi stanno su una “realtà alternativa”, già appena si apre il libro ci sono sostanziali differenze ma POI tutto il fluire del film tiene conto di questa diversità, ha un senso suo, emozioni sue e quindi personaggi suoi.
Il Gandalf, il frodo, l’ aragorn del film sono pure loro ispirati al libro ma FONDAMENTALMENTE diversi nel comportamento e nell’ essenza. Peter Jackson pare aver preso il libro e averlo riscritto a modo suo, secondo la sua sensibilità, per questo ne esce fuori qualcosa CHE NON E’ il signore degli anelli ma E’ SEMPRE PER QUESTO che il film acquista un suo spazio, una sua idea e delle sue emozioni.
Chi ha letto il libro troverà un film che ha poco a che spartirci, chi ha visto il film e leggerà il libro, troverà’ qual cosa di profondamente diverso.
Ma dove e’ il miracolo e che chi ha letto l’ uno riuscirà probabilmente ad apprezzare l’ altro e viceversa.
Giustissime erano le parole di PJ quando diceva che il film sarebbe piaciuto a chi non ha letto il libro o a chi lo ha fatto tanto tempo fa, perche’ mantengono la stessa impronta staccandosi però su due mondi distinti ma che possono esistere senza nuocere l’ uno all’ altro.
E riuscire a fare una cosa del genere proprio non lo ritenevo possibile. Aspetterò dunque un futuro vero LOTR ma seguirò comunque con ansia lo sviluppo di questo “spin-off”.
Mi piacerebbe parlare piu’ in dettaglio di quel che intendo per personaggi stravolti ma mi ci vorebbe un bel pò di tempo, un esempio per tutti: Il Gandalf saggio, posato, sempre sicuro di se stesso e appoggio insostituibile di Frodo non e’ lo stesso.
Prova sentimenti di paura, mostra la sua preoccupazzione e non si mostra padrone della situazione, non svolge un ruolo di “saggio” ma solo di “potente”.
Mentre sul libro al conciglio di Elrond lui ed Elrond stesso sapevano già DA TEMPO chi avrebbe preso parte alla compagnia e quale sarebbe stata la loro missione nel film questa particolarità non e’ presente.
Frodo si offre spontaneamente a portare l’ anello addirittura uscendone come eroe e mettendo fine ad una animata discussione quando, invece, sul libro Frodo decide di portare l’ anello perche’ abilmente COSTRETTO da Gandalf e Helrond secondo un sistema che i due stavano mettendo a punto da un pezzo (dato che Frodo era giunto a Gran Burrone vedendolo come la FINE del viaggio e felice di restare per sempre con Bilbo). Gli hobbit stessi non paiono che una tra le “razze” umane, a parte l’ aspetto fisico sembrano dei campagnoli umani quando invece Tolkien ha fatto uno sforzo grandissimo per rendere gli Hobbit qualcosa di profondamente diverso da un uomo, non solo nell’ aspetto ma nel modo di pensare, nel modo di agire, negli interessi, nei piaceri ecc…(un esempio su tutti: nel libro Sam e’ “servitore” di Frodo e lo chiama padrone, niente di tutto questo compare nel film ovviamente per rovinare un concetto di amicizia che sarebbe stato preso male dal pubblico).
Nel film non c’e’ nulla di tutto questo, i quattro hobbit sembrano presi dai Goonies piu’ che da veri hobbit.
Ma potrei continuare veramente all’ infinito.
Concludo dicendo che ciò che e’ piu’ “LOTR” e ciò che e’ venuto meglio è Legolas, un capolavoro.
Arwen poi e’ magnifica. E non posso aggiungere altro su di lei, l’ inquadratura delle labbra penso che me la sognerò per gli anni a venire…
P.S. Quello che spaventa di piu’ nel film non sono orchi, goblin o cavaglieri neri ma Bilbo e Galadriel!!!
