Israele come non si sarebbe immaginato mai. Siamo a Tel Aviv ma i personaggi e l’ambientazione è la stessa delle periferie inglesi degradate di Ken Loach. Israele come un grande condominio dove cercano di convivere genti diverse. Non solo israeliani e palestinesi, ma anche i nuovi emarginati come i clandestini cinesi. Dopo la trilogia sulla guerra Amos Gitai propone un’immagine di Israele costruita attraverso scene quotidiane, ma anche in questa pellicola il “tema bellico” è presente come un’ombra diafana. I protagonisti delle tante storie che si intrecciano sono ormai abituati ad ascoltare alla radio le notizie dei morti a causa degli attentati kamikaze. Significativa la scena della domestica cinese che, all’ennesima notizia di un attentato suicida, cambia stazione per ascoltare della musica. Per dimenticare, o almeno cercare di farlo, una guerra senza fine. Ma Alila è anche un film sul desiderio di aprirsi ai popoli (significativamente la porta dell’appartamento di Gabi viene lasciata sempre aperta…) e cercare una nuova (pacifica) identità nazionale.

Marco Argentiere