Regia e sceneggiatura: Rolf De Heer
Fotografia: Ian Jones
Montaggio: Tania Nehme
Con: Gary Sweet e Samantha Knigge
Australia 2003, dur. 100 min
Recensione n.1
Il progetto di Alexandra del titolo è quello che si consuma per l’intera durata del film, è la vendetta terribile ed atroce di una donna non più nel fiore degli anni verso il marito, colpevole di non averle dedicato le cure necessarie negli anni della loro unione matrimoniale. La pellicola viene introdotta dalla presentazione, per la verità appena accennata, della famiglia al completo, compresi i due figlioletti, il giorno del compleanno del padre che poi si recherà in tutta fretta al lavoro. Sin dall’inizio il regista olandese dissemina l’inquadratura e la storia di elementi ed indizi perturbatori, suggerendo al pubblico un risentimento che cova sotto l’apparente piatta quotidianità dei gesti mostratici. La prima sequenza si dipana attraverso un cupo e misterioso carrello in avanti, che si fa strada poco prima dell’alba tra le villette di un quartiere bene in periferia (di una città che potrebbe essere una qualunque metropoli), sino a mostrarci i protagonisti addormentati, e nudi, nel letto. Spesso lo stile del regista tornerà a mostrarci atmosfere ambigue o cariche di tensione, sottolineate da una musica perturbante, in tal modo adombrando modelli di vario cinema, da Lynch a De Palma (la descritta sequenza iniziale riporta alla mente la doccia dell’incipit di “Vestito per uccidere”). Poi, con l’attuazione del “progetto”, beffardamente vestito da regalo di compleanno, il mistero e la tensione irrompono nella quotidianità, e l’autore gioca su questo contrasto – ambiente ospitale e tranquillo, costante crescita della tensione – che trova precisi riferimenti nel cinema recente, su tutti lo splendido “Funny Games” di Haneke. L’originalità della situazione non essendo la sua carta vincente, c’è però da ammettere come nell’insieme il film raggiunga una certa efficacia, se analizzato quale prodotto “di genere”: la tensione è costante, il confronto a distanza tra marito e moglie serrato, originale (questo sì) in quanto la distanza fisica tra i due viene annullata proprio dalla sua stessa evidenza “fisica”. Alcune sequenze sono decisamente ficcanti: segnalo la finta confessione di un tumore che avrebbe colpito la protagonista, la pistola e poi la mano misteriosa che improvvisamente compaiono nel video realizzato da Alex. Lasciano perplessi, a tratti, gli elementi del sottotesto; la sottomissione della donna (intesa non solo come Alex ma in generale come creatura femminile) oltre ad essere poco attuale nelle società occidentali (e solo in queste, per il resto del mondo ricordate “Il cerchio”!), appare inverosimile come una donna che abbia sopportato tali angherie maschili, dunque inevitabilmente debole, architetti poi una vendetta così feroce e geniale, propria di una donna dotata di accentuata personalità. Inoltre gli elementi di perversione introdotti – le pratiche sessuali anomale del marito – in una società come la nostra votata ormai alla “pornografia o morte” appaiono delle bazzecole rispetto a ciò che vediamo e sentiamo ogni giorno in televisione, tra grandi fratelli e letterine varie, e solo la scena del piercing al capezzolo “disturba” veramente. Il finale disperato e privo di redenzione, con il saluto dei bambini al padre, unico frammento della sua precedente ed ormai distrutta vita, ripetuto all’infinito, depone a favore della riuscita del film. Chi lo apprezzerà vada a recuperarsi il sopra citato, ben più estremo e bellissimo, film di Michael Haneke.
Mauro Tagliabue
Recensione n.2
Il film dell’australiano Rolf de Heer offre uno spunto molto originale per affrontare l’incomunicabilita’ che si cela dietro gesti, sguardi e parole routinarie all’interno di un nucleo familiare, ma perde progressivamente lucidita’ finendo per compiacersi di conclusioni inutilmente grevi. La situazione di partenza e’ intrigante: il marito compie gli anni, si sveglia raggiante al mattino, riceve gli auguri degli adorati figli, in ufficio ottiene pure una promozione e si attende per la sera una festa a sorpresa dalla moglie. In effetti sorpresa sara’, ma quanto di piu’ lontano dalla sua immaginazione. Il regista ha il pregio di costruire con pochi dettagli un’atmosfera carica di inquietudine, creando curiosita’ sugli sviluppi narrativi. L’immedesimazione con i personaggi, pero’, cala progressivamente a causa di psicologie, inizialmente sfaccettate, ma via via sempre piu’ schematiche. Dietro la quiete solo apparente e la ferocia di un rancore accumulato in anni di muto distacco, infatti, il modello di coppia rappresentato e’ dei piu’ triti; banale, tanto per restare ai luoghi comuni, anche per gli aneddoti da bar tra uomini in cerca di conferme alla propria virilita’, o per le confidenze tra colleghe, timorate ma non troppo, in sala mensa: lui arrogante e sempre arrapato, lei mero oggetto sessuale alla disperata ricerca di affetto. Sulla pellicola aleggia costantemente il monito “attento maschio, cerca di capire con attenzione le esigenze della tua compagna se non vuoi fare la stessa fine”. Il problema e’ che il film assume un’unilateralita’ nello sguardo difficilmente condivisibile, non mettendo mai in discussione l’assurdita’ della situazione e, soprattutto, non ponendo l’accento sul fatto che la comunicazione si fa in due e che incolpare gli altri della propria insoddisfazione significa deresponsabilizzarsi. In pratica non si limita a mostrare la degenerazione a cui l’incapacita’ di dare voce ad un disagio puo’ arrivare, ma tenta in qualche modo di giustificarla, con un irritante rapporto causa/effetto. Il cinema ne esce comunque megliodella lezione morale, grazie all’abilita’ del regista nello sfruttare i limiti oggettivi di un unico set, angusto e buio, attraverso una messa in scena claustrofobica ma non teatrale. La sceneggiatura alterna trovate efficaci (il tumore al seno, il piercing, l’escalation narrativa del videotape di cui la moglie si rivela abile regista) a inutili lungaggini (gli “stop” e i “rewind” del marito che coprono maldestramente la loro funzione di stratagemmi per allungare il brodo) e svolte illogiche (la conclusione grottesca, il “ruolo” nella vicenda del vicino di casa, la reazione paradossale del protagonista al violento atto di accusa). Il problema fondamentale del film e’ quindi soprattutto quello di proporsi come un tentativo di estremizzare i non detti di un rapporto affettivo, per poi giungere a deduzioni vecchie come il cucco, vagamente moralistiche dietro alla patina provocatoria e, cosa peggiore, dallo scarso valore aggiunto. Controproducente il trailer, che anziche’ giocare sul mistero dei presupposti, brucia con ben poca lungimiranza tutti, o quasi, i colpi di scena.
Luca Baroncini (da www.spietati.it)