Tet_Zuo (da IAC)
Recensione n.5
A volte succede che, se aspetti un film troppo a lungo e tutti ne parlano troppo bene, poi ne resti deluso. Così mi era successo con Amelie e così è accaduto con “Il Signore Degli Anelli”. Sembra comunque che a Londra, io sia l’unica a cui non siano piaciuti entrambi, dato che “Il Signore Degli Anelli” è già stato definito il film dell’anno, del decennio, addirittura del secolo. Secondo tanti. Quasi tutti. Eppure non mi ha convinto. Se non fosse stato paragonato a Guerre Stellari, mi sarebbe anche piaciuto, forse.
Non che io sia una gran patita di Guerre Stellari, ma effettivamente, la pasta è quella: attraverso le più disparate avventure, l’eroe, con la sua bontà e con alleati insostituibili, dovrà salvare l’universo dal potere del male. Eppure l’ultimo lavoro del brillante Peter Jackson, la cui originale carriera è costellata di fantastiche sorprese, delude dal punto di vista dell’elaborazione del contenuto. La forma è impeccabile. La visione dell’universo di Tolkien è mozzafiato. Le foreste, le miniere, le città sotterranee, sono state plasmate dalla fantasia di un genio, con un attenzione maniacale ai dettagli: colori, forme, suoni riempiono lo schermo con un mondo al di là di ogni aspettativa. Questo grazie anche a un uso eccellente dell’ animazione e degli effetti speciali computerizzati. I personaggi sono però monotoni e banali. Frodo, a differenza di Luke Skywalker non cresce da ragazzo ingenuo e insicuro a coraggioso e imbattibile Jedi. Le amicizie rimangono insignificanti, alimentate solo dall’obbiettivo comune e non da oneste e sincere emozioni. La trama non è altro che un monotono susseguirsi di prove e avventure, finalizzata all’inevitabile sconfitta del potere oscuro -per il quale comunque bisognerà attendere altri due anni, e altre sei ore di film. Non ci sono intrighi, rivalità o affetti convincenti a parte quelli necessari ad interrompere la sequenza di peripezie. Quindi Il Signore degli Anelli mi sembra per adesso un’ odissea insignificante -forse anche perché si dovrà a causa sviluppare nel corso delle sei ore. E poi, è troppo serio. Manca un po’ di humor, anche se, mancando, il film è rimasto fedele all’originale. Con la differenza che un libro si può leggere a più riprese, mentre un film, quando sei seduto al cinema, te lo devi “sorbire” tutto di un colpo solo. Qualche battuta avrebbe giovato, ma forse i fan di Tolkien non sarebbero stati d’accordo.
Infine, e forse per questo sarò linciata, mi sembra che ci siano dei toni omosessuali e sessisti: gli uomini sono costantemente appiccicati e si abbracciano e baciano sempre, mentre il male è rappresentato come una grande vagina infuocata. Fatemi sapere se questo lo rileverà qualcun altro. Insomma, a mio parere, “Il Signore degli Anelli” non è il film dell’anno. È un gran piacere da guardare e da ammirare: un vero lusso per gli occhi. Ma
al di là di ciò, non commuove, non spaventa e non appassiona. Alla fine, non volevo certo diventare un hobbit, come un tempo avevo invece voluto diventare un Jedi.
Barbara Mella
Recensione n.6
La saga di John Ronald Reuel Tolkien, uno scrittore considerato a più riprese il padre del genere Fantasy, autore contemporaneamente di uno dei tre o quattro libri più letti e di uno dei tre o quattro libri meno leggibili del mondo (parliamo del Signore degli Anelli nel primo caso e del Silmarillion nel secondo) non poteva essere tradotta cinematograficamente se non da un fervente appassionato (per chiarezza, intendiamo saltare a piè pari ogni considerazione sulla assolutamente ininfluente adozione della saga e di ciò che esprime da parte di movimenti inneggianti ad un passato mai abbastanza condannato, il cui ricordo deve impedire il ripetersi delle sue assurde atrocità, per non dare adito a possibili associazioni tra il regista di questo film e certi neoestremisti, che risulterebbero assolutamente fuori luogo).
