Recensione n.1
Succede, a volte, che la realta’ superi la fantasia. E’ quello che accade nell’ultima fatica di Steven Spielberg che racconta, con taglio brillante e moderato divertimento, l’impossibile storia vera di Frank W. Abagnale Jr., un uomo che incarna tutte le contraddizioni del mito americano. L’intraprendente giovane, infatti, grazie al suo charme e a un’invidiabile faccia tosta, riesce con camaleontica destrezza a fingersi pilota d’aereo, medico e avvocato e ad arricchirsi attraverso assegni falsificati alla perfezione.
Siamo negli anni Sessanta, anni in cui una facciata di sorrisi e benessere economico culla i germi di una profonda crisi individuale e collettiva: il vacillare della struttura familiare, la perdita di valori nella totale identificazione del successo con il denaro, il crollo del sogno con il fallimentare conflitto in Vietnam. Ma il film di Spielberg, piu’ che soffermarsi sul contesto sociale, solo suggerito, racconta la storia del giovane imbroglione e della caccia datagli da un cocciuto e ingrigito agente dell’F.B.I. Se non fosse per Leonardo Di Caprio, che conferma le sue doti interpretative, Tom Hanks, perfetto uomo comune, il sempre carismatico Christopher Walken, la riconoscibile fotografia di Janusz Kaminski, ricercata ma pretenziosa, l’evocativa colonna sonora di John Williams, qualche sequenza magistrale (la separazione dei genitori con il dilemma della scelta, la scoperta del tradimento della madre), il lungometraggio di Steven Spielberg sarebbe una commedia tra le tante.
Difficile raccontare una storia cosi’ straordinaria riuscendo a renderla credibile e la sceneggiatura sceglie l’effetto dimenticando spesso la causa, finendo con il proporre situazioni che richiedono una dose di ingenuita’ in eccesso per poter conquistare (la fuga dall’aereo, il reclutamento delle hostess nella scuola). L’unica àncora pare la didascalia “tratto da una storia vera” con cui il film si apre e che dovrebbe giustificare le tante incongruenze. Sembra quasi l’ennesima sfida di Spielberg: girare un film lontano dalle sue corde, una commedia a basso budget, e riuscire ugualmente a fare centro. Gli incassi confermano l’intuito del regista, ma il film, pur simpatico, non morde e qualche volta sonnecchia.
Luca Baroncini
Recensione n.2
Il titolo originale – Catch me if you can – sembra essere un segno premonitore (oltre che ambiguo) per una pellicola che ha diviso, comprensibilmente, la critica americana. Forse perché un film su una fuga così poco movimentata non passa facilmente nelle sale Usa; o forse perché da Spielberg ci si aspettava il solito pirotecnico, edificante e costoso prodotto da blockbuster; o forse perché il film, coerentemente con la storia che racconta, è in effetti anche un po’ astuto.
Di certo Prova a prendermi è una pellicola godibile, girata – neanche a dirlo – in maniera impeccabile e che trova un non trascurabile punto di forza nella semplicità e nella compattezza di una sceneggiatura ingengnosa e divertente. Tratto dalla biografia di Frank W. Abagnale e tradotto per il cinema da Jeff Nathanson, sceneggiatore che ha alle spalle una serie di modesti filmetti d’azione (Speed 2 e Colpo Grosso al Drago Rosso), Prova a prendermi ripercorre, con leggerezza, la vita di un imbroglione e di un agente della F.B.I. ossessionato dalla straordinaria abilità del suo “uomo”. Per quel che riguarda le interpretazioni c’è da dire che Tom Hanks stanca, e già da un pezzo: si sopporta in Forrest Gump ed è bravo in Cast Away – dove però il suo volto assume sempre più sembianze caricaturali -, ma in Era mio padre è senza giudizio, anche se molti si sono trattenuti dall’ucciderlo. Leonardo Di Caprio, a parte il discorso in sospeso sugli ormoni della crescita – recita infatti con eccessiva spavalderia stanislaschiana la parte del sedicenne -, ha alle spalle un’infinità di interpretazioni né brutte né belle. La parte che gli regala Spielberg è valida e l’attore riesce comunque ad allinearsi alle sue precedenti prove, forse con qualche accenno di maturità. Imbarazzante il confronto con Christopher Walken nella parte del padre di Di Caprio: l’attore è straordinario in un ruolo di certo ben pennellato, ma che risulta addirittura esplosivo grazie al suo talento.
