E’ il 1997 e un piccolo film canadese, intitolato “Cube – il cubo”, ottiene un discreto successo internazionale. Il lungometraggio di Vincenzo Natali, ambientato in una sorta di enorme cubo ad incastri in cui un gruppo di persone che non si conoscono si ritrova a cercare una via d’uscita, riusciva ad essere claustrofobico e inquietante. Soprattutto manteneva una grande tensione fino alla fine senza l’ausilio di sofisticati effetti speciali, ma semplicemente dilatando con sapienza una situazione assurda e incredibile. E’ il 2003 e Andrzej Sekula, gia’ regista di videoclip (Tina Turner e Shania Twain tra gli altri), ci riprova. Il risultato e’ davvero sconfortante. Forse suscitera’ curiosita’ in chi non ha visto e apprezzato il film capostipite, ma per gli altri la delusione sara’ totale. “Hypercube: cubo 2”, infatti, non e’ altro che una vergognosa scopiazzatura del film di Natali con minime varianti: pareti bianche anziche’ colorate all’interno del cubo e l’introduzione di un ambiente quantistico multidimensionale in cui si incontrano realta’ parallele.
Piu’ che di un sequel si tratta quindi di un remake, ma oltre alla mancanza di idee nuoce al film l’assenza di una vera e propria progressione drammatica. In pratica non succede quasi nulla. Solo dialoghi imbarazzanti a interrompere il vuoto: “Tutte le realta’ stanno cominciando a collassare in un unico spazio”, “Ci sara’ un’enorme implosione”, “Oh mio Dio!” pronunciato a caso ogni cinque minuti, fino all’entusiasmo collettivo per la “prodigiosa” scoperta di essere finiti in un non meglio identificabile “tesseratto”. Per non parlare di “E se l’hypercube fosse gia’ realta’?” che conclude (in)degnamente l’accozzaglia di banalita’ propinata nei novantacinque lunghissimi minuti precedenti. Certo, non aiuta la resa recitativa degli attori, che paiono reclutati sfogliando a caso l’elenco telefonico e si limitano a scimmiottare con zero partecipazione le improponibili battute del copione. E per finire arriviamo agli effetti speciali: non si crede mai e poi mai alle immagini in computer grafica con cui i personaggi fingono malamente di interagire e che tradiscono sempre la loro natura di sintesi. Insomma, un vero e proprio fallimento, da ogni punto di vista. Trovera’ estimatori tra gli amanti del trash, a cui involontariamente pare destinato.
Luca Baroncini