Recensione n.1
Cosa ci si aspetta da un thriller? Che tenga inchiodati alla poltrona, coinvolga e mantenga una certa coerenza fino alla fine. Non per forza l’originalita’, quindi, ma il puro intrattenimento. Due ore di svago, intese come parentesi dalla propria vita. Una porta che si apre su altre storie in cui potersi distrarre da se’. L’ennesima variante al “genere” di D.J. Caruso centra l’obiettivo solo parzialmente e dopo una prima ora vista e stravista, ma tesa e avvincente, via via si sfilaccia fino a un finale grossolano, che rincorre il colpo di scena ma si impantana nel grottesco. La trama e’ sempre la stessa: un serial-killer che assume l’identita’ delle vittime (tra i tanti modelli anche il nostrano “Almost Blue”), la polizia canadese (siamo a Montreal) che brancola nel buio e l’arrivo di una super-agente federale americana dai metodi poco ortodossi. Tutti i passaggi obbligati del genere vengono rispettati: la successione delle vittime, la rivalita’ tra polizia e F.B.I., l’infittirsi dei dettagli, la falsa pista, l’inseguimento in auto, almeno un salto sulla poltrona (comunque divertente e, per una volta, non dovuto solo a effetti sonori o stacchi di montaggio) e pure la svolta erotica con tanto di amplesso ansimante. La sceneggiatura accumula indizi ma, soprattutto nella seconda parte, li risolve in modo poco plausibile, permettendo allo spettatore di capire come stanno le cose con un certo anticipo, prima comunque della protagonista (che poi tanto fine psicologa non si rivela). Ai non pochi buchi narrativi supplisce una regia che predilige toni crepuscolari ma vividi e si distingue per il gusto con cui compone ogni inquadratura (merito anche del direttore della fotografia Amir M. Mokri) e per l’ingegno con cui esce con stile da situazioni banali. Basta pensare alla bella sequenza della fuga dalla galleria d’arte, in cui i volti dei personaggi sfrecciano con raffinato dinamismo tra una folla anonima e indistinta. Purtroppo la fascinazione del male e le possibili implicazioni “nere” (aspetto, anche questo, non certo nuovo ma sempre stuzzicante) vengono accennate dallo script ma subito abbandonate, per cedere il posto a una vendetta canonica e geometricamente risolutiva. Il cast affianca una Angelina Jolie in parte ma sempre un po’ “troppa” (forse la sua dimensione ideale sarebbe il cartone animato) a un credibile Ethan Hawke, mentre i comprimari Tcheky Karyo e Oliver Martinez (quest’ultimo soprattutto, con un broncio perenne) scontano una certa legnosita’. Piccola parte, inoltre, per Kiefer Sutherland (alternativa costante a Kevin Bacon per i ruoli di candidato alla paranoia) e la rediviva Gena Rowlands. Philip Glass alla colonna sonora avrebbe potuto fare di piu’: contribuisce a creare un’atmosfera ma non produce il consueto magnetismo.
Luca Baroncini (da www.spietati.it)
Recensione n.2
IL SILENZIO DEL COLLEZIONISTA DI OSSA
Un killer più strano dell’altro ha invaso da tempo i grandi schermi: da quello che strappa la pelle alle sue vittime (Il Silenzio Degli Innocenti), a quello che segue riti più biblici e religiosi (Seven e Resurrection, giusto per citarne un paio). Questa volta l’assassino ama rubare l’identità delle sue vittiime (da qui il titolo Identità Violate), prima le uccide, e poi le impersona, cercando così di cambiare la propria vita semplicemente perchè quella che ha non gli va più bene.
Come quasi ogni film di questo genere, il gioco gira sul “Who done it?” Chi l’ha fatto? Chi è lo spietato assassino che si diverte ad ammazzare e ad assumere l’identità degli altri? Il Regista D.J Caruso cerca di guidarci in piste fasulle col tentativo di confonderci le idee, ma purtroppo una regola vale ormai per tutte le opere di questo tipo: L’assassino è sempre quello che meno t’aspetti”. Ormai l’abbiamo imparato tutti, così, dopo 10 minuti, tutta la sala ha già individuato il killer. Ed è proprio la mancanza d’originalità quello che difetta nei film di questo tipo, quel click che faccia alzare lo spettatore dicendo: “Oddio, non me lo sarei mai aspettato!”.
Visto uno, visti tutti; è questo ciò che rende praticamente inutile un film come Identità Violate, è una fotocopia quasi identica dei vari Collezionista di Ossa et affini (dove guardacaso ritroviamo Angelina Jolie).
Angelina, che interpreta l’agente speciale dell’ FBI incaricata a risolvere il caso, è come al solito cool e avvolta dal suo sex appeal, ma è appunto la SOLITA Angelina Jolie, la stessa espressione vista in Ragazze Interrotte o Amore senza confini, e tutto questo essere “solita” fa venire i dubbi riguardo la sua versatilità nelle performance e afferma la sua incapacità di calarsi e di rendere unico e proprio il personaggio che interpreta. Ad aiutarla in questo massacro del film, arriva pronta la sceneggiatura di Jon Bokenkamp, superficiale al limite e senza un minimo sforzo di elaborazione psicologica dei personaggi. Il titolo del film è pero azzeccato, infatti Identità Violate si limita a rubare l’identità degli altri film per mancanza di idee proprie.
Pierre Hombrebueno