“Come la morte, l’amore si vive e non si rappresenta – non è senza ragione che lo si chiama la piccola morte – o almeno non lo si rappresenta senza violazione assoluta della sua natura. Questa violazione si chiama oscenità.” Citiamo André Bazin per introdurre il discorso su questo che è certamente un piccolo film ma che non manca di spunti e suggestioni intelligenti.

Film nel film, ancora una volta cinema sul cinema, rimando inesauribile di immagini allo specchio. L’intensa e ambigua Anne Parillaud, alterego della Breillat, sfoga sadicamente la propria nevrosi creativa sui malcapitati attori, in particolare sull’interprete maschile. La sua crudeltà giunge al punto di esporre al gelo invernale i corpi semi-ignudi delle comparse o costringere i due ritrosi protagonisti ad un rapporto sessuale completo quanto “innaturale”. Teorizza che gli attori debbano essere bistrattati, vampirizzati dal regista alla continua ricerca del momento magico in cui un’autentica emozione affiora sul loro viso.

L’abuso di potere della regista sugli interpreti non è che un riflesso della violenza del rapporto uomo-donna. Quest’ultima “vendica” il gentil sesso umiliando costantemente il protagonista maschile, ridotto a grottesca caricatura dell’uomo, o meglio del maschio, grazie ad una protesi di dimensioni elefantiache. Tesi da femminismo radicale e che lambisce la deriva del lesbismo nell’escludere l’uomo dalla felicità che l’amore fisico e l’intimità possono dare.

L’oscenità non risiede nella nudità dei corpi, nel mostrare anche in primo piano il sesso femminile e/o quello maschile. Osceno è un rapporto di potere che non tiene conto delle qualità umane dell’altro ma che reifica il partner occasionale allo scopo di un momentaneo e consumistico piacere. Oscena è insomma la violenza che si sostituisce all’amore e alla tenerezza. Cinema di nicchia, autoreferenziale e metalinguistico, consigliato allo spettatore attento e riflessivo.

Mariella Minna