Il mondo di Tolkien, infatti, presenta una complessità costruttiva ed evolutiva tale da non permettere ad un lettore, per quanto attento e desideroso di approfondire, di coglierne gli aspetti più nascosti e spesso più importanti se non attraverso la mediazione di una sincera passione condita con un poco di immedesimazione per le vicende narrate; Peter Jackson dimostra in questa pellicola la sua passione, già nell’edizione adattata alle sale cinematografiche riducendone la durata, lasciandoci l’ansia di vedere al più presto il “Director’s cut”. In una storia di tale complessità, per forza di cose è necessario scegliere gli argomenti da passare in secondo piano, le parti da sottintendere come già conosciute dagli spettatori, utili alla miglior comprensione della trama ma non indispensabili, ed in questo particolare lavoro di riduzione Jackson ha azzeccato praticamente tutto, con l’unica eccezione dell’assenza di un approfondimento sulla storia di Galadriel, regina elfica che assume nel film un aspetto un po’ troppo simile ad una Circe omerica. L’assenza di un personaggio in particolare, Tom Bombadill, e dell’episodio che lo vede protagonista, pare abbia un po’ stupito ed amareggiato molti appassionati; non si fa notare più di tanto, ma sarebbe gradita sorpresa trovarne cenno nella ben più lunga versione Director’s cut già annunciata, magari unita ad un approfondimento maggiore della parte riguardante il personaggio di Galadriel.
Non dovrebbe stupire, anche se forse poco gradito ai puristi, il maggior spazio dedicato ad un personaggio femminile che Tolkien ha posto più in ombra, dati forse anche i suoi principi legati ad un puritanesimo quasi vittoriano, quella Arwen interpretata dalla discreta ma efficace Liv Tayler che fornisce un tocco più prettamente moderno, anche grazie alla pronuncia del linguaggio elfico carica di armonia e di una sensualità assolutamente femminea, contrapposta alla pronuncia del medesimo linguaggio dell’umano Aragorn, più distaccata e fredda. Gli altri personaggi della saga sono riconoscibilissimi e quasi iconizzati, corrispondono pressoché esattamente al profilo psicologico impostato dallo scrittore e spesso sono come il lettore se li figura, peraltro aiutato dalle ampie descrizioni Tolkeniane, in particolare lo strano essere mutato dal potere dell’Unico Anello, Gollum, che alla sua apparizione riteniamo non possa non strappare un sussulto di approvazione per l’aderenza assoluta del suo aspetto alla descrizione dello scrittore. Di grande impegno e svolto in maniera impeccabile risulta il lavoro di chi ha creato gli effetti speciali (a questo scopo Jackson ha voluto creare un team finalizzato alla realizzazione dei tre film) considerato il fatto che Hobbit, Nani, Elfi, Uomini, Orchi, Uruk-hai e Troll devono necessariamente interagire continuamente tra loro, rappresentando razze profondamente diverse per dimensioni ed apparenza visiva, e dovendo necessariamente essere quasi tutti interpretati dall’unica razza esistente nella realtà. La sensazione è che si sia scelto di ridurre al minimo le ricostruzioni digitali, ragionevolmente limitate alla rappresentazione del Troll, del Balrog, del Kraken ed alle scene di massa, per favorire l’interpretazione di attori dedicati a ruoli prettamente non umani, non limitandosi ai protagonisti della storia. Ottima la necessariamente digitale ricostruzione delle ambientazioni chiaramente inesistenti nella realtà, mentre le scenografie naturali, i paesaggi neozelandesi scelti per lo svolgersi della vicenda, sono semplicemente suntuose, ed un ottimo lavoro di fotografia mette in evidenza il loro aspetto quasi paradisiaco; è facile e quasi scontato prevedere un notevole incremento turistico nei luoghi di produzione della pellicola, così ottimamente pubblicizzati.
In buona sostanza, il lavoro di Jackson merita di essere visto e rivisto, riscuoterà quasi certamente l’approvazione della maggior parte del pubblico di appassionati e rende giustizia all’opera di Tolkien, oscurando la non troppo bella, fortemente criticata e soprattutto mai terminata riduzione cinematografica della metà degli anni cinquanta, girata con tecniche miste di animazione e realtà che lasciano quantomeno perplessi; certo oggi la tecnologia è estremamente diversa da quella dell’epoca, sicuramente più adatta ad un film che nonostante questo è ancora oggi un progetto ambizioso, e che quindi nel 1955 rasentava l’irrealizzabilità.
