E’ stato paragonato a “La stanza del figlio” ed in effetti “In the bedroom” ha più di un elemento in comune con il film di Nanni Moretti: l’immersione nel contesto sociale del nucleo familiare protagonista, l’imprevedibilità di un lutto, la deriva emotiva che ne consegue, il tentativo di ricominciare a vivere. Diverse però le motivazioni dei personaggi e la soluzione adottata per rimuovere un dolore profondo, anche perché la storia, raccontata per immagini da Todd Field, assume contorni completamente diversi. Abbastanza prevedibile nello sviluppo narrativo, “In the bedroom” colpisce per il rigore della messa in scena. Fugge con determinazione qualsiasi caduta nel patetico e affida a rapidi tocchi, racchiusi tra dissolvenze, il compito di raccontare il trauma emotivo dei protagonisti e l’evoluzione del loro stato d’animo. Scelta davvero efficace che forse appesantisce la visione, a causa della frammentazione del racconto, ma riesce a comunicare con lucidità il convulso mondo interiore dei protagonisti. Alcuni momenti sono davvero forti e svelati con potenza cinematografica, pur se raccontati con un pudore che non prevede musiche ricattatorie o voli della macchina da presa, ma lunghi silenzi, dialoghi minimali e profondità di sguardi. Basta pensare all’incontro in chiesa tra la carismatica Sissy Spacek e Marisa Tomei, oppure al confronto, a lungo rimandato, tra la Spacek e il bravissimo Tom Wilkinson. La sceneggiatura e’ di quelle solide e circolari, con un protagonista che le due ore di proiezione trasformeranno in un altro uomo, e affronta con i giusti dettagli il suo cambiamento psicologico, nonostante qualche caduta nel didascalico (la ferita provocata da un’aragosta, poi rimarginata).

Il film si segnala quindi per l’ottima regia di Todd Field e per le interpretazioni degli attori, ma lascia qualche dubbio sullo spirito con cui affronta il progredire degli eventi. Forse e’ proprio l’inserimento in un contesto americano, cui il cinema ma soprattutto la realtà ci hanno abituato, a rendere prevedibile la vendetta come unica possibile soluzione. In questo senso, nonostante l’assenza di toni trionfalistici e la problematicità sempre in primo piano delle scelte, la calata agli inferi del protagonista ripropone, con modi misurati e realistici, il logoro cliche’ della giustizia personale in mancanza di giustizia sociale. Niente di nuovo, quindi, ma proposto con uno stile asciutto e mai compiaciuto.

Luca Baroncini