La placida esistenza annoiata di un giovane funzionario del Buthan, diventa un elemento vivo e strutturante del film di Khyentse Norbu, autore dalla raffinata sensibilità visiva in cui combaciano contemporaneità e tradizione in un gioco leggero, ironico, a tratti astuto. Il paesaggio non soffoca i personaggi, pur nella sua annientante bellezza ripresa da più angolazioni, ma li avvolge con religiosa e discreta comprensione, quasi a voler ribadire il legame magico, e animista tra le vite dei giovani uomini del 21esimo secolo e la natura “custode”. Il buffo e sincopato Dundep sogna di andare inAmerica, e di ottenere il visto nella vicina Timpu, ma è costretto a lunghe soste sulle strade di montagna. Qui incontra un socievolissimo monaco, che intratterrà del restio funzionario dalle scarpe da ginnastica bianche e di un sempre più nutrito gruppo di sfortunati viaggiatori. Viene rievocata la classica storia del “fuggitivo”, un’esplorazione in toni seppia e dorati di un passato indefinibile e attuale. Qui un giovane, che rifiuta gli studi magici tradizionali, la che non comprende il fratellino, e che, forse per un incantesimo di quest’ultimo, assetato uditore di un sapere a lui precluso,si ritrovanell'”Ossessione” viscontiana orientale, succube della bellezza funerea di una donna reclusa, di boschi e acque impazzite che si accavallano riempiendo gli occhi di verde smeraldo. Addolcito, ma un po’ acre, è il “reazionario” e rivisitato tema del ritorno sui propri passi, della luce nuova che il topos di una storia che lo riguarda porterà sul primissimo piano imbronciato e poi magicamente, rilasciato di Dendup.
Chiara F