Forse due ore e venti appesantiscono il prodotto finale, ma la pellicola ha lo straordinario merito di tratteggiare con padronanza le singole figure, molto efficaci all’interno dell’articolato impianto motivazionale, senza scalfire l’originalità degli snodi narrativi – mai sopra le righe (peccato!) – e la scorrevolezza di un film maliziosamente bello.
Giuseppe Silipo
Recensione n.3
Guardia e ladro anni ‘ 60..
Spielberg molla momentaneamente il futuro e si tuffa nel passato, nei favolosi anni ‘ 60 !
Lo fa con stile scegliendo una storia incredibile che sembra vera, anzi è vera…la biografia di Frank Abagnale, truffatore giovanissimo mosso dalla “sindrome” di Robin Hood che all’indomani dei problemi che il padre ebbe col fisco decide di “riprendersi” tutto iniziando all’età di soli diciasette anni una serie di truffe clamorose a danno delle più grosse banche del paese, accumulando milioni di dollari, tre identità, e iniziando uno splendido rapporto con colui che sarà un “secondo” padre, l’agente speciale dell’FBI Carl Hanratty, colui che gli diede la “caccia” per 4 anni.
La storia è piena d’ingredienti, permette a Spielberg di rispolverare inquadrature, fotografia e stile degne dei primi 007, muove i personaggi all’interno di una struttura che gli permette di “giocare” con quel cinema “meraviglioso”.
Sceglie bene gli interpreti, Di Caprio, fuori luogo in Gangs quì ci appare più in partita, è convinto e appassionato, veste tranquillamente i panni di tutti e tre gli Abagnale, che durante la sua “carriera” divenne co-pilota Pan Air (perchè gli piaceva l’uniforme), Avvocato (superando un esame) e Pediatra (guardando i telefilm del Dottor Kildaire) , d’altronde non un uomo facile, scosso dal fallimento del padre (un bravissimo Walken), dall’opportunismo della madre (che abbandona il marito per sposare un uomo agiato), dal tradimento della ragazza che ama (che spinta dalla famiglia tende una “trappola” a Frank), dal carcere duro in Francia, dall’isolamento nel carcere USA, alla difficoltà della propria lotta ad accettare una vita “onesta”. Un personaggio “colmo” di aspetti che Di Caprio accetta lasciandolo “scorrere” tra le proprie corde. In “ombra” ma anche volutamente, il paterno Hanks, la “guardia” sconfitta e umiliata, ma anche “bisognosa” del rapporto di forza che spesso si crea tra “l’inseguito e l’inseguitore” nell’eterno gioco dei contrari. Il film ha qualche caduta di ritmo, un finale troppo lungo e pedante, la scelta della “macchina” nelle varie fasi ci pare sempre appropriata, d’altronde lo standard qualitativo di Steven Spielberg è sempre è comunque ben al di sopra della media.
Questo è un divertissement di un uomo che se lo puo’ permettere, che ha il merito di aver narrato la storia a noi sconosciuta di un “genio” , quel Frank Abagnale che dopo aver lavorato per l’FBI ha progettato tutti i clichè degli assegni sicuri adottati da tre quarti delle banche americane, divenendo milionario onestamente. In un certo qualmodo i soldi li ha “ripresi” lo stesso.
Nicola Guarino
Recensione n.4
“Li frego tutti” diceva Haber nel bellissimo La Vera Vita di Antonio H. Li frego tutti.
Beh, Frank W. Abagnale, aka Frank Taylor, aka Frank Conners e quant’altro li fregava tutti davvero.
Linee aeree, banche, ospedali, avvocati, FBI.
Si fatica credere che sia tutto vero e si fatica a credere che l’America di allora fosse cosi’ genericamente ingenua.
CMIYC è un film stupendo, soprattutto nella sua onnipresente melancolia. E’ un film dove non ridi ma semmai sorridi e qualche volta a denti stretti, piu’
spesso ti commuovi. E ogni volta che Frank e Carl, l’agente FBI, si incontrano
faccia a faccia il film corre sul filo del capolavoro.
Se’ è vero che CMIYC in effetti somiglia a tratti più ad un Zemeckis, Spielberg è preciso, puntuale, delicato e attento ai valori che da sempre porta sullo schermo.
