Recensione n.1

Difficile credere che il regista di questo delizioso racconto corale sia lo stesso che ha debuttato nel 1998 con l’orribile “Sitcom”. Eppure, gia’ nella malriuscita opera prima di Francois Ozon (coccolato dalla critica fin dai cortometraggi di esordio), ci sono tutti gli elementi che contraddistinguono la sua cinematografia: la dissacrazione della famiglia, una certa morbosita’ nel delineare le pulsioni umane, il gusto del grottesco, la contaminazione di stili. Elementi che ritroviamo, con ben altra armonia, nel riuscitissimo “Otto donne e un mistero”. Il regista riesce infatti ad amalgamare con ironia atmosfere da giallo all’Agatha Christie, una passione per il cinema come dispensatore di sogni e un pizzico di contagiosa follia. La storia vede riunite otto donne in una casa isolata al cospetto di un uomo accoltellato. L’assassina pare essere inevitabilmente una di loro e la forzata prigionia fara’ riemergere conflitti familiari mai sopiti. Raccontato cosi’ sembra il classico film di impostazione teatrale, dove le apparenze ingannano, i parenti si rivelano serpenti, bla, bla, bla. Invece Francois Ozon riesce ad imprimere al lungometraggio un taglio personale esplicitando fin dai floreali titoli di testa le sue intenzioni: giocare con il cinema. Ma non si accontenta di un citazionismo spicciolo, riproducendo fedelmente atmosfere in technicolor degli anni cinquanta e facendo muovere le attrici come dive del passato. Non tenta, insomma, la carta dello svecchiamento fine a se stesso, ma dona nuova vitalita’ ad un immaginario solo temporaneamente accantonato. Qualcosa di simile all’operazione compiuta da Todd Haynes in “Far from heaven”, con la differenza che si partecipa al film di Ozon con un prolungato sorriso ironico, mentre il lungometraggio di Haynes finisce con il raffreddarsi prendendosi sul serio. Alla divertita e divertente riuscita di “Otto donne e un mistero” contribuiscono la cura dei dettagli, nelle scenografie e nei costumi, e una sceneggiatura ad orologeria, dove gli improbabili colpi di scena si succedono a ripetizione, inframmezzati da canzoni che diventano un piacevole e mai noioso intermezzo. Ovviamente, grande plauso al cast che riunisce alcune muse del cinema francese: radiosa Fanny Ardant, ironica e sempre sperimentatrice Catherine Deneuve (nonostante qualche impaccio nei balletti), bellissima (ma non solo) Emmanuelle Beart e mitica la veterana Danielle Darrieux. Isabelle Huppert e’ la piu’ caricaturale, ma e’ sempre un piacere vederla recitare, Virginie Ledoyen esce dal glamour di ragazza copertina dimostrando di saper recitare e le meno famose Firmine Richard e Ludivine Sagnier sono una piacevole sorpresa. Tra le righe emerge una buona dose di misoginia e l’Uomo appare quanto mai fragile e vulnerabile: l’unico che si intravede e’ morto e nei rapidi flashback e’ sempre di spalle. Chissa’, forse un simbolo dell’anonimato della figura maschile alla completa merce’ degli intrighi orditi con inganno, arguzia e poco amore dalle calcolatrici, avide e per nulla romantiche donne, anzi, Femmine. Una visione non per forza condivisibile, ma condotta con brio, humour e passione cinefila contagiosi.

Luca Baroncini

Recensione n.2

Il giovane regista francese Ozon è difficilmente inquadrabile ma di sicuro talento.
Ogni sua nuova pellicola è diversa dalle precedenti, in tutte traspare un infinito amore per la settima arte e una sensibilità spiccata nella messa in scena.
8 donne e un mistero (il film rappresenterà la Francia all’Oscar) è tratto da una commedia gialla degli anni settanta di Robert Thomas.
Un delitto, dell’unica figura maschile del film, è lo spunto per rivelare il substrato di menzogne e inganni che accompagna la vita delle otto protagoniste.
Il gioco al massacro delle accuse reciproche alla ricerca del colpevole, mette in luce la parte nascosta, non visibile, delle relazioni che intercorrono all’interno della famiglia.
Ozon si diverte a ricreare un’atmosfera da technicolor anni è50 con abiti di fine sartoria, scenari carichi di colori, dialoghi brillanti alla George Cukor, inserendovi un intreccio giallo alla Agatha Christie.
L’impossibilità dei personaggi di uscire dalla villa, ricorda il Bunuel dell’Angelo sterminatore.
Le otto splendide protagoniste sono obbligate a confrontarsi con il lato oscuro della loro personalità, con i vizi, le ambizioni, troppo spesso celate per il quieto vivere borghese.
Il film ricco di battute fulminanti , di un sano cinismo, scorre svelto, accompagnato da una regia invisibile, come nel miglior cinema da studio Hollywoodiano.
Otto donne e un mistero non è però un film citazionista, nostalgico, ma anzi riprende uno stile classico per combinarlo, metamrfizzarlo, aggiornarlo.
Gli innesti che opera il regista sul corpo filmico sono interessanti: il musical, dinamico, effervescente, irreale, si scontra con la razionalità matematica, claustrofobica del giallo. Ogni attrice con un suo ìassoloî musicale rivela qualcosa di se, rendendo ancora pi_ spuria e libera (con un occhio anche a Truffaut) la forma.
Il contenuto spregiudicato, incesto, lesbismo, gravidanze segrete, riaggiorna il tutto ai giorni nostri, quasi come in una Soap opera contemporanea.
La pellicola è anche un viaggio attorno alla femminilità, alle sue mille sfaccettature.