Recensione n.1

Dopo il trionfo de “La vita e’ bella” Roberto Benigni e’ diventato un’icona venerata in ogni parte del mondo. Davvero difficile quindi restare fedele alla propria immagine di poeta burlone riuscendo nel contempo a raccontare qualche cosa di nuovo. La scelta di adattare il testo di Collodi, perfetta sulla carta per far risaltare lo spirito istrionico di Benigni, si rivela invece fallimentare sotto molti punti di vista. Ci vuole una grande capacita’ di astrazione per credere che il burattino di legno costruito da Geppetto sia un uomo, e perdipiu’ il cinquantenne Roberto Benigni, ma il film da’ per scontato che sia cosi’ e non si pone il problema di rendere credibile questo aspetto.
Tutti i personaggi lo vedono come burattino e questo basta a risolvere il problema. Ma sono tanti i passaggi che giocano sulla notorieta’ del classico di Collodi e il film sembra piu’ che altro un riassunto dei punti salienti del romanzo senza un collante di sentimenti e magia. Tutti i passaggi chiave, infatti, vengono piu’ o meno rispettati, ma si passa a un episodio all’altro in modo meccanico e approssimativo: la fata turchina prima abita in un bosco e poi in riva al mare, il Grillo Parlante appare e scompare senza logica, Geppetto dice di avere fatto tanto per l’educazione del burattino e lo cerca disperato quando lo ha visto solo per pochi giorni.
Non basta essere fedeli a un testo per trasmetterne l’essenza e al film manca una visione d’insieme in grado di animare la storia raccontata. Tutti i personaggi sono ridotti a macchiette e gli interpreti fanno quello che possono, ma non riescono nell’impossibile tentativo di dare vita a personaggi che di vita non ne hanno: Roberto Benigni, dopo lo spaesamento di ritrovarselo bambino e di (finto) legno, porta la sua maschera con credibilita’, ma riduce Pinocchio a una peste urlante che combina guai a destra e a manca senza causare il minimo stupore; Nicoletta Braschi presta il suo piglio etereo (o catatonico?) alla Fata Turchina recitando in perenne stato di veglia; Carlo Giuffre’ e’ un Geppetto con un’unica battuta (“Pinocchio dove sei?”) da annali del trash; Kim Rossi Stuart e’ un volenteroso Lucignolo, forse il personaggio piu’ approfondito del film; i Fichi d’India sono perfetti come Gatto e Volpe, ma i loro battibecchi non suscitano alcuna ilarita’. In generale si puo’ dire che manca a tutti i personaggi e al film stesso una progressione drammatica. Qualche cosa alla fine dovrebbe essere cambiato, ci viene detto, ma non ce ne accorgiamo.Tecnicamente invece ci troviamo davanti a un kolossal molto curato. Bellissimi e fantasiosi scenografie e costumi del compianto Danilo Donati; poetiche le musiche di Nicola Piovani, suggestiva la fotografia di Dante Spinotti e convincenti gli effetti speciali di Rob Hodgson. Peccato che nello sfarzo della confezione si senta la mancanza di un elemento determinante: l’emozione.

Luca Baroncini

Recensione n.2

E’ necessario andare a vedere Pinocchio con lo spirito leggero, la mente in vacanza, l’entusiasmo di un giorno di sole e la spensieratezza dei primi amori. E’ necessario inoltre ricordare che si va a vedere Pinocchio e non una nuova storia di Roberto Benigni. Infine, è necessario tener presente che prima di ogni altra cosa Pinocchio, il libro, è un inno alla visione fanciullesca della vita, alla sua ingenuità, inconsapevole allegria che i bambini possiedono prima che la vita la tamponi con la sua pesantezza. Se si tengono a mente queste tre cose, la certezza è una sola: Pinocchio parrà un gran bel film.
Le prime cose che si notano, anche se erano già prima ampiamente risapute, sono la magnificenza della scenografia e la qualità della fotografia. Si presentano entrambe nell’incipit, sotto le spoglie di una fiabesca notte al chiaro di luna, lasciando intendere che sarà soprattutto un grande spettacolo per gli occhi. E Pinocchio è infatti questo: una incredibile festa di colori, a volte magici come le atmosfere notturne e gli interni nella casa della Fata (purtroppo Nicoletta Braschi, ammettiamolo, non è proprio la Fata che tutti sognavamo…), a volte vivi e intensi come nelle scene circensi, a volte umili e sobri come nelle ambientazioni quotidiane, a volte splendidi quanto sterminati nelle panoramiche collinari.
Ha fatto bene Benigni ad attendere tutti questi anni per realizzarlo. Solo in seguito al successo mondiale de La vita è bella sarebbe stato possibile raccogliere i fondi per attuare un progetto così ambizioso e fastoso.
Ma di questo burattino cinematografico c’è anche un’altra cosa che piace sopra tutte. E’ la marcata sottolineatura dello spirito spensierato di Pinocchio, della sua ingenua vitalità fatta di bugie e animo candido, non realizzati attraverso modifiche sulla sceneggiatura, anzi strettamente ancorata al libro (a parte le variazioni iniziali e finali e qualche piccolo ritocco nel mezzo), ma con la semplice interpretazione di Benigni. Quando si dice che Benigni è Pinocchio, lo incarna in tutto e per tutto, non si dice una bugia. Non c’è assolutamente fatica nell’atto di recitazione, non ci sono le solite forzature che anche ne La vita è bella ricordavano i limiti di Benigni-attore (a dispetto dell’Oscar). Qui il toscanaccio di Vergaio si trova finalmente nei suoi panni, non deve far altro che ripetere, con una vocina un po’ più infantile, quello che fa da sempre. Il risultato è strabiliante: un connubio perfetto tra il personaggio del libro e quello del film. Alla fine tutti dovranno ammettere che Pinocchio ce lo siamo sempre immaginato così, con quelle smorfie che erano rimaste nel cassetto fin dai tempi de Il Mostro e Johnny Stecchino, con i salti e gli impeti degli spettacoli comici o della serata agli Oscar (la scena del teatro di burattini sembra un remake parodistico di quest’ultima), con la forza mimica che solo lui possiede.
E’ doveroso poi un ammirato plauso al grande Kim Rossi Stuart, semplicemente perfetto nel dar vita a Lucignolo, forse il personaggio più riuscito dell’intero film. Con lui, Benigni sviluppa, sempre senza eccedere rispetto al libro, la tematica dell’amicizia e ci regala una commovente scena di commiato, lirica ma misurata. Si ripete, come nel precedente capolavoro, quella maturità ormai definitivamente assunta dal regista italiano, che gli dà il senso della misura e non permette alcuna stonatura che non viaggi lungo l’atmosfera e il ritmo generale dell’opera.
Una volta iniziati i titoli di coda viene già la nostalgia per quel bel mondo incantato tra le nuvole, quei bellissimi paesaggi trasportati fra magia e allegria, quell’ombra di spensieratezza che tutti noi (più o meno sopita) possediamo, e che a film ultimato vorrebbe urlare nello splendido italiano di Collodi: “Pinocchio, rivivisci!”

