Regia Leonardo Pieraccioni con L. Pieraccioni, Angie Cepeda, Anna Maria Barbera, A. Haber, Rocco Papaleo

Recensione n.1

Pieraccioni, comico nostrano, ha un grande punto di forza dalla sua parte: è toscano.
Proprio per la sua toscanità, e la comicità che ne consegue, il film scorre sulle battute dell’attore-regista che non inventa di nuovo ma costruisce una storia prevedibile e poco intrigante che si lascia vedere senza lasciare traccia e danni permanenti.
Lorenzo è un artigiano degli effetti speciali che viene invitato in una villa a produrre un “effetto neve” da una bellissima ragazza (Angie Cepeda) per una fantomatica cena con il fidanzato. Da questo momento insieme all’assistente (Anna Maria Barbera), Lorenzo, single incallito e cronico, si fa coinvolgere dalle travolgenti fattezze della fanciulla, e trascorre insieme a lei 3 giorni indimenticabili.
La scontatezza della trama, nonostante tutto, rende il film vedibile per le interpretazioni degli attori (Rocco Papaleo e Antonio Haber sono davvero in parte) e le trovate verbali del “nostro” che, rifacendo sempre se stesso riesce ad essere guascone e simpatico al punto giusto, lasciandoci uscire dal cinema con più di una risata. L’unica nota stonata dell’orecchiabile sinfonia, è l’interpretazione di Anna Maria Barbera, che interpreta esattamente il suo personaggio di Zelig, e crea una spaccatura netta fra le scene in cui è presente e quelle in cui non c’è, come se stesse recitando dei semplici sketch.
In conclusione “Il paradiso all’improvviso” riporta a livelli accettabili la comicità di Pieraccioni, dopo i flop dei due film precedenti, senza mostrarci comunque niente di nuovo o di eccezionale. Da vedere durante le feste natalizie o quando avete voglia di guardare un film senza pensare. Il giorno successivo avrete dimenticato tutto, salvo quelle tre battute che, lo vogliate o no, un’emozione ve la hanno fatta vivere.

