Recensione n.1

E’ la coralita’ la cifra stilistica di Robert Altman. Non ci sono protagonisti nel suo cinema, ma tanti personaggi che interagendo tra loro finiscono per far vivere pienamente l’ambiente che il regista ha deciso di osservare: la campagna inglese di inizio secolo (“Gosford Park”), l’industria cinematografica contemporanea (“I protagonisti”), il mondo militare (“M.A.S.H.”), la citta’ di Los Angeles (“America Oggi”), solo per citare alcuni titoli. Con “The Company” il suo sguardo si posa sul Joffrey Ballet di Chicago. Ci si aspetta il consueto e abile incastro capace di raccontare non raccontando, di mostrare mentre sembra perdersi, di caratterizzare senza generalizzare, e invece “The Company” risulta una cocente delusione. Siamo abituati a film, spesso indirizzati agli adolescenti, in cui la passione per la danza segue una escalation narrativa codificata: esercizi sfiancanti, la complicita’ con alcuni e la rivalita’ con altri, un amore che non puo’ mancare, l’ansia del debutto, l’incidente, l’opportunita’ inaspettata, il trionfo finale. Altman sembra volere prendere le distanze da tutto questo per concentrarsi sull’essenza del ballo. In realta’ la sua visione, colpa anche della debole sceneggiatura, non fugge i cliche’, ma si preoccupa di demistificarli, privandoli del loro appeal di spettacolarita’. Tutte le solite tappe, infatti, vengono rispettate, ma con un fastidioso distacco emotivo che sa di pretesa intellettuale fine a se stessa. I personaggi diventano entita’ lontane, quasi sovrapponibili nell’anonimato che (non) li contraddistingue e non sentiamo mai la loro forza, il coraggio, la paura, la fatica. I luoghi comuni ci sono eccome, quindi, ma si succedono nella totale indifferenza, con un taglio incerto tra il documentario e la fiction che finisce per mancare il bersaglio di entrambi. Neve Campbell e’ tra le ideatrici del progetto e si dimostra molto abile nel ballo, ma del suo personaggio ci dimentichiamo prima ancora che scorrano i titoli di coda. Malcom McDowell e’ l’improbabile direttore della scuola e pare andare maldestramente a braccio, senza il sostegno di un copione e la guida di un regista. Nel piattume che anestetizza la pellicola (non e’ banalizzando che si entra nel quotidiano), le uniche sequenze degne di nota sono quelle dei balletti, ma il merito e’ soprattutto delle elaborate coreografie. Nota di demerito a parte per l’esibizione finale, che avrebbe buone opportunita’ di vittoria al festival del Kitsch.

Luca Baroncini (da www.spietati.it)

Recensione n.2

Balletto fatto cinema.
Altman è anche qui un maestro nel dare ritmo alle immagini senza perdersi in frenesie senza senso, nel girare le sequenze di raccordo come se fossero delle scene madre, nel rendere il senso della coralità.
Nel trarre dai suoi attori il massimo dell’onestà.
Molte inquadrature strappano l’applauso, quelle vuote e geometriche dei balletti, altre oblique che descrivono il palco.
Ma il film è complessivamente involuto, e inferiore ad altre opere del regista.
Consigliabile solo se si è dei grandi appassionati di balletto.

La Redazione