Recensione n.1
Il regista piu’ famoso del mondo, uno degli scrittori di fantascienza piu’ saccheggiati dal cinema e uno degli attori piu’ conosciuti. Un’unione di talenti cosi’ popolari implica grandi aspettative ma anche grossi rischi, perche’ l’intento commerciale di piacere al maggior numero possibile di spettatori, richiede spesso compromessi che deludono chi invece si attende l’esplicitazione di un punto di vista personale e autentico.
Il risultato, nonostante qualche eccessiva semplificazione (soprattutto nel finale), non delude comunque chi ama il buon cinema. La storia, che racconta un prossimo futuro in cui e’ possibile prevedere i crimini prima che vengano commessi, e’ molto intrigante e Steven Spielberg si conferma un grande assemblatore di immagini ed emozioni. La sua maggiore abilita’ e’ di riproporre, con ironia e un senso dello spettacolo “bigger than life”, un plot originale ma dagli sviluppi classici: un personaggio solo contro tutti, un trauma da rimuovere (che pero’ resta tale), un rigido “count-down”.
La sceneggiatura si preoccupa di spiegare il piu’ possibile, lasciando nel vago alcuni elementi che restano irrisolti (perche’, ad esempio, la capacita’ precognitiva dei “Pre-Cogs” ha un raggio di pochi chilometri?) e avvicendando in modo un po’ meccanico continue sequenze causa – effetto. Ma e’ proprio la regia, unita al montaggio serrato di Michael Kahn (il prologo e’ in questo senso un vero e proprio gioiello) e alla fotografia desaturata di Janusz Kaminski, che permette di assecondare la discontinuita’ della narrazione. Momenti razionalmente inaccettabili si trasformano cosi’ in una gioia per gli occhi. Basta pensare alla lunga sequenza in cui il protagonista deve operarsi agli occhi, che diventa un grottesco teatrino dove l’horror si sposa con la parodia. Oppure all’incontro tra Tom Cruise e la creatrice dei “Pre-Cogs”, perno della narrazione ma assai didascalico, che assume toni tra la favola e il sogno. Altri momenti, narrativamente superflui, come l’inseguimento fracassone del protagonista trainato da “jet-pack” o la rocambolesca fuga da una fabbrica di auto, sono comunque posti con l’opportuna leggerezza. I personaggi sono costruiti con le necessarie motivazioni per renderli credibili e gli interpreti ben si calano nell’atmosfera onirico-futurista del progetto. Colpiscono soprattutto l’intensita’ e il trasformismo di Samantha Morton nel ruolo della vulnerabile ma potentissima Agata, il “Pre-Cog” piu’ illuminato. Ma anche Tom Cruise evita di gigioneggiare gesticolando a destra e a manca (vedi il mediocre “Jerry Maguire”) e per una volta la sua missione impossibile appare meno sghignazzante e piu’ dolorosa. Il personaggio meno riuscito e’ sicuramente quello, inizialmente marginale e poi risolutivo, dell’ex-moglie, privo di una caratterizzazione in grado di salvarlo dall’anonimato.
Quanto ai contenuti, il film offre una visione poco rassicurante del futuro, in cui la privacy e’ annullata in nome di un presunto bene comune e dove la persona diventa semplice oggetto di consumo.
Molti gli spunti, le sfumature e le possibili implicazioni, e pochi gli approfondimenti. Ma il film non vuole essere un trattato contro i pericoli dell’avvenire e non prende una vera e propria posizione pro o contro la spersonalizzazione dell’individuo. Lascia allo spettatore l’opportunita’ di trarre considerazioni e ai personaggi un libero arbitrio a cui appellarsi una volta conosciuta la verita’, ma la critica sociale diventa piu’ che altro uno sfondo in cui ambientare una storia tesa ed avvincente. C’e’ forse qualcosa di negativo in questo? Un bravo regista deve come obiettivo primario scuotere le coscienze o mettere il suo talento al servizio del racconto? Il dubbio e’ piu’ che lecito, ma rischia di annacquare l’efficacia di una visione il cui punto di forza resta comunque il “divertissement”.
Luca Baroncini
Recensione n.2
Spielberg finalmente ritorna. Il nuovo film dell’ ebreo più potente di Hollywood, fa perno su un intreccio elaborato giocando con i paradossi dell’ autoreferenzialità e grandi temi come la predestinazione o il libero arbitrio. La carta vincente e’ appunto questa appagante complessità narrativa, oltre ad un impianto visuale assolutamente di prima classe, inedito, quasi inarrivabile. Spielberg ci racconta la vita del futuro da un punto di vista iper-realista, portando alle estreme conseguenze tutte quelle che sono le devianze e le idiosincrasie della moderna società. A differenza del accrocco Warchoskiano, a cui però questo film deve qualcosa, Spielberg mette cmq in scena una fabula molto intrigante, dove chiunque possa guadagnare uno spunto di riflessione, non vi e’ però la stessa superficialità e la stessa fighetteria fracassona di un film come Matrix, ma spesso anzi una messa in scena fredda, simmetrica, geometrica, introspettiva, quasi come se il film precedentemente girato, nella inevitabile contaminazione con Kubrick, avesse portato ad una svolta stilistica, stavolta ben più consapevole e matura. Quindi un saggio mix tra pura action (con delle sequenze a dir poco memorabili) e thriller (e nella maniera più classica: l’uomo braccato in fuga dal sistema), portano questo film su delle considerazioni che lo elevano abbastanza facilmente da qualsiasi banale stroncatura mossa magari da snobismo per il successo di pubblico che questo film certamente (e meritatamente) avrà. Il futuro di Spielberg e’ una suggestione che, benché sia finzione cinematografica, resta credibile, forte, qualcosa con cui fare i conti.
