Recensione n.1

Dopo l’affascinante labirinto noir di “Following” e il virtuosistico rompicapo di “Memento”, il regista Christopher Nolan, alle prese con una grande produzione e tre premi Oscar, delude un po’ le aspettative. Non che il film non funzioni, ma opta per scelte tutto sommato facili che lo rendono un thriller senza guizzi. Tolta infatti l’inconsueta ambientazione in Alaska, con il paesaggio che diventa parte integrante del racconto, sono pochi i sussulti provocati da “Insomnia”. La storia comincia nel modo piu’ classico, con un delitto e un poliziotto dal torbido passato ingaggiato per risolvere il caso. Poi la trama si fa piu’ interessante, ma la scena chiave dell’agguato al capanno e’ costruita in modo poco credibile, con tutti i personaggi forzatamente al posto giusto (o sbagliato) per innescare lo stratagemma narrativo in grado di dare respiro al film. Per il resto, nonostante una certa abilita’ nel mantenere la tensione, sono troppe le coincidenze e le intuizioni giustificate in modo approssimativo e la conclusione opta per l’inevitabile resa dei conti. La presenza di Al Pacino si rivela presto ingombrante, con mosse, scatti repentini, sguardi, silenzi, ormai marchio di fabbrica della sua recitazione. E’ uno dei casi in cui l’attore prevarica il personaggio e, pur donandosi ad esso, finisce con il soffocarlo.
Robin Williams, che pare ormai deciso ad abbandonare la commedia, presta la sua maschera di gomma ad un personaggio disturbato e gioca, per una volta, di sottrazione. Quanto a Hilary Swank, meno nota al grande pubblico nonostante l’Oscar per “Boys don’t cry”, conferisce alla poliziotta in carriera affacciata sul mondo un calibrato equilibrio di grazia e determinazione.

Luca Baroncini

Recensione n.2

Quanto ci vuole a cambiare la verità? Quante volte avete detto alla vostra fidanzata, al vostro ragazzo una versione diversa dalla verità?
Mentire è facile come uccidere, come inventare prove, creare indizi. Non dorme chi lo fa e chi non dorme, anche nella luminosa notte dell’Alaska, ha tempo di scambiarsi confessioni sui propri demoni. Nell’inseguire ostinatamente un colpevole si inciampa su ogni masso, si scivola su ogni tronco e si cade su ogni bossolo. Ma questo inseguimento senza fine non fa si’ che Insomnia sia un film veloce, anzi.
Raro esempio di film intelligente, lento, ma non noioso, Insomnia corre sulle due ore, con un Pacino in forma smagliante ed un Williams abbastanza convincente. Un’alzata di sopracciglia o due palpebre che si abbassano bastano a far godere lo spettatore, specie se il doppiaggio è affidato a Giannini. Ma le vere chicche del film sono una regia e una concezione delle inquadrature da vero maestro e un’Alaska ripresa e rappresentata in tutta la sua maestosità. Ottimo.

Guglielmo Pizzinelli

Recensione n.3

Come molti altri film che hanno rivisitato le atmosfere, i temi, l’iconografia del film noir classico (1941-1958), Insomnia sceglie programmaticamente un discorso all’insegna dell’antitesi e del ribaltamento. Certi elementi tipici del genere sono ripresi e rielaborati, cambiati radicalmente di segno e ripresentati in negativo. Il noir degli ultimi anni (forse dovremmo dire neo-noir o post-noir) si nutre di questa trasgressione, e anche Insomnia propone qualche spunto interessante in tal senso.
Innanzitutto la luce. Lo scenario dell’azione è un luogo in cui è sempre giorno. Ed ecco il primo ribaltamento: in Insomnia non ci sono contrasti tra luce diurna e luce notturna, la notte non è più uno spazio-tempo abitato dai peggiori incubi, in cui il pericolo si nasconde dietro ogni ombra o dentro ogni sacca d’oscurità, nel nero. Qui il pericolo e la morte si presentano ai nostri occhi in pieno giorno o, se si vuole, in piena notte, dato che ormai non c’è più nessuna distinzione tra i due. Il male, ora, può presentarsi indisturbato in qualsiasi momento così come in qualsiasi luogo. Infatti il particolare rapporto che si creava tra lo spazio (claustrofobico, chiuso e opprimente) e il personaggio nel noir classico, viene ora ostentatamente rifiutato e rovesciato. Nemmeno all’aperto, nel paesaggio naturale dell’Alaska, nel suo spazio accecante e nella sua luce sconfinata, i personaggi possono sentirsi completamente al sicuro.
Il protagonista, poi, scaraventato in un mondo che non è il suo, è costretto a ricreare l’oscurità della notte. Le ore notturne diventano il momento in cui combattere e opporsi a questa luce invadente e senza fine, in una paradossale ricerca del buio, dal quale un tempo era bene tenersi a debita distanza.
L’unico modo di opporsi a questa luminosità totale e fagocitante è filtrarla attraverso le superfici opache, gli strati di nebbia, i teli alle finestre. Un’opacità che sfoca le immagini e le capacità percettive, proprio come l’opacità e l’alterazione mentale indotta dall’insonnia che colpisce il protagonista. Un’opacità che avvolge ogni oggetto o corpo, e che si traduce in opacità morale, in una ambiguità nella quale affogano e si confondono il tutore della legge e l’assassino. Un’opacità in cui è molto difficile assegnare perentoriamente le colpe.
L’omaggio e la rilettura del codice genetico del noir passano anche attraverso una pratica citazionista più o meno sfacciata, a cui faremo soltanto un paio di rapidi cenni.
L’assassino è uno scrittore, più precisamente uno scrittore di thriller da quattro soldi, roba da paperback, da pulp magazine. Proprio come i pulp magazines sui quali ha esordito il padre dell’hard-boiled school, Dashiell Hammett, autore di The Maltese Falcon. Guarda caso da quel romanzo John Huston trasse l’omonimo film del 1941: data di nascita del noir al cinema e prima archetipa apparizione di Bogart nei panni del detective privato.
E l’incontro sul traghetto tra Pacino e Williams potrebbe ricordare un altro incontro fatidico, quello di fronte all’isola di Alcatraz tra Walker (Lee Marvin) e Yost. Succede in Point Blank (Senza un attimo di tregua) di Boorman, nel 1967: altra tappa cruciale nell’evoluzione del noir fino ai nostri giorni.

Sasha Di Donato