In ogni caso, è verosimile ritenere che schiere di appassionati attendano trepidanti di poter vedere sia il Director’s cut del film attualmente in circuito, sia i prossimi capitoli della saga, e questa non può che essere una vittoria, peraltro assolutamente meritata, per questa ottima produzione, nonostante il solito, eccessivo e fastidioso sfruttamento pubblicitario dell’evento.
Sergio Acerbi
RFecensione n.7
Se trasferire una realtà plasmata con caratteri tipografici in uno schermo bianco rettangolare è sempre un procedimento complesso e articolato, tentare di farlo con “Il Signore degli Anelli” è un’impresa immane, da pazzi furiosi, forse da suicidi. L’impressione rimane ancor più vivida dopo aver visto il film, ripensando all’enorme mole di scene da riconvertire, oltre agli infiniti aspetti da sviluppare e a quelli da ricreare, sulla quale sembra urgere una doverosa premessa.
Il Signore degli Anelli infatti è un intero mondo che pullula in più di un migliaio di pagine, portando la nostra fantasia in una realtà fuori dal nostro tempo, ma che paradossalmente sa molto del nostro passato. Sta in questo probabilmente la sua maggior peculiarità: nel saper descrivere, pagina dopo pagina, avventura dopo avventura un ambiente immaginario che nasce da archetipi medioevali dove protagonisti sono il Bene e il Male, la luce e l’oscurità. Diciamoci la verità: la storia non è certo l’esempio modello di un intreccio di colpi di scena, né vuole esserlo, riducendosi altrimenti ad un romanzetto fantastico d’avventura. E’ ben altro, è rivisitazione sapiente e controllata dell’ideale arcadico di una Terra che si presenta in tutto il suo splendore naturale e incontaminato, ricostruzione di una civiltà che non conosce la tecnologia e ne sottolinea insieme l’effimera utilità, dove le creature civilizzate convivono in modo perfettamente naturale e complementare con quelle del mondo animale e vegetale, e la magia, le ballate intorno al fuoco, le creature fantastiche colorano la vita con un sapore mitico e antico.
La storia, semplice, lineare, scarna di colpi di scena quanto di suspence, è mero pretesto a questa rappresentazione nella quale è perfettamente incastrata.
Posto tutto ciò, come tradurre quanto detto in un formato (quello cinematografico appunto) che, si sa, non lascia molto spazio a elucubrazioni e dettagli, e che in mancanza di sentimenti semplici e diretti come l’amore, richiede, anzi esige l’azione, la narrazione serrata e intricata, pena una sterminata distesa di sbadigli nelle sale?
Vista in questa chiave, nella quale troppo spesso si cade, questa sembra la vera sfida del Signore degli anelli-versione film, una sfida che è ovviamente persa in partenza (diversi sono i codici dei due mezzi espressivi, troppo diverse le loro potenzialità per un trasferimento efficace e minuzioso da parte a parte), dalla quale tuttavia il film non esce nemmeno a testa bassa. I tagli e gli ampliamenti di alcuni ruoli sono evidenti, la sintesi di alcune scene altrettanto, la semplificazione della rappresentazione pure, il tutto in nome di un ritmo più accelerato, ma che agli effetti non stravolge il film, mantenendo salda la struttura narrativa originale e forse anche qualche piccola sfumatura mista di ancestrale e medievale del libro.
L’onore è salvo, la storia è resa più avvincente. Tutti (tranne i puristi bigotti) dovrebbero esser rimasti soddisfatti (o perlomeno accontentati). Il problema è che, naturalmente, non è questa la chiave di lettura in cui inquadrare il film.
