USA 2003 di Ang Lee con Eric Bana, Jennifer Connelly, Sam Elliott, Josh Lucas, Nick Nolte, Paul Kersey, Cara Buono, David Kronenberg.
Recensione n.1
° Bruce Banner è diventato uno scienziato quotato proprio come suo padre, il quale, però, compì pericolosi esperimenti di genetica sul figlio: e Bruce, dopo essere stato esposto a una forte irradiazione di raggi gamma, diventa involontariamente il gigantesco verdebilioso Hulk (pochi lo sanno, ma “hulk” in inglese significa “mastodonte”, anche con l’accezione di goffo) ogni volta che si arrabbia più del dovuto. Continua la galleria dei personaggi Marvel trasposti al cinema, ma in questo caso già il fumetto creato da Jack Kirby e Stan Lee (che, in qualità ormai di consueto coproduttore, non rinuncia a un cammeo accanto a Lou Ferrigno, interprete del mostro nella celebre e mediocre serie televisiva L’incredibile Hulk) – un fritto misto di King Kong, Frankenstein, Dottor Jekyll/Mister Hyde e fisica quantistica male assorbita che per una volta rinuncia, con maggiori ma inespresse potenzialità umane in nuce, al supereroe di turno e dal quale il film (che si ispira più al tratto del disegnatore Dale Keown che a quello di Kirby nel creare digitalmente le fattezze di Hulk) si discosta più di una volta – era fiacco e predicatorio, prevedibile e risaputo, oltreché poco interessante dal punto di vista psicologico: visto che alla regia c’è l’oriundo cinese Ang Lee, si è parlato di allegoria per parlare della famiglia e dei conflitti fra padri e figli (anche la fidanzata di Bruce, Betty Ross, ha qualche problema col padre militare autoritario: peccato che i loro screzi e il loro non parlarsi si risolvano in meno di un minuto), ma la realtà è che il regista stavolta si è disinteressato altamente di qualsiasi approfondimento artistico o metaforico (guai a chi cita impunemente la satira antimilitarista!) e ha sfornato un prodotto completamente anonimo e impersonale, che di mastodontico ha solo la noia e non certo la messe di ormai insopportabili effetti speciali e artifici visivi (come la volontà di rendere cinematograficamente lo stile fumettistico con un abuso assurdo e inutile di split-screen, effetti balloon, dissolvenze elaborate, inserti, immagini dentro immagini, giochi cromatici sulla dominante del verde e di tutte le prodezze tecniche possibili). Liberatosi in men che non si dica dell’ingombro di un’infanzia traumatica e di vaghi complessi edipici vari, Lee pensa di emozionare con botti, boati, salti, sparatorie, senza nemmeno provare di buttarla per un momento sul ridere o sul filosofico: alla fine, l’unico dubbio che riesce ad assalire lo spettatore riguarda i calzoni ultraresistenti e ultraelastici di Bruce che – misteri del politically correct – non si stracciano come tutti gli altri indumenti durante la trasformazione. Il finale ambientato nella foresta amazzonica è ugualmente indifendibile nella sua ingenua furbizia: lasciamo le cose aperte, avranno pensato gli autori, che, casomai il film avesse successo, si replica, altrimenti si può sempre trovare la scusa dello sberleffo ironico. La fotografia è di Frederick Elmes, i costumi di Marit Allen, le musiche di Danny Elfman: ce ne dovremmo accorgere? Gli occhi di Jennifer Connelly e di Nick Nolte – ma solo quelli – mantengono la loro dignità anche nel patetico e si meriterebbero ben altro film; Eric Bana è un Pieraccioni ancora meno espressivo e meno simpatico. Dalla sceneggiatura originale è stata tratta una pedissequa avventura a fumetti di Hulk, pubblicata anche sul volume della splendida iniziativa organizzata dal quotidiano La repubblica a lui dedicato, uscito – con abile manovra commerciale – giusto la settimana prima della data di rilascio del film.
