Recensione n.1

Un uomo arriva ad Helsinki da una località sconosciuta ed è brutalmente assalito e malmenato da un gruppo di naziskin su una panchina del parco. Sopravvissuto per miracolo, ha perso totalmente la memoria di sé. Verrà amorevolmente accudito da una famiglia di diseredati che abita in una baracca alla periferia della città e cercherà faticosamente di rifarsi una vita. Nonostante l’oggettiva difficoltà del non avere neppure un nome, troverà alloggio in una baracca con vista sul fiume, sarà assunto da un ente caritatevole, si innamorerà di una donna apparentemente austera e invece dolcissima, pianterà le patate nell’orto, diventerà produttore di un gruppo musicale rock. Riconquisterà in breve un ruolo sociale e la dignità perduta. Proprio nel momento meno opportuno, la sua identità passata gli sarà bruscamente rivelata da uno zelante poliziotto. Dovrà così prendere atto di avere avuto una moglie nonché un passato di incorreggibile giocatore d’azzardo. Ma il destino ci metterà ancora una volta lo zampino e…
L’impianto narrativo può apparire a prima vista piuttosto scontato, molti sono i film anche attualmente in circolazione in cui il protagonista ha dimenticato la propria identità e proprio in virtù di ciò ha l’occasione di ricominciare una nuova vita. Ma l’indubbia originalità della pellicola è dovuta all’ironia e alla leggerezza del tocco del regista che richiama ad esempio, pur con le dovute differenze geografiche, “Pane e tulipani” di S. Soldini. Lo sguardo sui diseredati protagonisti è contemporaneamente comprensivo e algido, empatico e distaccato. Sono emarginati intelligenti e colti, garbati e gentili, ma soprattutto solidali. È proprio la crescente solidarietà a creare un’autentica comunità che riesce a difendersi dagli immancabili attacchi esterni e a promuovere lo sviluppo umano di ogni singolo appartenente ad essa.
Lo spettatore assiste alla proiezione avendo sempre il sorriso sulle labbra: abbondano infatti i nonsense, i dialoghi da teatro dell’assurdo, gli stridenti contrasti con la realtà e la parodia. Citazione autoreferenziale: tutti fumano come turchi mentre qualcuno sorseggia enormi boccali di birra. E poi Kaurismäki è abilissimo nel descrivere le misere condizioni di vita dei protagonisti, criticando implicitamente una società che consente l’esistenza dell’emarginazione, pur non tentando mai di commuovere il pubblico che tende invece a provare ammirazione per eroi eticamente così positivi. In ultimo, il film è evidentemente a basso budget ed è anche apparentemente semplice. Ed è così che il regista ci convince fino in fondo di possedere il più grande dei doni, quello della “sottrazione”.

Mariella Minna

Recensione n.2

Helsinki. Un uomo scende dal treno ed è aggredito e pestato a sangue. Soccorso fugge dall’ospedale e si rifugia sulle rive di un fiume. Qui viene nuovamente soccorso ed accudito da persone che vivono nelle baracche. Al risveglio non ricorda nulla del suo passato, neppure il nome. Per lui incomincia una nuova vita, all’insegna della necessità di ricostruire un passato ormai dimenticato.
Dopo Juha, il grande regista finlandese torna al genere della commedia, genere da lui ampiamente praticato con l’eccezione de La fiammiferaia, dove protagonista era l’attrice presente anche in questo suo ultimo film e che rappresenta il suo feticcio, Kati Outinen. Il mondo che si vede ne L’uomo senza passato è quello dei diseredati di Helsinki, che abitano in case di lamiera, perennemente alla ricerca di un posto di lavoro. Un mondo descritto con una profonda amarezza, che il regista stempera con la grande ironia di cui è molto ricco. Gia in Nuvole in viaggio il problema del lavoro era centrale, ma ora per il simpaticissimo protagonista si pone un ulteriore quesito, egli non possiede un nome, non ha identità e quindi non può neanche sperare di trovare un lavoro. Come in molti altri film che parlano di questi temi, l’identità di una persona nasce solo dalla sua collocazione lavorativa. Senza passato, senza radici, non può neanche sperare di poter accedere ai diritti più elementari. Non può allora che trovare rifugio presso un’associazione di volontari dell’esercito della salvezza, dove conosce una donna che in un certo modo gli assomiglia. Anche lei non ha famiglia, è ospite in un dormitorio e non si conosce nulla del suo passato. Due personaggi dunque che vivono ai margini, simili agli altri che abitano la baraccopoli.
Con il sorriso sulle labbra Kaurismaki attacca molti luoghi comuni come quello della perfezione dello stato sociale nordico, della falsa solidarietà della gente. La vicenda del misterioso personaggio potrebbe essere letta come la discesa da una condizione piccolo borghese ad una di disadattamento sociale. Ma la discesa porta ad un contatto con un mondo più umano, meno freddo, ricco di personaggi strambi e poetici, come il clochard che suona la fisarmonica o il padrone di casa che non riesce ad essere veramente cattivo, minacciando il protagonista con un cane che ha paura persino della propria ombra e che risponde al nome di Kamikaze.
I dialoghi sono scritti in modo magistrale con punte di surrealismo e di nonsense quasi di stampo beckettiano. La recitazione straniata ricorda quella dei film di un regista molto caro a Kaurismaki, Bresson. Del grande autore francese si sente l’influenza anche nella scelta del tipo di inquadrature che in generale sono fisse. Diversamente però da quello di Bresson lo sguardo di Kaurismaki è sempre rivolto al lato ironico della vita, ad un ottimismo che non è mai fine a se stesso, ma è velato da una profonda malinconia.
La riuscita del film nasce anche dall’inserimento di canzoni che ricordano quelle utilizzate dal regista nei film precedenti, che virano sempre verso la musica folk, e fanno da contraltare ironico alle vicende, come quella composta per cercare di convertire i passanti e cantata dai ragazzi dell’esercito della salvezza.
Concludendo si può affermare che Kaurismaki, con L’uomo senza passato costruisce un’opera molto interessante, insolita, una commedia ben riuscita, lontano mille miglia dal ciarpame natalizio di marca statunitense o italiana.