Ritrae un’America vergine, pre-vietnam, pre-jfk, pre-berkeley e glissa elegantemente su tutto ciò che un altro regista avrebbe tranquillamente mescolato nel telling, per aggiungere coerenza. Frank come Kildare, come Mason, come Bond, camici, assegni, divise, tre-pezzi, Aston-Martin, e tanti tanti soldi, un variegato caleidoscopio gestito da Spielberg con mano sicura, cosi’ come gli attori, un formidabile di Caprio e un grandioso Hanks in uno dei suoi ruoli migliori.
Inutile citare Walken, immenso come sempre.
Qualche momento meno fluido, e sopra tutto quel “ce la posso fare”, quel “li frego tutti” che non è mai vinto, mai domo e che alla fine ha fatto di Frank un vincente.
Guglielmo Pizzinelli
Recensione n.5
Basato sull’autobiografia di Frank W.Abagnale, il film narra la storia di un ragazzo scappato da casa per non assistere al disgregarsi della famiglia (divorzio).
Il ragazzo ha uno straordinario talento nella truffa. Per accumulare soldi indosserà i panni di un pilota di linea, di un medico e di un avvocato. Prima dei 21 anni avrà accumulato diversi milioni di dollari.
Fin dall’inizio è inseguito dall’agente FBI Carl Hanratty…
Dopo il futuro dark di Minorità report, Spielberg, riaffermando la propria proverbiale poliedricità, ha scelto la leggerezza. Si è tuffato in questa storia di guardie e ladri, in un’America ingenua, quella dei primi anni sessanta. Le tinte color pastello, le musiche alla Henry Mancini, fanno da sfondo all’epoca della fiducia. Un ragazzo scaltro come Frank, con il viso d’angelo di Di Caprio, può facilmente giocare su questa fiducia e accumulare svariati milioni di dollari con i suoi frequenti cambi di personalità.
Frank per tutto il film è in fuga, inseguito dall’agente dell’Fbi Carl (Tom Hanks).
La sua fuga è l’inseguimento dei propri sogni. Il tentativo di ricomporre la famiglia, ridandole quel benessere economico venuto a mancare. Il giovane Frank non comprende, che proprio l’inseguimento di quel benessere e la spasmodica ricerca del prestigio sociale hanno contribuito al disgregarsi della stessa.
Prova a prendermi è anche la storia dell’educazione morale di un ragazzo. In pieno boom economico, i sogni sono quelli fatui e superficiali dettati dal denaro. Le maschere indossate dallo scaltro truffatore, sono le vie di fuga dall’immorale mondo degli adulti. Ritorna qui una delle tematiche più diffuse nella cinematografia Spielberghiana, la sindrome di Peter Pan. Questa voglia di non crescere, in Prova a prendermi, è necessaria, proprio perché lo sfavillante mondo lasciato dai genitori di Frank è un mondo falso. Un mondo dove, ognuno, può fingere d’essere altro.
Il vero padre di Frank è il suo inseguitore. Carl è la maturità che insegue l’adolescenza, a tratti, ne è affascinato. La fuga di Frank termina proprio quando non c’è nessuno più che lo insegue. Ora dovrà camminare con le proprie gambe.
Molto bella la scena in cui Frank si farà acciuffare, dopo aver visto attraverso il vetro, proprio il giorno di Natale, la madre risposata, con una bimba e la sua nuova famiglia. Prova a prendermi funziona quando insegue la leggerezza e l’evasione, quando riporta in vita con i colori, le musiche, il mondo dei sogni (e il cinema) dei primi anni sessanta. Quando gioca con quella macchina del falso che è il cinema. Molto meno quando si sofferma ad analizzare psicologicamente i personaggi, cercando di dare spessore alla storia, bella proprio nella sua evanescenza. Spielberg, non si è lasciato trasportare fino in fondo dalla follia pirotecnica dell’inseguimento (vicina alla semplicità delle strisce di Willy il coyote e beep beep). Il film a tratti appare didascalico e approssimativo, nelle giustificazioni psicanalitiche.
Davvero troppo lungo il metraggio, che appesantisce, come un macigno, una pellicola che ambiva a tutt’altra leggerezza.
Sarà per la prossima volta, Mr Spielberg.
Paolo Bronzetti