Nel 1983 Godfrey Reggio sperimenta con successo un cinema irraccontabile, basato sulla potente combinazione di musica ed immagini per trasmettere i ritmi della natura e i pericoli del progresso. Il film e’ “Koyaanisqatsi”, che ottiene un discreto successo anche in Italia. La tappa successiva e’ “Powaqqatsi” nel 1988, mai distribuito invece in Italia, ed ora la trilogia si conclude con “Naqoyqatsi” (prodotto dal sempre piu’ presente Steven Soderbergh) che si conferma un viaggio di grande fascino.
Piu’ efficace dove sono originalita’ e bellezza ad avere il sopravvento (gli anelli di fumo, le tante immagini che sfumano in cangianti acquerelli, i viaggi nei frattali), perde in intensita’ quando cerca a tutti i costi di lanciare un messaggio contro i rischi di una disumanizzazione tecnologica. Oppure quando ricorre all’ennesimo campionario di varia umanita’, soffermandosi sull’espressivita’ di singoli volti. Addirittura kitsch il collage di miti del millennio, attraverso i primi piani di sosia di personaggi famosi. L’inizio e’ bellissimo e potente, con una Torre di Babele che racchiude simbolicamente l’umanita’ di cui Godfrey Reggio si accinge a parlare. Poi, pero’, il regista non riesce a mantenere lo stesso livello di fascinazione, cercando per forza di dire qualche cosa che vada al di la’ di un viaggio nelle sensazioni. Di diverso, rispetto al precursore “Koyaanisqatsi”, c’e’ un cospicuo utilizzo della computer-grafica. Scelta che ha sicuramente facilitato la realizzazione, garantendo una pressoche’ totale liberta’ espressiva, ma ha un po’ raffreddato il risultato. In ogni caso, davvero belle e coinvolgenti, proprio perche’ svincolate dall’esposizione di una tesi e libere di dare sfogo ad una ricezione irrazionale, le musiche di Philip Glass, arricchite dalla presenza della violoncellista Yo Yo Ma.
Luca Baroncini