Francesco Rivelli

Recensione n.3

Tutti contro Benigni o Benigni contro tutti?
MEDUSA RIDENS

Non si parla più neanche del film, ma solo dell’accoglienza della critica. Di solito si dice che l’accoglienza è stata fredda. In questo caso si può dire che è stata quantomeno rancorosa. E perché? Certo il film blindato era molto atteso e forse, anche solo per questo, c’era da aspettarselo. Succede sempre così. Ma pure questa volta si tratta solo di un innato pregiudizio inconscio? Chissenefrega. Però è interessante osservare come questo botta&risposta tra Intellettuali stia stipando i giornali. Mentre il botteghino ride.

E anche noi ce la ridiamo. Almeno da quando Aldo Busi è andato da “Chiambretti c’è” vestito da fata Turchina per dire che il suo pezzo commissionato dall’”Espresso” alla fine non è stato pubblicato per non adagiare in un letto di spine l’intervista di Enzo Biagi al Roberto nazionale. Ci ha pensato poi volentieri Giuliano Ferrara a dargli asilo sul suo “Foglio”. E Busi non ha voluto un soldo… Mentre il botteghino ride.

Deluso ma non inoffensivo Vincenzo Cerami dalla prima pagina de “La Stampa” del lunedì successivo all’uscita del film. Per lo scrittore e sceneggiatore della pellicola, stiamo assistendo a un fenomeno deleterio legato alla profonda crisi della critica cinematografica che si è spolverizzata in una cronica discordanza di opinioni. E allora, secondo lui, proprio “Pinocchio” è diventato l’occasione per “ricompattarsi rumorosamente, per ritrovarsi in una consorteria andata ormai a pezzi.” Generalmente si incolpa poi la criticadisinistra (“quei toni di squadraccia mi hanno impressionato non poco”, ha scritto Cerami) di non aver perdonato a Benigni la collaborazione con la Medusa. Mentre il botteghino ride.

Critica giù o critica su, il guaio è che anche i pareri della ‘ggente’ all’uscita delle sale cinematografiche non sono così confortanti. Almeno quelli a caldo colti (o ‘scelti’, chi lo sa?) dalle telecamere dei telegiornali. O quelli a freddo dei nostri amici o colleghi di lavoro o parenti o conoscenti. Che vorrà dire? Che comunque bisogna andarlo a vedere, sto film, non si può rimanere esclusi da questo bel dibattito! Si sente il bisogno di scegliere la propria barricata, no? Mentre il botteghino ride.

Il film di Roberto Benigni è stato distribuito dalla Medusa in 940 copie e ha incassato nella giornata di venerdì oltre 2 miliardi e 600 milioni di vecchie lire. Il record italiano è del gennaio scorso, con “Il signore degli anelli” che aveva incassato nel suo primo giorno 2 miliardi e 600 milioni, ma con 686 copie distribuite. Ottimo l’impatto commerciale. Confuso il crash estetico sugli spettatori. Mentre il botteghino ride.

E’ già record. Altri “maravigliosi” dati, direbbe lui. Questa volta in euro. “Pinocchio” nel primo week end ha raccolto, con 627 copie, 7 milioni di euro, ai quali si dovranno aggiungere gli ‘esauriti’ registrati con altre 313 copie nelle sale della provincia italiana. E’ già record per i più visti del 2002. “Harry Potter e la pietra filosofale” (25.262.908 euro) e “Il signore degli anelli” (21.581.000) nel primo week end erano arrivati ‘solo’ poco oltre i 4 milioni di euro. Gli incassi cinematografici italiani, nello scorso fine settimana, sono lievitati a circa 5 milioni di euro. A Roma “Pinocchio” ha incassato quasi 500.000 euro, a Milano 154.000 e a Torino 105.000 e a Firenze 93 mila. Viva il cinema! Mentre il botteghino ride.

Cinzia Bovio