La strana coppia e’ uno dei cliche’ cinematografici per eccellenza. In moltissimi film la diversita’ fisica e dei caratteri ha creato alchimie interessanti, con risvolti variabili a seconda del genere: in “The Blues Brothers” si canta, in “Cappello a cilindro” si balla, ne “Il piccolo diavolo” si ride, in “Seven” si muore. Nel genere poliziesco, uno dei piu’ classici connubi degli ultimi anni e’ stato quello del bianco con il nero: prima si detestano, ridono-sparano-urlano, poi si adorano. Dobbiamo questa formula, in grado di conciliare la sit-com con l’azione, al logorroico Eddie Murphy. E’ l’ormai lontano 1982 quando, al suo debutto in coppia con Nick Nolte, conquista il pubblico con “48 ore” di Walter Hill. Dopo, di coppie in bianco e nero, ne sono passate tante; tra le piu’ famose, Mel Gibson e Danny Glover con la serie “Arma Letale”. Poi, anche la stella di Eddie Murphy ha cominciato a spegnersi, con risate sempre piu’ stanche e situazioni sempre piu’ riciclate. E’ stata quindi la volta dei cloni. Tra questi troviamo Martin Lawrence (“Bad Boys”, “Big Momma’s House” tra gli altri) qui affiancato da Steve Zahn (“Happy Texas”) che, pero’, lo batte in simpatia. Pur riducendo al minimo le aspettative, il film di Dennis Dugan (“Big Daddy – Un papa’ speciale”) naviga a encefalogramma piatto nei luoghi comuni e affonda nell’inutilita’. C’e’ un amico poliziotto da vendicare, un segreto militare, un odio destinato a trasformarsi in affiatamento, il riscatto sociale, la polizia corrotta. Il tutto intervallato da sparatorie, cadute, esplosioni, vetri in frantumi e gag da telefilm pre-serale al ritmo di jingle rappeggianti. Non stonerebbero le finte risate di sottofondo, ma il risultato sfigurerebbe comunque in confronto a una qualsiasi puntata de “I Jefferson”. Certo, di solito la storia e’ solo un pretesto per contrapporre i due opposti protagonisti, ma la sceneggiatura assembla il gia’ visto senza brio, affidandosi unicamente alla stucchevole vivacita’ degli interpreti. L’unica trovata e’ il tentativo di ribaltare gli stereotipi bianco-nero, con il protagonismo di un razzismo nero nei confronti dei bianchi, ma non si va al di la’ di qualche sorriso. Ci si domanda come un film cosi’ inconsistente, privo dell’appeal di divi di fama internazionale, totalmente anonimo, imperniato su una comicita’ tutta americana e non certo contagiosa (il doppiaggio raggela la verve dello slang), riesca a trovare una distribuzione in Italia, mentre film di altre nazionalita’ vagano nella totale invisibilita’. Visto che il flop e’ comunque assicurato, tanto varrebbe rischiare per qualcosa di piu’.
Luca Baroncini