BN/COL AVV 138’ ½
Roberto Donati
Recensione n.2
Comincia a razzo l’Hulk cinematografico di Ang Lee. Fin dai titoli di testa, ideati da Garson Yu, le sofisticate immagini che scorrono sullo schermo hanno l’effetto di un bombardamento visivo, con continui split-screen, fantasiosi raccordi da una scena all’altra, dettagli digitali in ogni sequenza e, in parallelo, una narrazione concitata che lascia intendere senza arrivare al dunque e riesce a catturare l’attenzione dando consistenza ai tanti perche’. Purtroppo l’effetto meraviglia dura giusto il tempo del prologo: non appena la storia si concentra sui personaggi e la contemporaneita’ degli eventi, infatti, il film inizia progressivamente a sgonfiarsi. Sono tanti gli elementi che concorrono al calo del souffle’ tecnologico imbastito dal regista taiwanese, ma l’aspetto che piu’ salta agli occhi e’ l’assenza di anima: gli avvenimenti si rincorrono per blocchi, senza una visione di insieme capace di fondere la tecnica con il racconto. I personaggi sono simulacri vuoti che richiamano nell’esteriorita’ il fumetto, ma non ne trasmettono la vitalita’ e le motivazioni. In fondo, del protagonista non sappiamo quasi nulla: ha avuto un trauma, e’ facilmente irritabile ed e’ sempre serio. E quel poco che sappiamo non basta per giustificare tutti icertami che seguono. Interessante l’inquinato rapporto con il padre, ma tutte le possibili implicazioni trovano sfogo in un confronto posticipato allo sfinimento che nella resa dei conti finale diventa davvero ridicolo: un faccia a faccia privo di tensione e con lo spessore di un talk-show televisivo; ci si aspetta di vedere spuntare da un momento all’altro Maria de Filippi. Eric Bana ha fisico e faccia giusti per Bruce Banner, l’alter-ego “umano” di Hulk, mentre Jennifer Connelly e’ tanto bella quanto monocorde e nell’immobilita’ trasmette soprattutto sbadigli. Nick Nolte gioca su una forte presenza scenica, ma e’ vittima di un papa’ da fumetto che, nella elementarita’ richiesta dai comic-strip probabilmente funziona, mentre sul grande schermo diventa piu’ che altro gigione. La sceneggiatura, al riguardo, non lo aiuta. Come non aiuta il protagonista liquidando con una battuta l’aspetto piu’ viscerale della sua alterazione genetica: il piacere distruttivo provato da Bruce nel trasformarsi in Hulk. Per il resto calma piatta, con un’accennata storia sentimentale di nulla consistenza e una conflittualita’ tra genitori e figli di grana grossissima. Come tutti i blockbuster che si rispettino, il film ha al suo attivo la tecnica piu’ sofisticata per l’elaborazione dei difficili effetti speciali: l’Hulk di sintesi e’ perfettamento integrato con gli ambienti con cui interagisce, ma la combinazione di pixel tradisce l’artifizio nei movimenti (sempre gli stessi: braccia in alto, in basso, urlo; risibili salti tipo Tiramolla) e nell’espressivita’ (l’occhio e’ vitreo e la potenza del personaggio non arriva mai allo spettatore nonostante le devastazioni compiute). Le scene d’azione, pur cercando strade alternative alle soporifere esplosioni digitali, sono dilatate all’eccesso e non colgono mai alla sprovvista (il combattimento con i cani geneticamente modificati e’ confuso e inutilmente ripetitivo). Ma e’ tutto il film a soffrire di una lunghezza eccessiva e di troppi finali, l’ultimo dei quali si apre la strada maldestramente per un sequel. Che, visti gli esiti buoni ma non eccezionali dell’archetipo e i notevoli costi dell’operazione, non e’ detto arrivera’!
Luca Baroncini
Recensione n.3
A quanto pare tornano di moda i supereroi della Marvel in questi anni, anche se proprio di supereroe stavolta non si tratta, bensi’ di un innocente e compassato scienziato che, vittima delle follie giovanili di un padre ossessionato dalle proprie ricerche, finisce per subirne le tragiche conseguenze.
Quando la rabbia finalmente si fa strada nel suo castrato subconscio, ecco che spunta la terribile realta’…
Chi ha seguito il fumetto sapra’ che nel film la storia e’ stata piu’ edulcorata, quasi per permettere di sfoggiare al nostro pupazzone verde un lato di umanita’ e tenerezza che forse non ci saremmo mai aspettarti di trovare. Ang Lee si dimostra uno strordinario regista nel rendere al film l’atmosfera del fumetto con split screen, zoom, cambi di inquadratura incrociati, virtuosismi vari e densi primi piani.
Per questa ragione il film e’ tutto un effetto speciale, a prescindere dalle ovvie apparizioni del “mostro” che ricorda vagamente un atletico King Kong dei giorni nostri. Altalenante la CG, che in alcuni momenti sembra quasi stonare nel contesto, Hulk e’ strabiliante quando e’ quasi fermo, vistosamente finto mentre si muove.
I personaggi anche se stereotipati, sono caratterizzati piuttosto bene, e nulla sembra essere dovuto al caso. Ci sono alcune pecche di sceneggiatura e la prima parte poteva essere snellita un po’ da alcune lungaggini, ma nel complesso direi che il film e’ piu’ che dignitoso (non dimentichiamoci che la sceneggiatura e’ tratta da un fumetto!). Ma riesce bene la sensazione di rabbia e paura che emerge dal nostro protagonista, e la sua incredibile voglia di liberta’ che sfoga in tutta la sua potenza. In fondo, anche noi nel nostro piccolo, vorremmo poter essere tutti un po’ come lui.
Straordinaria Jennifer Connelly, il suo sguardo e la sua presenza all’interno del film valgono da soli il prezzo del biglietto.
Voto: 7
Wolf