Uno dei migliori debutti cinematografici italiani di quest’anno e’ stato “Velocita’ massima” di Daniele Vicari. Il lungometraggio raccontava il disagio di una generazione attraverso l’ambientazione nel mondo delle corse automobilistiche clandestine. Il seguito di “Fast and Furios”, diretto da John Singleton, si comporta esattamente all’opposto. Se ne strafrega della societa’ che rappresenta e
dei personaggi che abbozza, ma si preoccupa unicamente di non distogliere il teen-ager medio dai pop corn maxi che gli scoppiettano in grembo. Oltre a non sfruttare l’occasione di raccontare una storia attraverso personaggi che siano tali e non anonimi manichini, il film delude anche chi vuole solo godersi effetti speciali e strisciate sull’asfalto. Le gare d’auto, infatti, sono perlopiu’ giocate sul mix di accelerazioni e stacchi di montaggio con potenti effetti sonori, e lo spettatore e’ piu’ disorientato che coinvolto da quanto scorre freneticamente sullo schermo. Nella maggior parte dei casi, le competizioni si riducono ad una rapidissima successione di dettagli che fanno tanto velocita’ senza avere davvero nulla di adrenalinico.
E la storia? E’ possibile ambientare un film a Miami in cui non si parli di droga, soldi sporchi e poliziotti doppiogiochisti? Evidentemente no, ma e’ piu’ elaborata una qualsiasi puntata di “Miami Vice” rispetto alla sceneggiatura del film che, oltre all’assenza di colpi di scena, sciorina senza sosta dialoghi le cui battute principe prevedono botta e risposta tipo “Sposta il culo bellezza!”, “Baciami il culo!”, “Razza di uno schizzato di un bianco”, fino al piu’ sofisticato “Sei veramente il re del pericolo!” (giuro!!!).
Nell’inutile frastuono, le interpretazioni, vista l’impossibilita’ di ingaggiare nuovamente Vin (susanone) Diesel (pare pretendesse trenta milioni di dollari di cachet), si affidano a faccia-da-damerino-dal-sorriso-stampato Paul Walker e al piu’ interessante Tyrese Gibson, prigioniero pero’ di un personaggio di insopportabile e stereotipata schiettezza da ghetto nero. La bellona di turno e’ invece Eva Mendes, ma se lo sguardo e’ profondo, il personaggio e’ inesistente. Infine, puo’ forse mancare il sottofondo rap? No di sicuro! Come neanche il cattivo dal cuore di pietra, qui in versione cinico-chic, che finira’ per forza di cose, in una delle sequenze piu’ ridicole del film, conciato per le feste. Alla fine di tutto, cio’ che infastidisce maggiormente non e’ il machismo da quattro soldi, l’esasperazione della competitivita’, l’azzeramento delle psicologie e nemmeno la furbizia al di sopra della legge dei protagonisti, ma proprio la stupidita’, mai messa in discussione, di personaggi e situazioni. Per chi vuole divertirsi, si consiglia di optare per il videogame sempre acceso nel bar sotto casa. Costa meno e va subito al sodo.

Luca Baroncini