Regia Edward Zwick
con Tom Cruise, Timothy Spall, Billy Connolly, Tony Goldwyn, Ken Watanabe, Hiroyuki Sanada, Shun Sugata, Shin Koyamada, Seizo Fukumoto, Schichinosuke Nakamura, Koyuki, Masato Harada, Sosuke Ikematsu
Recensione n.1
Tom Cruise e’ uno dei pochi attori che solo con la sua fotografia accanto al titolo riesce ad attirare mezzo mondo al cinema. Senza addentrarci nel fenomeno divistico che, abbastanza incomprensibilmente, lo circonda, trasformando in evento ogni film di cui e’ protagonista, resta comunque un mistero la pioggia di consensi, anche critici, ricevuti da “L’ultimo Samurai”. Basta infatti l’enfatica voce off che accompagna i primi fotogrammi per farci capire che saremo testimoni di un polpettone in piena regola. Una storia che, nonostante i precisi connotati temporali e geografici (la fine del 1870 in Giappone) e un’apertura un tempo impensabile nei confronti della cultura orientale, potrebbe essere stata scritta cinquant’anni fa. Un calibrato miscuglio di “Balla coi lupi”, “Braveheart” e “Il gladiatore”, senza pero’ il realismo del film di Costner, la forza del Wallace di Mel Gibson e la fascinazione visiva di Ridley Scott. Quello che ne viene fuori e’ un onesto (mantiene cio’ che promette) quanto superficiale lungometraggio, che sciorina l’ennesima facile lezioncina sui veri valori a cui ispirarsi per raggiungere e mantenere la civilta’. Nel caso specifico tocca all’onore, esaltato come punto di partenza e di arrivo per una vita che si voglia degna di essere vissuta. E’ quindi la retorica il collante delle varie sequenze, che prevedono il solito percorso di formazione, immancabile nelle pellicole hollywoodiane incentrate sul confronto tra etnie diverse. La prima parte non ci risparmia infatti nessun luogo comune: l’eroe decaduto, la miracolosa salvezza in campo nemico, l’incontro con la saggezza di quello che si credeva il burbero avversario, la contaminazione, il training fisico (da far rimpiangere il “metti la cera”, “togli la cera” di “Karate Kid”), la scelta decisiva, il grande scontro, il prima graduale e poi brusco ridursi della zavorra (ne restera’ soltanto uno), fino al sanguinoso trionfo. Dalle stalle, ovviamente, alle stelle. La messa in scena di Edward Zwick (il cui pedigree vanta la simil-polpetta “Vento di passioni”) si salva solo nel respiro epico delle battaglie, dall’impatto forte e spettacolare. Per il resto pecca di approssimazione: non basta un vicolo con due panni stesi per fare vecchio West, o qualche probo contadino piegato in due sui campi mentre bambinetti da spot giocano tra loro e la bella di turno cucina manicaretti, per rendere la quotidianita’ di un remoto villaggio giapponese. E non bastano due sottotitoli per dare l’idea che il problema linguistico sia stato affrontato con precisione (come non sorridere al giappo-italiano che trasforma un samurai nella voce automatica che annuncia i treni in stazione?) Certo, la sceneggiatura non aiuta; traveste ogni dialogo con la carta argentata di un Bacio Perugina e appiattisce qualsiasi implicazione caratterizzando in modo solo apparentemente problematico i personaggi; lo stesso protagonista ha infatti le idee chiare sul da farsi e ben pochi dubbi: sceglie sempre la strada giusta, cade e si rialza senza particolari strascichi fisici ed emotivi e non traspare mai la sua vulnerabilita’.
Del resto, come dargli torto: arriva in un villaggio che sembra il Paradiso Terrestre (o la Terra di Mezzo?), dove tutti lavorano duro, si vogliono bene e inseguono nobili ideali, viene trattato con ogni riguardo e incontra pure l’amore in una graziosa e delicata fanciulla (la modella Koyuki)! Ma veniamo a lui, la star mondiale, che oltre a interpretare, co-produce il costoso progetto. Tom Cruise ci mette anima e corpo impegnandosi a essere credibile come samurai, ma l’espressivita’ soggiace all’enfasi con cui accentua sguardi e gesti pensando all’Oscar (una scena per tutte: il pistolotto iniziale sotto i fumi dell’alcool). Come guerriero riesce a cavarsela, ma gli ruba la scena il ben piu’ carismatico Ken Watanabe. Anche lui, pero’, ridotto a cartolina di quello che lo stereotipo vuole come orientale. Largo quindi a sake’, saggezza antica, harakiri, emozioni contratte, rispetto, formalita’, disciplina, onore e ovviamente la Katana (divenuta oggetto di culto per feticisti della superficie). Tutto vero, probabilmente, ma non necessariamente credibile nella concentrazione da Bignami operata da Zwick. Non spicca neanche la centesima colonna sonora del piu’ che prolifico Hans Zimmer. Lo “score” sfrutta sonorita’ ampiamente rodate cercando una suggestiva commistione di pathos ed epicita’, ma si limita a echeggiare “Il Gladiatore” senza imprimersi nella memoria.
Luca Baroncini (da www.spietati.it)
Recensione n.2
Le atmosfere epiche si addicono particolarmente al grande schermo e “L’ultimo samurai” non fa eccezione.
