Per due anni, Elling e Kjell hanno condiviso la stessa stanza all’interno di un ospedale psichiatrico. Anche fisicamente antitetici, l’uno minuto e bassino, l’altro alto e corpulento, sono riusciti a infrangere il muro di solitudine che li separava e ad instaurare una comunicazione profonda e affettiva. Il ben funzionante welfare norvegese offre loro l’opportunità di una vita normale: un appartamento nel centro di Oslo. In cambio, la strana coppia dovrà dimostrare di sapersela cavare. Fare la spesa, rispondere al telefono, allacciare rapporti di amicizia non pilotati, andare al cinema, cenare al ristorante… Insomma, condurre una vita almeno in apparenza normale.
Sul labile crinale che separa la follia dalla normalità, i due amici riusciranno nell’impresa coinvolgendo altri personaggi che la vita aveva messo al margine, rilanciando così la propria e l’altrui esistenza. E scoprendo in sé talenti mai sospettati, che riaffiorano maieuticamente dalle nebulose dell’inconscio. Ma il tutto senza forzature, rimanendo se stessi e fedeli al proprio pur infelice passato.
Il film ispirato ad un romanzo di Ingvar Ambjornsen (che prima di arrivare sugli schermi è stata oggetto anche di un adattamento teatrale) ha un andamento narrativo lineare, segue da vicino i personaggi e le loro a volte irrefrenabili esplosioni emotive. La regia è discreta e dimessa, l’analisi psicologica approfondita, l’ironia non è mai invasiva perché lo spettatore tende a immedesimarsi nei protagonisti e a ridere con e mai di loro. Delicato e corretto, a tratti commovente, ci insegna ad avere maggior rispetto della nostra come dell’altrui follia.

Mariella Minna