Regia: Bent Hamer
Cast: Joachim Calmeyer, Tomas Norström
Norvegia/Svezia 2003, 92′
L’algido cinema del Nord ha in serbo per noi ancora una storia annegata nelle sconfinate e fredde lande tipiche di quel paese, dove le solitudini dei personaggi vengono (in)naturalmente amplificate dall’utilizzo abbondante dei campi lunghi in cui i personaggi ed i paesaggi si confondono. Oltre a questo elemento, pure la storia vagamente surreale flirta col recente cinema scandinavo, si pensi a Nòi Albinòi, oltrechè naturalmente a Kaurismaki, dove abitualmente tornano storie di solitudini e personaggi stravaganti, che lì ad un palmo di mano vedono la redenzione, nel candore di un legame con qualcuno a cui voler bene (amicizia od amore che sia) in grado di ammansire il gelo del clima e dell’anima. Nella pellicola di Hamer una Società che più strampalata non si può decide di mettersi a studiare il comportamento da “novelli cuochi” dei singles norvegesi, e destina un agente ad ogni persona che ha accettato di farsi cavia, con il divieto assoluto per questi d’intrattenere qualunque contatto umano con l’oggetto dello studio, compreso il rivolgergli la parola; da questo spunto si sviluppa la storia tra i due protagonisti. La prima parte è davvero esilarante, con l’esaminatore abbarbicato su di un enorme seggiolone posto in un angolo della cucina, l’impossibilità della parola traghetta il film verso lande “chapliniane” a dimostrare ancora una volta come la comicità più esilarante non abbia bisogno che di gesti (e forse che il cinema per essere “grande” può anche fare a meno delle parole). Com’è prevedibile i protagonisti violeranno il patto di forzata estraneità ed emergerà a quel punto il senso nemmeno troppo celato dell’opera, quello di una società che più espande il suo desiderio di conoscenza e di controllo su tutto e tutti, più dimostra la sua spietata freddezza, e vede arenarsi il proprio progetto di ricostruire dall’alto una coesione sociale, che il prosieguo della storia dimostrerà possibile solamente a partire dal singolo rapporto individuale. Una delle ultime sequenze mostra tutti gli agenti tornarsene a casa prima del tempo, ed anche se non ci viene spiegato appare evidente come tutti abbiano ceduto al dialogo, e dunque la Società ha fallito e li ha “richiamati”. Il regista palesa qui il suo pensiero, riafferma l’unicità dell’uomo, dei suoi comportamenti, delle sue passioni. Bella e suggestiva la sequenza iniziale con le roulottes tutte uguali degli inviati che passano il confine Svezia-Norvegia e modificano corsia di guida, che possiede un fascino quasi orwelliano. Per il resto la regia è diligente ed il film riesce a coniugare il sorriso ma non ci esime da una profonda riflessione all’uscita dalla sala. E di questi tempi non è poco.
Mauro Tagliabue