IT 2003 di Ermanno Olmi con Bud Spencer, Jun Ichikawa, Sally Ming, Zeo Ni, Camillo Grassi, Makoto Kobayashi.

Recensione n.1

° La storia della piratessa Ching che, morto il marito, è dubbiosa se indossare le armi per combattere la flotta imperiale si mescola con la rappresentazione teatrale della stessa storia, alla quale assiste uno studente capitato per caso in quell’edificio. Un favola cinese che prosegue il discorso di Olmi sulle armi e la Storia iniziato nel Mestiere delle armi: mescolando realtà e illusione, il regista si ispira a opere e documenti cinesi e scardina i piani temporali e spaziali creando il fascino e la poesia dall’ambiguità. Il ritmo è, al solito, contemplativo e disteso, perfetto per il cammino interiore della protagonista verso la pace del cuore e verso la deposizione delle armi: tramite fra i due piani è un magnetico Bud Spencer (non doppiato) nei panni di un narratore/spalla barbuta e spagnoleggiante. Meravigliosa la fotografia del figlio Fabio Olmi e i paesaggi balcanici che fanno da sfondo. BN/COL DRAMM 100’ * * *

Roberto Donati

Recensione n.2

Il cinema italiano sta godendo di un momento florido, grazie a prodotti di sicuro valore, per quanto forse in numero ancora ridotto perché sia possibile che si affacci con maggiore spavalderia sulla scena internazionale. Le delicate riflessioni dell’Ozpetek de Le fate ignoranti e La finestra di fronte, l’ironia e la positività che Avati dipinge ne Il cuore altrove, le suggestioni messe in scena da Salvatores nell’ultimo Io non ho paura, l’omaggio che Monteleoni ha dato del silenzioso, dignitoso eroismo dei nostri soldati sul campo di El Alamein, senza dimenticare il vigore di Muccino e gli spaccati di realtà raffigurati dalla Comencini e da Piccioni e l’ormai onnipresente Robertone Benigni – troppo vituperato Pinocchio, lavoro in cui è palpabile la piena partecipazione del piccolo diavolo, che, rileggendo l’opera di Collodi con i propri occhi, ha forse fatto il regalo più bello al suo indimenticabile maestro e amico Federico Fellini –: solo alcune delle emozioni che il cinema nostrano ci ha regalato nel passato prossimo. Accanto a questa schiera di giovani e meno giovani registi, il nostro cinema gode di alcuni veri e propri maestri, come Scola, lo stesso Avati ed Ermanno Olmi. Qualcuno, durante il festival di Venezia, preannunciando l’uscita di “Cantando dietro i paraventi”, l’aveva definito l’ennesimo regalo che Olmi avrebbe fatto al cinema e al pubblico di questo. La definizione è perfetta. Uno splendido episodio del passato storico e letterario cinese diventa, per Olmi, l’occasione di riflettere sul senso della guerra e del perdono. I toni cupi e freddi che ne Il mestiere delle armi accompagnavano l’incedere deciso, quasi ineluttabile del capitano Ioanni de’Medici lasciano il posto a un’atmosfera fatta di paesaggi ricchi di colore e di vita, neanche troppo lontani da noi (si pensa alla Cina e invece, al di là della cinepresa, si estende la Croazia) superbamente fotografati dal figlio Fabio Olmi e dal suo staff: la cinepresa coglie meravigliosamente la splendida, improvvisa fuga dei gabbiani dalla superficie dell’acqua. Nell’intreccio si mescolano cinema, teatro e narrazione pura, quest’ultima affidata alla voce del redivivo, bravissimo Bud Spencer, pirata gentiluomo, filibustiere spagnolo – nazionalità, questa, sapientemente eletta dagli autori: l’inconfondibile vocione di Piedone, caracollante tra castigliano e italiano, precisamente come “zoppicherebbe” tra il cinese e la madrelingua, dona una patina di ulteriore esotismo al racconto, che ne è già ricco. Sullo sfondo di una Cina saggia e corrotta, intrepida e lavoratrice, si consuma la tragedia della protagonista, il cui compagno, ammiraglio della più terribile flotta corsara che mai abbia solcato i mari, è avvelenato a tradimento da affaristi senza scrupoli che già si erano avvalsi delle sue scorrerie per arricchirsi a spese dell’Impero. Lei, per vendicarne la morte, ne raccoglie le spoglie e l’eredità, diventando il nuovo terrore di tutti i mari. Attraverso l’obiettivo, Olmi trasforma le immagini in poesia, e, narrando le gesta dei pirati, canta un’epopea fatta di coraggio e avventura, di scorrerie ma anche di onore e di rispetto: se gli assalti ai villaggi dei poveri abitanti delle coste ci lasciano interdetti, soprattutto perché ricordano le efferatezze compiute dai nuovi pirati proprio nel Mare di Cina e nell’Oceano Indiano, la protagonista si premura di garantire la salvezza e il rispetto di donne e bambini fatti prigionieri. Così, silenziosamente, la cattività è accettata come per incanto, quasi non fosse altro che una dimensione sospesa tra un momento e un altro della vita; così è possibile che un gruppo di bambini si emozioni ascoltando il racconto del nostromo pirata; e che la serva della protagonista, un tempo la preferita del mandarino, dimentichi il passato e abbracci il presente. Olmi ha voluto affidare proprio a quest’ultima la chiave dello scioglimento del dramma, quasi a dimostrare, attraverso questo personaggio, che il male può essere superato, la vita continua al di là degli eventi negativi e può portare a scenari inaspettati e forse migliori di quelli iniziali. Così, la flotta imperiale, inviata per eliminare le tre giunche dell’eroina, pur armata fino ai denti, non dà battaglia, ma affida a una miriade di aquiloni un messaggio per lei: un messaggio di perdono, di riconciliazione, in cui l’odio trova la sua catarsi, e la protagonista, finalmente, la pace dal tormento della perdita dell’amato. Come dire che, al di là dell’odio e del male di un momento, si può ritrovare la serenità per un gesto di semplice gentilezza; una gentilezza che, nelle vicende umane, può avere mille forme. E questo vale soprattutto per i governanti, che, pare di leggere nelle immagini, recentemente si sono spesso resi promotori o partecipi di scelte poco attente alla pace, anche quando, forse, questa avrebbe potuto perseguirsi sacrificando niente più che uno sterile orgoglio. Non importa se dalla prima scena vediamo perpetrare assalti alla popolazione inerme; ciò costituisce obiter dictum, fictio scenica che fa da penombra al vero nodo focale della riflessione di Olmi: il tema della guerra, del mestiere delle armi. C’è chi lotta a viso aperto, chi conduce la propria vita nell’alveo dell’onore e dei sentimenti – pur rappresentato nelle vesti della violenza – e ha il coraggio di affrontare il proprio destino, qualunque sia; e c’è chi tale valore non ha, come i commercianti assassini, che si servono dell’inganno per seguire le vie delle proprie opportunità. C’è un tempo per prendere in mano le armi, e un tempo per il perdono. L’universalità di questo monito senza tempo è sottolineata dalla sovrapposizione del piano della vicenda narrata con quello attuale: le avventure della protagonista, infatti, si compenetrano con alcuni momenti di attualità, che vedono un ragazzo, nella Cina odierna, ritrovarsi per errore in una casa chiusa, dove si narra la nostra storia, e di abbandonarvisi. Un’unione inestricabile, che ritrae, negli occhi smarriti del giovane, lo spettatore, invitato a lasciarsi andare al ruscello della narrazione. Il resto è pura poesia.

Alessandro Morini