‘Bella la fotografia’ è lo pseudo-complimento con cui spesso si vuole affossare un film insulso. I critici di una volta parlavano di film ‘calligrafico’, una serie di belle immagini prive di contenuto ed emozione. La Ragazza dall’Orecchino di Perla ha una fotografia splendida ed è estremamente calligrafico: non solo il quadro del titolo ma anche parecchie altre opere di Vermeer e di altri maestri olandesi del 600 sono ricreate sullo schermo. Il cinematographer riesce benissimo a rendere la favolosa luce che illumina la quotidianità e la rende qualcosa di trascendentale e non è cosa da poco, almeno per chi ha appesa in camera una riproduzione della Ragazza in
questione. In più, bellissima la ricreazione di una Delft identica a Venezia. Ma altri avrebbero diritto di annoiarsi ed irritarsi se la storia fosse noiosa o falsa. Invece direi proprio di no. Il film romanza la creazione del capolavoro di Vermeer, fra l’altro un unicum nella sua produzione, tale da giustificare il sospetto di un momento speciale della sua vita. Inventa una domestica, Griet (Scarlet Johanssen) come modello e l’accenno di una storia fra lei e Vermeer (Colin Firth). Come nell’altro film della Johanssen, Lost in Translation, il rapporto fra una donna molto giovane ed un uomo maturo è trattato con reticenza e suggerimenti. Ma a differenza del film della Coppola, qui si intromettono rapporti sociali invalicabili ed una vita dura e pesante e soprattutto il tentativo della ragazza di resistere al dominio di un uomo superiore per posizione, forza, genio, il tentativo di resistere all’annullamento ed allo stupro simbolico del ritratto. La bellezza intelligente di Colin Firth da vita ad un Vermeer dotato di una intensa carica erotica e di dominio. Ma il sesso è così poco importante che lo può dare senza risparmio ad una moglie che non ama e che rimane sempre incinta, ma che rifiuta di ritrarre. Quanto al dominio sulla sua casa di sole donne è assoluto ma è anche il dominio di un tiranno che non vuole assolutamente essere disturbato e che lascia il governo della casa alla formidabile suocera: ma quando decide di intervenire lo fa con subitanea violenza. Tutto deve essere sottomesso alla creazione artistica che è anche il suo strumento di possesso e dominio. La bellezza pallida, al tempo stesso esitante e decisa, di Scarlet Johanssen (praticamente senza sopracciglia) è il perfetto contraltare del fascino di Vermeer, che impiega una buona mezz’ora di film prima di apparire sulla scena.
Una nota: in una piccola parte c’è Johnathan Pryce, nella parte del padre di Griet, un pittore di piastrelle cieco e ridotto in povertà. La piastrella dipinta che lui le dona per portarla come un talismano nella casa del Maestro Vermeer è una modesta difesa contro il potere della grande arte. Un momento di notevole pathos.
Stefano Trucco