Recensione n.1

In quest’epoca di Rinascimento per i film d’animazione e con la loro grande tradizione fumettistica ci si chiedeva cosa aspettavano i francesi a tirare fuori qualcosa di adeguato. Ed ecco lo splendido e divertentissimo Appuntamento a Belleville. Satira gentile e feroce della Francia e dell’America, non c’è una sola gag che appaia banale o risaputa. In un certo senso una cosa ormai rarissima: un film assolutamente originale.
Le influenze, certo, si notano, in particolare Jacques Tati, citato esplicitamente. Il film inizia in bianco e nero, nello stile dei cartoni di Betty Bop e ci presenta le popolari jazziste Triplettes, con tanto di Fred Astaire e Josephine Baker; poi l’azione si svolge negli anni 60, con un cameo di De Gaulle, in una Francia di gente bruttissima ossessionata dal Tour de France per poi trasferirsi a Belleville, una fantasmatica New York francesizzata in cui tutti gli americani sono favolosamente grassi e la Mafia Francese spadroneggia (questa mi è piaciuta troppo, geniale!) Ma si potrebbe parlare di tante altre cose, dal metodo di pesca delle tre vecchie jazziste ai sogni del cane – è tutto assolutamente brillante.
Unico dettaglio che potrebbe infastidire qualcuno: il film è in parte disegnato a mano, in parto animato al computer e talvolta la differenza si nota. A me la cosa non ha dato il benchè minimo fastidio, dato che i passaggi da un modo all’altro mi sono parsi gestiti bene, ma potrebbe non piacere a qualche purista.
(guarda caso: qualche lamentela americana sul modo ‘razzista’ di rappresentare gli americani grassissimi – compresa la Statua della Libertà. Nessuna lamentela sulla rappresentanzione altrettanto caricaturale dei francesi. Uno: gli americani considerano razzisti gli stereotipi su di loro mentre accettano senza problemi quelli sugli altri; due: gli americani sono molto sensibili al loro peso).

Stefano Trucco

Recensione n.2

Ammetto che la curiosita’ di guardare questo strampalato film francese mi e’ venuta soprattuto per aver visto nei provini tutte quelle figure alte o enormemente grasse, esageratamente caricaturali (bonjour, je suis Jacques Tati). Praticamente muto, accompagnato da una colonna sonora vagamente jazzistica, il film si apre con un siparietto in bianco e nero anni ’60, molto stile Fleischer. Poi i disegni si fanno piu’ dettagliati e sembra quasi di scorgere una sottile venatura di stile che ricorda Bozzetto: ambientato nella Belle Epoque “franco-americana”, surrealisticamente in bilico tra gotico e naif, fondali quasi stilizzati, colori accennati all’acquerello, e una buona dose di CG tutto sommato ben integrata nel contesto generale del film. La storia non sarebbe da buttare, ma avrei preferito maggior spessore per i personaggi, che sono piuttosto anonimi nel loro insieme. Probabilmente il migliore in assoluto e’ il cane, da cui scaturiscono anche la maggior parte delle risate. Il resto dovrebbe celare una velata dose di umorismo che, ahime’, non ho assolutamente trovato. Non so se sia stata azzeccata l’idea di non far parlare i personaggi, tutto sommato, se pur correlati da una buona animazione, il risultato risulta talmente blando e senza ritmo che puo’ rivelarsi noioso dopo una mezz’ora di film. Originale nel suo piccolo, fuori dai canoni della stragrande maggioranza dei film di animazione che siamo abituati a vedere, e’ un film piu’ che dignitoso, ma consigliato solo a chi vuol vedere qualcosa di COMPLETAMENTE diverso da un film americano o giapponese che sia. Spiacente, ma non e’ il mio genere. “Allora, me lo dici se e’ finito il film?”
Voto: 6

The Wolf