Recensione n.1
Alla prova dell’immancabile sequel, gli X-Men mostrano un po’ la corda. Nonostante sia rimasto praticamente invariato il cast e la regia porti sempre la firma di Bryan Singer, gli eroi mutanti perdono spessore psicologico e conquistano sicurezza, determinazione, autocontrollo. In poche parole, proprio l’invulnerabilita’ che permette loro di uscire indenni da ogni situazione, tanto spettacolare negli effetti, quanto lontanissima dal consentire qualsiasi tipo di immedesimazione. Come si fa a temere per l’incolumita’ di un personaggio quando la sceneggiatura non crea le premesse perche’ cio’ accada? Uno degli aspetti piu’ interessanti del primo episodio era dato dalla progressiva scoperta dei super-poteri dei mutanti, con i dubbi, le insicurezze, le difficolta’ di integrazione in una societa’ a senso unico.
Nel sequel tutto cio’ resta un accenno, che ritorna nella conclusione, ma di cui ci si dimentica per il resto del film, imperniato sulla solita storiellina del bene contro il male dai prevedibili esiti da baraccone digitale (neanche troppo sofisticato, poi). Tant’e’ che lo script, per ricordare che gli X-Men sono eroi, ma non a tutto tondo, decide di farne morire uno, per pareggiare il disequilibrio sfacciato delle forze in gioco. La regia di Singer si rivela professionale ma un po’ anonima. Solo nel prologo riesce a dosare con efficacia l’atmosfera di pericolo imminente con gli effetti speciali e il divertimento. Quanto agli interpreti, rispetto a due anni fa molti sono diventati star, o comunque famosi, e la riconoscibilita’ non giova ai personaggi, prevaricati da tanta popolarita’. L’unico che conserva la sua carica di simpatia, dovuta anche a una migliore caratterizzazione rispetto agli altri, e’ il Wolverine di Hugh Jackman. Tra i nuovi acquisti, poco riuscito il “teleporta” Kurt Wagner che, forse a causa del doppiaggio o della pochezza delle sue battute (con una irritante semplificazione del concetto di “fede”), ricorda con sconforto il JarJar della saga di Lucas. Anche alla prova costumi gli X-Men non superano l’esame. Nonostante la cura del dettaglio e la somiglianza con il fumetto di origine, infatti, sono molti i momenti involontariamente ridicoli, in cui il trash fa capolino con risultati da circo Togni (l’elmetto di Magneto, il mantello e i capelli di Tempesta, il mono-occhio di Ciclope) soprattutto alla spietata luce del giorno, senza l’ombra delle tenebre a distribuire luccichii e proteggere il mito.
Luca Baroncini
Recensione n.2
DISAGI SUPEREROISTICI: “X-MEN 2”
Le minacce per gli x-men non sono finite: il gruppo di mutanti si ritrova a doversi alleare con coloro che nel primo capitolo hanno combattuto con tanta ostinazione, per fermare le mire distruttive del perfido scienziato militare Stryker (B. Cox). Non solo sequel, inteso come continuazione temporale, ma vero e proprio perfezionamento di ciò che era stato posto dal primo film, questo “X-men 2”, diretto ancora una volta dal talentoso B. Singer, rientra pienamente nella (stretta) cerchia dei sequel ben riusciti. Solo la prima scena, con una sequenza d’azione che sfrutta a pieno l’insegnamento “Matrix”, dovrebbe bastare a convincerci del valore della pellicola. Singer non pretende di sfornare una sintesi di cinema autoriale e commerciale, sa bene quale deve essere l’obiettivo (monetario) di questa produzione Fox, ma non disdegna l’approfondimento dei personaggi, di temi quali la convivenza tra razze diverse, la tolleranza, il valore della famiglia, dell’amicizia e dell’amore. Pur non avendo l’ampio respiro intimista di “Unbreakble” di Shyalaman, Singer continua quel discorso sul disagio dell’eroe, sulla sua necessità di trovare nella diversità un punto di contatto con la normalità, magari cercandola nella quotidianità dell’esistere, fatta di piccole cose. Non privo di pecche, soprattutto nella parte centrale, dove il regista cede agli obblighi di produzione, con la conseguente caduta in stereotipi del genere supereroistico di intrattenimento, il film vanta un’ottima fotografia, un originale stile registico ed un sapiente miscuglio di toni ironici e drammatici. Il cocktail esplosivo per un lavoro, sì, di entrainment, ma di alta classe.
Andrea Fontana