Dopo molti cortometraggi il regista David Mackenzie, alla sua opera prima per il cinema, tenta strade inconsuete ma scivola nella pretenziosita’. Fin dal titolo, uguale al romanzo dello scrittore “beat” Alexander Trocchi da cui trae origine ma, con tutta probabilita’, dispensatore di ben altre implicazioni sulla pagina scritta. Nessun personaggio si chiama infatti Adam, ma il biblico nome rievoca la natura piu’ intima dell’uomo, il crogiuolo delle pulsioni piu’ primitive, il vagare del protagonista Joe senza alcuna meta tra malinconia e cinismo in cerca di appagamento momentaneo, sfuggendo un senso all’insoddisfazione perenne e con nessuna Eva con cui condividere il cammino.
Non facile infondere un taglio esistenziale a una storia che si preannuncia thriller (il ritrovamento di un cadavere nelle acque del fiume Clyde) e, purtroppo, un certo disequilibrio rende vane entrambe le opportunita’: il mistero viene svelato con troppo anticipo e i tormenti del protagonista Joe non arrivano mai allo spettatore, confezionati con grande cura e imbellettati da ritmati accoppiamenti, ma privi di spessore comunicativo. Dopo un inizio promettente, con un’azzeccata caratterizzazione di ambiente, la vicenda si arena presto nella noia, senza sapere piu’ dove andare. Tanto che la sceneggiatura (maggiore responsabile della non riuscita del film) moltiplica e dettaglia gli amplessi e aggiunge personaggi inutili (la sorella della Swinton) per riempire i vuoti narrativi. Tutto cio’ che e’ esterno alla vicenda funziona a dovere, dalla ricostruzione storica della Glasgow anni cinquanta, alla durezza del lavoro sulla chiatta. Come anche i sinuosi movimenti di macchina, la ricercata fotografia, la morbida colonna sonora di David Byrne (struggente la canzone “The Great Western Road” che conclude il film) e pure le interpretazioni degli attori: e’ sempre un piacere ammirare il carisma naturale di Peter Mullan, inquieta l’aliena personalita’ di Tilda Swinton e, lontano daiblue-screen di “Star Wars” e dalle canzoni di “Moulin Rouge”, riacquista espressivita’ anche il non solo figaccio Ewan McGregor. Cio’ che proprio non funziona e’ l’impianto narrativo, sfilacciato e fuori fuoco, che vanifica ogni sforzo impaludando il film in un limbo di indifferenza che, come tale, non riesce a sedurre. Resta qualche bella immagine e l’innegabile capacita’ di creare un’atmosfera, ma dietro alla superficie laccata si fatica a trovare un perche’.
Luca Baroncini (da www.spietati.it)