Un soldato con l’animo da missionario insieme ai “Ragazzi della Compagnia delle Indie” deve salvare una missionaria con l’animo da modella dalle grinfie dei cattivi, che torturano innocenti e uccidono senza pieta’. Questa, ironizzando un tantino, la storia di “L’ultima alba”. Senza ironia, invece, il film e’ un lungo spot a favore dell’intervento armato degli Stati Uniti. Per chi, stordito da spari ed esplosioni in Surround non se ne fosse reso conto, ci pensa a ricordarlo la didascalia che chiude il film. Una citazione dello statista irlandese Edmund Burke che recita “Perche’ il male trionfi e’ sufficiente che i buoni rinuncino all’azione”. Difficile parlare del lungometraggio senza considerare l’ideologia che lo anima, perche’ tutto il film e’ permeato da uno schematismo finalizzato a suscitare una piu’ che facile indignazione nei confronti del super-malvagio di turno: un regime dittatoriale nigeriano che dopo un colpo di stato (indovinate armato da chi?) comincia una pulizia etnica di matrice ovviamente religiosa. E cosi’ da una parte abbiamo i buonissimi: i neri “si’ buana” tutti solidarieta’ e gospel, la carita’ che non chiede nulla in cambio, il coraggio, l’eroismo, ecc.; dall’altra i cattivissimi, di una crudelta’ oltreogni limite, con un colonnello che si chiama Sadik (sic!) e che,come il suo sgherro, ha la faccia da rettile. Non ci vengono risparmiati, inoltre, tutti i cliche’ del film bellico: la guerriglia nella giungla, gli appostamenti notturni, il momento di riposo infranto dall’arrivo dei nemici, la scoperta della “talpa”, l’immancabile morte dei personaggi zavorra, il sacrificio del “buono”, la disobbedienza agli ordini ricevuti in nome di una giusta causa, l’attacco a sorpresa e infine (poteva mancare?) l'”arrivano i nostri!”. Discorso a parte per la retorica dei dialoghi, in cui le battute vanno da “Sempre avanti!” a “Fai la cosa giusta!” passando per “Oggi hai fatto una cosa buona!” e”Dio non vi dimentichera’ mai!”.
Tra i super buoni una coppia inedita: Bruce Willis, che pare il buttafuori di una disco di tendenza e si trova costretto in un ruolo di duro dal cuore di panna che non gli consente di muovere piu’ di un sopracciglio per volta, e la sempre piu’ in carriera Monica Bellucci. L’attrice italiana non ha il dono dell’espressivita’ ma gode, oltre che di una bellezza straordinaria, di una forte presenza scenica e, rispetto alla consueta immobilita’, almeno prova a darsi da fare.
Sempre tragico, comunque, l’auto-doppiaggio. Tra i caratteristi di lusso, quella faccia da alto ufficiale di Tom Skerritt che ormai, in film del genere, fa parte del paesaggio. Da un regista come Antoine Fuqua, a cui dobbiamo un thriller riuscito come “Training day” ove i confini tra giustizia e crimine erano assai sfumati, ci si aspettava uno sguardo meno di regime. Pare che sul set la situazione tra lui e Willis fosse alquanto tesa circa il taglio da imprimere al racconto e, stando ai risultati, pare l’abbia vinta Willis. Non manca, infine, una cornice di solido mestiere: una suggestiva ambientazione nella giungla, un commento edificante ed epico con richiami alle sonorita’ africane di Hans Zimmer, una indubbia fluidita’ nelle sequenze (poche) di azione e la capacita’ di mantenere, nonostante tutto, una certa tensione.
Di film cartolina di questo tipo, pero’, in cui l’analisi di un conflitto si ferma all’epidermide e nulla viene approfondito per non intralciare la propaganda, non sappiamo francamente che farcene.

Luca Baroncini (da www.spietati.it)