Recensione n.1
In Italia siamo abituati a guardare film ambientati in ogni angolo del mondo in cui i personaggi, magia o follia del doppiaggio, parlano perfettamente in italiano. Ma vedere Harrison Ford, icona americana per eccellenza, parlare inglese mentre interpreta la parte di un ufficiale dell’esercito russo, provoca la stessa sensazione di un gesso sulla lavagna. L’idea del cambio di prospettive, alla base del kolossal di Kathryn Bigelow, resta comunque l’aspetto piu’ interessante del film. Per una volta, infatti, i protagonisti non sono i soliti americani, ma l’equipaggio di un sottomarino russo alla prima uscita in mare per testare l’efficacia del nuovo ordigno bellico provvisto di testate nucleari. A parte questa variante, apprezzabile negli intenti, ci troviamo
pero’ davanti al classico filmone hollywoodiano che ripropone tutti i luoghi comuni del genere: la claustrofobia del sottomarino, gli inconvenienti tecnici, i conflitti tra ufficiali, e tra ufficiali e truppa, fino alla debolezza del codardo che puo’ trovare riscatto solo nel sacrificio. In questo senso l’adrenalinica regista di “Strange Days” e “Point Break” delude parecchio le aspettative. Non tanto dal punto di vista tecnico e della costruzione del racconto, riesce infatti a conferire dinamismo alle sequenze d’azione e mantiene in crescendo la tensione nonostante non succeda poi granche’, quanto per la traslazione in terra russa dell’immancabile patriottismo ed eroismo americani. Retorica di approccio che si esaspera in un finale eterno e ridondante (e anche un po’ ridicolo nel trucco posticcio con cui invecchia gli attori). Lo spettacolo, se ci si accontenta, e’ comunque garantito.
Luca Baroncini
Recensione n.2
Cosa ci si può aspettare da un film americano su un sottomarino russo? Si inserisce nel filone “Air force one”: si spegne il cervello e si segue la storia. Fine. La Bigelow riesce a tirar fuori una paio di passaggi carini (gli spazi del sottomarino sono strettissimi e la mdp, a volte, fa dei movimenti davvero impressionanti), ma rimane un film abbastanza anonimo. Harrison Ford non muove un muscolo del volto per tutti i 137′.
Voto: 5 e mezzo
Ma quant’è brava la Bigelow. Anche quando non fa bei film. Estasianti, tutto il gioco di primi e primissimi piani sui protagonisti, diretti magistralmente e sul viso dei quali si legge, si respira la tragedia. E la denuncia implicita, silenziosa, eppure così pregnante ed attuale, alla luce di ciò che è appena avvenuto nel vicino atlantico e col Kursk, della stupidità umana che crede di poter governare, imbrigliare, gestire agevolmente le potenti ma venefiche risorse naturali, che gli scappano di mano subdolamente, silenziosamente, implacabilmente, siano esse nucleari, chimiche, batteriologiche, petrolifere.
C’è la tragedia dei disastri, la condanna della superbia, esasperata dal conflitto tra i due comandanti, assente nella vicenda reale a cui comunque nella sostanza K-19 resta angosciantemente fedele (cfr. National geografic dot com), lo stress del comando, la frustrazione dell’impotenza, la sofferenza della miope catena di comando. E proprio la fedeltà al vero, in ultima analisi salva il film, perchè c’è sì il dramma, quello vero, se non che ad un certo punto la retorica scappa di mano alla Bigelow, rovinando tutto, come un attaccante che voglia strafare a dieci metri dalla porta, con una cannonata che finirà in tribuna. Si esce stufi, stuccati, persino un po’ annoiati dall’epilogo didascalico.
Consci di aver visto un buon film, rovinato inutilmente dalla solita, sopra le righe esaltazione dell’eroismo, del coraggio, dell’abnegazione che sì furono attori nella storia del K-19, ma che la troppa insistenze rende, come ogni cosa, fastidiosamente pesanti. Ottimi Ford e Neeson, ma che fine ha fatto la sequenza del lancio di siluro che si vede nei trailer.
Guglielmo Pizzinelli