Mattia Nicoletti

Recensione n.2

Probabilmente non avrei scritto niente sul film di Pieraccioni, “Il Paradiso all’improvviso”, che aiuta a sorridere e a passare circa due ore in allegria, ma…due sono i motivi che mi hanno stimolato a scrivere: 1) la recensione di Teresa Lavagna su Film Up e i giudizi di tanti giovani del club medesimo su internet; 2) il finale del film (da cui si ricava secondo me la corretta chiave di lettura del film o per lo meno il motivo ispiratore del film stesso), anche se, ci giurerei, è stato ritoccato all’ultimo momento con una gag aggiuntiva, con funzione depistante.
La Lavagna parla d’ingredienti cucinati con attenzione e un pizzico di cinismo in più in modo che il risultato finale sia assicurato: “Un dolcetto di marzapane, zuccherino” (il film in questione, s’intende).
Mi domando se esiste, oggi, scrittore, giornalista, regista, uomo di spettacolo, uomo di successo insomma così “innocente” da non coltivare insieme allo spirito creativo un certo quantitativo di cinismo?! (penso, la Lavagna intenda per cinismo una certa dose di razionalità nell’incanalare le idee creative in una direzione che non sia in partenza fallimentare).
Qualunque idea che debba trasformarsi in un “prodotto finale”, nella fattispecie in prodotto cinematografico, bisogna che faccia i conti con il marketing research (siamo lontani ormai anni luce dall’idealismo crociano in campo estetico: la perfezione è stagliata nella compiutezza dell’idea di per sé; siamo ad un’estetica che risponde anche (o, ahimè, troppo spesso ) ad esigenze di mercato. L’artista sa che la sua ispirazione per concretarsi e vedere la luce del successo deve adeguarsi al mercato e alle sue esigenze. Quindi deve avere buone narici e nello stesso tempo ( ipocritamente) apparire non interessato al “volgare” ma necessario “business”.
Detto questo mi sembra che l’approccio al film “leggero”, e l’aggettivo leggero non vuole essere un diminutivo della capacità di raccontare una fiction surrealista nella trama, sia riuscito anche se l’ispirazione “realistica” del regista diventa chiara nella “ lievitazione finale” del film.
Esiste una musica leggera di tutto rispetto, artisticamente compiuta nel suo genere, vorrei usare l’aggettivo “popolare” nel senso di espressione migliore dell’animo della gente, che non ha e non vuole avere pretese di musica “classica impegnata” (nel momento in cui avanza tali pretese va fuori del recinto che le è proprio e spesso fallisce).
Nel cinema l’aggettivo “popolare” assumeva nel passato un senso quasi spregiativo (per intenderci i film strappa lacrime di cui grande interpetre fu Amedeo Nazzari o le commediole napoletane, ecc.): ci si accontentava di poco, grandi tecnologie non c’erano e nel complesso il cinema rifletteva il costume e l’etica del tempo. Oggi tutto questo appare scontato.
E’ chiaro che la società oggi è cambiata in maniera profonda e nella fattispecie il cinema riflette un modo di pensare comune, un modo di ridere comune, un gergo, ecc.
Il cinema che non ha pretese di “impegnato” può essere gradevole nella sua “leggerezza” e regalare qualcosa al gran pubblico di non banale, se appena appena si riuscisse a smuoverlo da una lettura superficiale e disimpegnata.
Leonardo Pieraccioni è un bel ragazzotto, sano e vitale cresciuto nella godereccia Firenze; ha succhiato col latte l’aria del 68 e del post 68, introiettando nuovi modi di pensare.
La sua è indubbiamente un’estetica ispirata a Galvano della Volpe che asserisce l’indissolubile unità “dell’idea e dell’immagine” e promuove l’idea “di immagini artistiche che devono mirare all’unità coi concetti”. L’artista deve prendere in considerazione la realtà nel suo contenuto sociale, perché l’opera artistica deve avere natura sociale.
Nel bagaglio culturale di Pieraccioni ci sarà anche “Scrittori e popolo” di Asor Rosa e perciò la querelle degli anni 78/80 sul significato di “ nazional-popolare”.
Il film, alla luce di quanto detto, appare compiuto nel suo genere “leggero” e “artisticamente nazional-popolare”. Infatti, l’ordito è composto di due zumate in piano sequenza e di due monologhi essenziali, al di là della trama surreale di riempimento, rivolti al viso rassegnato del padre, in primo piano, ( i padri oggi sanno bene cos’è la rassegnazione). Uno iniziale, in cui Pieraccioni disquisisce sulla magnificenza dell’essere single e il padre è dipinto come un ebete o un quasi rimbambito ( ridotto così dal matrimonio), e uno finale, in chiesa, in cui fa un ironico madrigale al vincolo matrimoniale in nome della bellissima ragazza-madre incontrata (il paradiso all’improvviso). Il padre gli appare, ora, felice e arzillo proprio per la sua condizione di uomo votato al “matrimonio”.
Nella cerimonia finale del matrimonio il sì di Pieraccioni (scapolo impenitente anche nella vita) arriva in ritardo e crea la suspence che si scioglie in un’esplosione, in un madrigale al sì matrimoniale (“tanto non c’è nulla di perduto”…” c’è il divorzio”, e i guadagni, sì, potranno servire a pagare “fiumi di alimenti”…). La resa avviene all’improvviso, data la fatale attrazione, in una situazione che si sviluppa in modo surreale, per la bellissima ragazza madre (Angie Cepeda), cosa abbastanza corrente nel mondo dello spettacolo, nel suo mondo.
L’ironia finale sta nella decisione così importante presa all’improvviso, che scambia il “matrimonio all’improvviso” con il paradiso (c’è anche un gioco associativo di parole per assonanza). Ma l’ironia finale è mitigata da una serie di sequenze; soprattutto, per evitare un significato ironico-didascalico troppo aperto, il regista gli ha cucito (lo giurerei, all’ultimo momento) una gag spiritosa di un altro tipo di “paradiso all’improvviso”: l’amico scapolo, che si trova a una parata perché passa la regina Elisabetta in una macchina scoperta, preso da un raptus che affiora da un mito del suo incoscio, le si butta addosso e riesce a baciarla; naturalmente il traffico è bloccato, la trasgressione (di tipo diverso rispetto al matrimonio affrontato con superficialità) non si sa come andrà a finire, come del resto il paradiso del matrimonio all’improvviso, ma la gag, su cui è deviata l’attenzione, fa dimenticare l’ironia di un finale che sarebbe potuto apparire didascalico e soprattutto fa ridere di cuore.

Giovanna La Torre Marchese