Mauro Madini

Recensione n.3

L’aspetto piu’ interessante del nuovo film di Aki Kaurismaki e’ l’incredibile ottimismo che permea l’intera pellicola. L’atmosfera dei luoghi, i volti dei personaggi che popolano la deriva finlandese raccontata dal regista, potrebbero virare con credibilita’ al tragico o comunque al cupo. Invece il film trova una sua strada tra il grottesco e il surreale che lo rende una favola intrisa di malinconia ma ricca di speranza. Lode quindi a Kaurismaki per lo sguardo positivo e controcorrente con cui illumina il destino dei suoi personaggi, ma l’originalita’ dello stile non riesce completamente a supportare una storia in fondo banale di perdita di identita’ e conseguente nuova vita. Troppe le ovvieta’ (vogliamo chiamarle citazioni?) che annacquano la visione e troppi i dialoghi che sfumano in battute prive di verve o usurate (se in un film dei Vanzina scopriamo che il temuto cane Hannibal e’ in realta’ un innocuo bastardino in cerca di coccole diciamo che e’ banale, perche’ in un film di Kaurismaki dovremmo ridere?).
Anche la recitazione straniata e stranita degli attori si rivela apprezzabile nella destrutturazione delle convenzioni cinematografiche, ma limita il coinvolgimento. Kati Outinen (premiata a Cannes per la sua interpretazione) riesce nell’immobilita’ di gesti e sguardi a trasmettere tutto il dolore del suo personaggio di donna logorata dalla vita. E’ invece piu’ difficile entrare in contatto con l’interiorita’ del protagonista Markku Peltola, nonostante uno stile recitativo similare. La differenza deriva probabilmente dalla diversa espressivita’ degli attori, ma e’ anche causata dal modo in cui sono caratterizzati i personaggi: lei sappiamo cosa fa e intuiamo con pochi tratti il suo passato; di lui non conosciamo, ed e’ il fondamento del soggetto, nulla. La stessa recitazione contratta, applicata a personaggi da motivazioni cosi’ diverse, finisce con l’appiattire la resa finale e pare piu’ che altro un vezzo non giustificato dalla narrazione. Alcuni momenti di geniale follia illuminano il racconto, come la trasformazione del protagonista in improvvisato impresario musicale o la divertente rapina in banca, ma spesso si percepisce la
forzatura di imprimere un piglio personale che stride con la razionalita’ di una storia in fondo tradizionale, con personaggi che cominciano in un modo e finiscono in modo completamente diverso.
Si dira’ che Kaurismaki e’ cosi’, prendere o lasciare, ma evitando drastici giudizi unilaterali, si puo’ ipotizzare un’interpretazione dai contorni sfumati in cui “L’uomo senza passato” ha elementi per affascinare, qualche furbizia e un po’ di briglie autoriali.

Luca Baroncini

Recensione n.4

° Helsinki: un uomo, sceso dal treno, viene picchiato a sangue e derubato. All’ospedale è dichiarato morto; ma come i medici escono dalla stanza, si rialza di scatto e inizia una nuova vita fra i poveri della capitale, arrivando a innamorarsi, ricambiato, di Irma, algida e impenetrabile capitana dell’esercito della Salvezza. Cinema fieramente antidiluviano, fatto in povertà e tutto dedicato al basso proletariato: la personale poetica di Kaurismaki, in cui l’afasia stilistica e tematica (la storia e i dialoghi sono davvero semplicissimi) si trasmette ai personaggi o viceversa, aspira alla purezza (del cinema e dei cuori umani) e all’essenzialità e brilla per bizzarrie anche surreali (il risveglio-miracolo dell’uomo all’ospedale novello Frankenstein mummificato, o il gruppo musicale che non conosce il rock), amene estrosità quasi felliniane e annotazioni satiriche nei confronti del genere umano e della società. Ma se questa finnica variante positiva – nota nuova per il regista – del Fu Mattia Pascal serve proprio a rappresentare realisticamente e smitizzare la prosperità e la floridezza (apparente e interiore) di un paese come la Finlandia, il tocco silente di Kaurismaki pecca proprio nel suo centro nevralgico, la sintesi: per quanto duri poco, si poteva tagliare molto di più (da certi raccordi mal risolti a intere scene accessorie) e la colonna sonora è quasi invadente e raramente azzeccata. Certo, c’è il rischio che tutto faccia parte della casuale cialtronaggine del tabagista Kaurismaki che, com’è noto, fa di solito improvvisare agli attori la sua stessa sceneggiatura: ma resta il fatto che il suo cinema, almeno in questo caso, offra, in termini di emozioni o di personaggi, esattamente ciò che chiede, cioè non troppo. Anche se poi la sua capacità di stupire e di sorprendere lo spettatore, vuoi per la disarmante elementarità con cui descrive il pudore dei sentimenti e non solo o vuoi per la fantasia lasciata libera non si sa quanto inconsapevolmente o meno, resta intatta. Autoproduzione indipendente e isolata, baciata dalla critica a Cannes: la Outinen ha preso la Palma d’oro per la miglior attrice, ma l’inafferrabile Peltola è altrettanto bravo. Menzione d’onore per la simpatia di Tähti, la cagna che “interpreta” Hannibal. COMM 97’ * * *

Roberto Donati