Edward Zwick confeziona un film emozionale, dai larghi spazi e dalle filosofie tipiche dell’Oriente del mondo, facendo incontrare un modo di pensare razionale e a-culturale come quello americano all’approccio storico, creato nel tempo, tipico del Giappone.
Si è conclusa dal qualche anno la Guerra di Secessione americana, Nathan Algren (Tom Cruise) è un ex capitano dell’esercito, del 7°cavalleggeri del generale Custer, che per guadagnare qualche soldo, lavora per la Winchester, la fabbrica di fucili. Richiamato da un vecchio superiore, odiato da Algren, viene coinvolto in un progetto che ha come scopo quello di insegnare all’esercito giapponese le tecniche di guerra per preparare i nipponici ad affrontare e sconfiggere i Samurai, ostili al governo e alle sue politiche, capeggiati dall’affascinante Katsumoto (Ken Watanabe). Durante uno scontro proprio con i Samurai, Algren viene fatto prigioniero ed entra in contatto con la filosofia degli antichi guerrieri del sol levante.
Durante questo periodo, il personaggio interpretato da Cruise, viene affascinato dalle tecniche di combattimento e dall’uso della spada, fino a credere totalmente alla religione che fino a quel momento aveva costituito le basi della storia del Giappone. Da questo momento Algren aspira a diventare l’ultimo Samurai. E’ l’elogio dell’arte della guerra di Sun Tzu, che esprime al meglio il modo di vivere dei guerrieri d’oriente.
Costruito con mestiere dal regista di “Glory”, il film si fonda sul confronto fra due personalità, due modi di pensare che lentamente, nello scorrere della storia, diventano una sola, e affronta temi , come il rispetto per la tradizione e per l’origine dei popoli e l’onore che nel combattimento ha il suo punto di equilibrio, con fascino e seduzione.
Ken Watanabe è uno splendido samurai, perfetto nella sua parte, che riesce a rappresentare il modo di essere di un esercito che nella filosofia della guerra trova le sue risposte, e con la sua interpretazione oscura il seppur bravo Cruise che è in grande forma ed esprime nella sua prova d’attore il coinvolgimento per un ruolo in continua evoluzione.
Lo scontro culturale fra il “samurai d’occidente” e il guerriero nipponico che si esprime con, poche, ma pesate parole, è il motore del film che ci immerge nei paesaggi dominati dal monte fuji in cui il combattimento diventa filosofia assoluta, superiore alla vita e alla morte, ideale che non conosce ostacoli . Nonostante il dubbio per un’interpretazione “all’americana” di uno stile di vita lontano e differente, e un apparente fusione fra “Balla coi lupi”(il conoscere e apprezzare un popolo nel suo modo di vivere) e “Braveheart” (la considerazione dei valori del combattere), il lungometraggio si regge, oltre che sui due attori citati, sulla “grandeur” registica di Zwick che conosce perfettamente i tempi emozionali di questo genere cinematografico, anche se, come spesso succede in questi casi, nel finale è posibile cadere in qualche banalità. La colonna sonora di Hans Zimmer è fondamentale e strumentale al coinvolgimento dello spettatore.
Quando guardate il film, rigorosamente sul grande schermo, seguite il consiglio di uno dei guerrieri nipponici, “no mente”, e non usate l’intelletto per seguire la storia, è necessario solamente il cuore.
Mattia Nicoletti
Recensione n.3
Chi pensava che Edward Zwick fosse un mediocre regista poco talentuoso, dovra’ ricredersi. Certo, di talentuoso in questo film c’e’ ben poco, pero’ ricostuire una vicenda epica e drammatica come questa senza penalizzare troppo lo spettatore per 150 minuti di film non e’ certo cosa facile, e i tempi morti sono ben pochi. Il film (come molti hanno gia’ detto) non e’ altro che un incrocio tra “Balla coi Lupi” e “Braveheart”, non in maniera cosi’ scontata, ma neppure troppo originale. Va da se’ che lo sviluppo della storia sia un po’ tutto un grosso deja-vu, anche se incorniciato da una fotografia a dir poco maestosa. Le battaglie sono molto ben dirette, la musica d’accompagnamento e’ azzeccata, la ricostruzione epocale dettagliata e gli interpreti decisamente buoni. Persino un attorucolo come Tom Cruise fa la sua bella figura in una parte credibile e ben calzante col personaggio: molto appassionato, bisogna riconoscerlo. Se vi piacciono i film epici e intensi, questo film e’ da vedere. Forse non e’ tutto oro quello che luccica, ma merita il prezzo del biglietto. E chi esce dalla visione senza alcun sentimento di sorta, e’ meglio che continui a vedersi quei bei film polizieschi con inseguimenti, esplosioni e sparatorie… forse sara’ piu’ gratificato! Peccato solo vedere questo film con l’occhio americano: anche se il buon Tom si fa portabiandiera dei “musi gialli”, cio’ non toglie che il protagonistaindiscusso rimane sempre lui, per tutta la durata del film. Pero’ un po’ di obiettivita’ si vede, ed e’ gia’ qualcosa, considerato l’elevato grado di patriottismo americano!
Wolf