E’ proprio nello scorrere le pubblicità del futuro all’interno del film (preso chiaramente dall’universo Verhoeveniano), nell’immaginare come sarà il futuro tra pochi anni, che si evince l’umanità profonda a cui anela questa visione di Spielberg: la vita come punto di partenza, come collante per descrivere i rapporti tra il singolo e la collettività, il sistema, ma anche i suoi rapporti con gli affetti, la famiglia, i propri cari. Spielberg coglie nel segno anche quando vuole rendere iperbolica questa visione, anche quando risolve il film con un semplice meccanismo giallo, fatto di indizi vaghi, antecedenti, dove solo le le figure femminili riescono a riportare l’ordine e l’equilibrio. Un primo tempo molto più potente e devastante rispetto al secondo, ma cmq un film sicuramente da non perdere.
B A r r Y Z
Recensione n.3
In tempi di “guerra preventiva”, la Pre-crimine di Minority Report suona come un inquietante tarlo che vive nei pensieri dell’uomo. Prevenire è meglio che curare, si dice sempre. Ma le azioni degli uomini possono essere prestabilite con assoluta certezza? Soprattutto, sono già fissate o c’è possibilità di scelta?
Nella storia di un futuro assassino che lotta contro tutti e se stesso per non commettere l’omicidio che sa essere destinato a compiere, c’è evidentemente tutta la riflessione sul destino umano e sul suo significato.
Ma ciò che per primo lascia allibiti di Minority Report è, ad un primo impatto, ben altro.
Una sensazione scomoda e affascinante si fa largo durante tutta la durata del film, una voce dai meandri nascosti della memoria cerca di parlare, mentre l’attenzione è impegnata a seguire e smascherare la trama del film; quel sussurro si infiltra sempre più tra le ambientazioni futuristiche e le innovazioni tecnologiche, finché usciti dalla sala le immagini si mischiano con flash di Blade Runner, Ritorno al futuro, Atto di forza…; non solo, a scorrere sono inspiegabilmente sequenze di Apocalypse Now, il Corvo, Mission Impossibile, Terminator…(finché in preda alla pazzia si arriva anche a vedere improbabili influenze del “Nirvana” di Salvatores!). Dopo un iniziale stupore, tutto diventa più chiaro: Minority Report racconta il futuro riutilizzando il passato in modo straordinariamente personale e autonomo. Rare sono le scene che direttamente si ispirano a classici del cinema, ancor più rare sono le citazioni esplicite (l’occhio spalancato di Arancia meccanica ritorna esattamente uguale), mentre costante è l’ispirazione che film del passato infondono nell’anima delle sequenze.
E’ qualcosa di impercettibile, ma presente, che non si può non sentire tra le righe della trama: questo film si appoggia saldamente su fondamenta già costruite, e in questo sta uno dei suoi più grandi pregi.
Constatato ciò, si ritorna sul mondo creato con raffinata immaginazione (quella non è mai mancata a Spielberg) e, bisogna ammetterlo, non basterebbero fiumi di parole per elogiare il naturale istinto col quale il regista sa rendere vicino e possibile anche il mondo più fantasioso e improbabile. L’empatia che la sua macchina da presa sfoggia è un dono che pochi registi possiedono, cosicché le navicelle spaziali che si catapultano da una parte all’altra della città, i poliziotti che si spostano volando tramite razzi propulsori incorporati, le immagini tridimensionali che provengono direttamente dai neuroni di veggenti ridotti a vegetali, filtrati con umano calore da quel “tocco” che solo i “grandi” hanno, diventano assolutamente reali.
Grazie all’ispirazione del cinema passato (da Hitchcock al suo A.I.) e alle sue straordinarie capacità di narratore, il futuro creato da Spielberg suona come un presente alle porte e funziona da affascinante piattaforma per godersi l’intricata storia. Un domani che riflette i timori della società odierna: l’assenza di privacy, la paura degli omicidi, la presenza invasiva della tecnologia…
Si sfiora la poesia nella prima parte, quando musica classica e tecnologia dialogano a vicenda con geniale intuizione. Poi, prende sempre più piede il ritmo da thriller e gli sforzi si concentrano sulla suspence d’azione.
In sé, il film lascia in sospeso diversi piani di lettura che suggerisce ma non approfondisce nella frenesia di seguire il filo della trama, ma come detto, ciò su cui vuole evidentemente dire qualcosa è la tematica della predestinazione e il libero arbitrio. In merito a ciò, ottimismo e pessimismo si alternano lungo i colpi di scena, fino a quando l’umanesimo hollywodiano conclude la faccenda mettendo i paletti giusti al posto giusto, in un prezioso colpo di reni finale che ristabilisce pieni poteri all’uomo.
D’altronde, dopo aver guardato tanto alla tradizione, sarebbe stato impossibile attendersi un finale che rinnegasse proprio il caposaldo di decenni e decenni di cinema americano: la forza creatrice dell’individuo sul proprio destino. Dubbi di una tale portata, capaci di rimettere in discussione certezze di una vita, in genere si profilano nella mente di un genio verso la fine della sua vita.
Spielberg, ha ancora così tanti capolavori di fronte a sé…
Francesco Rivelli