Fallimento su tutta la linea.
La cosa mi dispiace sul serio, non solo perchè i primi due film di Darabont, Le Ali della Libertà ed Il Miglio Verde, mi erano piaciuti parecchio, ma perchè rappresentavano un utile correttivo a certi vizi del cinema attuale americano, il montaggio frenetico a coprire la piattezza di caratteri da cartone animato ed la malattia idiota del cattivismo.
Le Ali della Libertà era un capolavoro, mentre Il Miglio Verde era appena meno riuscito (il ritmo di Darabont non è lento, bensì deliberato; nel MV un po’ troppo deliberato. Inoltre l’elemento sovrannaturale, per quanto ben trattato, toglieva un po’ di realtà ai personaggi). Ma due storie carcerarie tratte da romanzi di Stephen King rischiavano di fare di Darabont una macchietta: così Darabont prova una nuova direzione.
Il film è ben girato e benissimo recitato, cosa che rende più penoso il fallimento. Il grande Jim Carrey è un giovane sceneggiatore di Hollywood che, per una sciocchezza giovanile, si trova – nel 1951 – indagato dall Commissione per le Attività Anti-Americane. Sconvolto, guida ubriaco, ha un incidente e perde la memoria. Si ritrova a Lawson, una cittadina che ha perso un numero sproporzionato di uomini durante la guerra, e viene riconosciuto come suo figlio Luke dal vecchio gestore del cinema, Martin Landau. Finisce per inserirsi nella vita del paese ma alla fine il suo vero passato lo raggiungerà…

Luogo comune: melassa. Tanta, ed alla fine ci scappa da ridere. Lento, molto lento. Tutti sono molto, molto nobili. Antiche vecchie virtù. La magia del cinema. Caduti per difendere la democrazia. Tutte cose degne, ma qui Darabont riesce a renderle banali e false grazie al semplice espediente di una assoluta mancanza di ironia. Un film alla Frank Capra – ma il Capra del declino. I migliori film di Caprasaranno anche stati ‘buonisti’ ma avevano ritmo e umorismo. Qui no. A un certo punto tutto è terribilmente scontato. All’ennesima cerimonia con lacrime speriamo che arrivino quelli dell’FBI ad arrestarlo.
Nei due film precedenti, benchè l’accento fosse sulle possibilità positive della natura umana, la presenza del male era forte e disgustosa. Qui, anche se i cattivi sono i maccartisti anticomunisti, il male è debole ed esterno, con poca sostanza.
Quando il film uscì negli USA, il dicembre scorso, i media erano ancora convinti che gli attentati dell’11-9 avessero prodotto un grande mutamento nello spirito americano: più serietà, più patriottismo, più buoni sentimenti. Così scrissero (la maggior parte) bene di questo film che però fallì nettamente nei cinema. Il back to normal era stato molto più rapido di quanto tutti si aspettassero. Nel 1944 Hail the Conquering Hero, di Preston Sturges, aveva descritto con ben altro spirito il ritorno al paese di un finto eroe, descrivendo con cattiveria ed affetto la sottile demenza che cova sotto la tranquillità delle piccole cittadine e dei sani vecchi valori. Darabont non ci riesce proprio.

Stefano Trucco