Tutto quanto detto finora spingerebbe a parlare di semplice opera di traduzione (chiaramente fallita). Non è quest’ultima invece che si esige da una trasposizione cinematografica, per ovvia diversità di codici stilistici e strutturali come detto, bensì un’interpretazione. Un’interpretazione che come presupposto fondamentale chiede solo il riflesso delle intenzioni originali del testo. Sembra poco ma non lo è.
Jackson invece ci riesce e in compenso mostra tutte le qualità del mezzo cinematografico dando forma visiva ad un mondo oscuro, tetro, popolato da migliaia di schiavi delle tenebre, contrapponendolo ad estasianti paesaggi agresti, animati da creature campagnole e spensierate. Orde di eserciti si schierano nel prologo, esasperando al limite l’immaginazione ispirata dal libro. Fedeltà alle descrizioni del testo originale si accavallano durante le tre ore a creazioni e particolari inediti nei costumi, nei paesaggi, nelle fisionomie. Peter Jackson è un vero adepto tolkeniano, e si vede, ma ha la personalità per non rimanere imprigionato nel romanzo. Peccato che in tutto questo non ci sia spazio per una maggiore profondità delle varie personalità della Compagnia, troppo schiacciate dal piano dell’azione.
L’idea è comunque l’aver convertito ed arricchito con le possibilità del mezzo cinematografico alcuni aspetti, propriamente più visivi, a discapito di altri certamente più adatti ad un testo letterario proprio perché molto meno commercializzabili.
Il risultato è ottimo, se a tutto ciò si aggiunge anche la buonissima prova della regia, molto omogenea ed in questo molto vicina ad uno stile classico. Se l’occhio della telecamera è sempre in movimento nelle scene a campo lungo e lunghissimo, proprio per proporci la bellezza delle scenografie concepite, non ci si aspetterebbe forse lo stesso nelle scene di interazione tra i personaggi e di azione. Invece Jackson adotta un stile unitario con una telecamera impaziente di indagare, di divincolarsi da una staticità che sembra non sopportare, sempre pronta a zoommare su una piega del viso o sul mutamento di uno sguardo, piuttosto che far risaltare visuali soggettive attraverso piani obliqui o ancora operare panoramiche per non spezzettare in frammenti di montaggio. La sensazione è quella di un occhio molto presente e personale alla scena che ha il vizio di passare dal generale al particolare, dalla veduta alla zoommata.
La fotografia è semplicemente spettacolare, capace di evidenziare non solo la luminosità delle terre bagnate dal Bene contro la tetraggine di quelle bagnate dal Male, ma in generale facendo brillare di una luce antica e patinata ogni scena, che sia al chiuso o all’aperto.
Poco soddisfacenti invece le prove di alcuni attori, tra cui la deludente interpretazione di un Bilbo Baggins (Ian Holm) vuoto, fatuo rispetto alle potenzialità che forniva il testo e, ahimè, quella buona, ma non eccellente come si doveva sperare, del candidato all’Oscar Ian McKellen, che riesce in parte a rendere il carattere problematico del saggio ma allo stesso tempo iracondo Gandalf, pur comunque caratterizzandolo al di là dello stereotipo merliniano con una superba capacità espressiva.
Molte le citazioni: alcuni passi della sceneggiatura sono presi di pari passo dal libro, forse per accontentare i filologi, ma probabilmente per creare unità di raccordo tra alcune “accelerazioni” e la storia originale.
In conclusione, il film lascia con l’amaro in bocca ben pochi, probabilmente le fasce più estremiste (coloro che di magia, creature fantastiche e paesaggi medioevali non ne vogliono proprio sapere e coloro che analizzano il film con la lente d’ingrandimento sul libro di Tolkien), un po’ tutti hanno avuto un pizzico di ciò che volevano.
E noi ce ne torniamo a casa in impaziente attesa del prossimo appuntamento. All’anno prossimo.
Francesco Rivelli
Recensione n.8
Se uno pensa a che disastro avrebbe potuto essere il Signore degli Anelli in mano ad altri registi ‘da kolossal’, che so, l’inerte Chris Columbus di Harry Potter o l’insulso Michael Bay di Pearl Harbor per non dire – gasp! – di George Lucas, non si può non ammirare il genio di Peter Jackson. Un progetto caratterizzato da timore reverenziale e ossessioni extra-cinematografiche; un romanzo che non potrebbe essere più lontano dal linguaggio cinematografico; un regista relativamente giovane che fino ad oggi aveva lavorato con budget inesistenti o mediocri lanciato in una megaproduzione hollywoodiana, per quanto realizzata in casa in Nuova Zelanda; un regista, inoltre, che aveva dato le sue prove migliori in film come Bad Taste e Meet the Feeblies – ma anche Creature del Cielo – che non potrebbero essere più lontani dall’atmosfera della Contea (ma come Eichmann in carcere a Gerusalemme trovava ‘disgustoso’ Lolita di Nabokov, è facile immaginare che i film di Jackson sarebbero parsi di cattivo gusto a Saruman); insomma, avrebbe potuto essere un disastro. Invece no. Un gran bel film.
Non è un capolavoro – ma è appassionante fin che lo si guarda, visivamente appagante e rispetta lo spirito del libro per quanto sia possibile. Come disse il dottor Johnson su una famosa predicatrice del suo tempo: ‘loke a dog walking on his hind leg; it’s not well done; but you are surprised to find it done at all’. Poi la curiosamente poetica pedanteria di Tolkien è impossibile da trasporre sullo schermo; le scene di combattimento sono sorprendentemente confuse e poco coinvolgenti; molte scene sono più grosse che grandi. Certo, andrò a vedere le prossime puntate, mentre non sarò disposto a vedere il prossimo Star Wars neanche se paga qualcun’altro. Ma la cosa finisce lì. Come ha dimostrato il box office, il film non riesce ad andare oltre la pur ampia base dei lettori di Tolkien: per gli altri rimane un intrattenimento appagante ma non certo un’esperienza epocale. Inoltre un intrattenimento che non dice nulla o quasi a metà del pubblico, quello femminile: quindi ben poche possibilità di universalità. Una caratteristica di cui Jackson dispone ampiamente e della quale Tolkien era penosamente privo (uno dei maggiori limiti del romanzo: ogni volta che ci prova si vorrebbe dirgli di piantarla) è l’umorismo: qui dev’essere tenuto a bada con le briglie strette ma c’è. Anche di grana grossa: l’orribile troll contro cui combatte la Compagnia nella caverna dei Nani ha un gigantesco e visibilissimo pene. L’altro limite del romanzo, la neurotica avversione al sesso del cattolico preconciliare Tolkien, rimane malgrado l’espansione del ruolo di Arwen ed il suggerimento che anche gli Hobbit possano avere desideri sessuali: non per niente Arwen è stata la più criticata dai fanatici del libro. Perfetto il casting, senza eccezioni. Detto tutto questo, il fatto rimane: Peter Jackson ha dimostrato quanto vale. A proposito di registi inadatti, quando alla fine degli anni 60 i Beatles pensarono ad un loro film del SdA, interpellarono Stanley Kubrick (ne sarebbe stato capace, certo, ma che ne sarebbe stato del romanzo?) che però non era interessato e propose, sicuramente come scherzo, Michelangelo Antonioni. Difficile immaginare regista più inadatto di Antonioni ma si può provare: ISDA di Spike Lee (gansta-hobbit), ISDA di Gabriele Salvatores (scopriamo cos’è veramente l’erba pipa), ISDA di Quentin Tarantino, di Takeshi Kitano, di Merchants e Ivory… La mia entry è il Signore degli Anelli di Lars von Trier: rigida aderenza al dogme: quindi niente effetti speciali. Girato entro un manicomio di Copenhagen, con i malati e gli infermieri a recitare i vari ruoli (con una scelta controversa gli hobbit sono tutti down) e gli ambienti disegnati sui muri dagli stessi malati. Portando i suoi principi alle estreme conseguenze, von Trier decide di rinunciare al montaggio: ne risulta un unico piano sequenza di dodici ore. Polemiche sull’inserimento di alcune scene di sesso hard.
Stefano Trucco