COREA DEL SUD-GERM 2003 di Kim Ki-Duk con Oh Yeong-su, Kim Ki-Duk, Kim Young-Min, Seo Jae-Kyeong, Ha Yeo-Jin, Kim Jong-Ho, Ji Dae-Han, Choi Min.

° Attraverso le cinque stagioni del titolo (di anni diversi), la parabola esistenziale – di iniziazione, formazione, espiazione e rinascita – di un uomo allevato da un monaco buddista su una zattera-tempio in mezzo a un lago. Presentato al Festival di Locarno, il primo film del regista (per la prima volta anche attore principale) a essere distribuito regolarmente in Italia (doppiato in qualche modo) è appunto un tracciato buddista immerso nella religiosità della natura e dei sentimenti profondi dell’anima: lo stile di Kim è, al solito, da cinema d’autore ma non privo di un certo manierismo sensazionalistico (con ormai abituali torture ad animali della sfera acquatica), e tornano temi, personaggi e situazioni già visti nei suoi lavori precedenti. Tuttavia, il tono intimista – aereo e leggiadro come di rado capita con film d’importazione del genere – coinvolge implacabilmente, e l’ironia fa capolino spesso fra le pieghe di un racconto che ambisce a svelare le piccole bellezze (e le piccole crudeltà) dell’esistenza senza per questo voler essere paternalista o lezioso. La rappresentazione di un paesaggio stupendamente mutevole è sicuramente furba e calcolata, ma le immagini hanno una forza evocativa non comune, e si legano indissolubilmente alla violenza delle sensazioni umane e alla forza dell’amore (che, per fortuna, non esclude la sacralità dell’atto sessuale). DRAMM 103’ * * *

Roberto Donati

Un’idea senza recensione

.. sicuramente per umiltà non potrei mai recensire questo film, perchè ho avuto l’impressione che ci fossero livelli di lettura non accessibili ad un occidentale(magari era voluto che i bigliettini e le scritte ricorrenti nel film non fossero lette o capite dagli spettatori, ma io mi riferisco al tipo di sensibilità). sinceramente mi ha colpito il fatto che il protagonista riuscisse, alla fine, a “espiare” diventando monaco. viene presentato fin dall’infanzia come una sorta di animale incontrollabile, quasi fosse il simbolo dell’umanità più terrena possibile.
da spettatrice “in poltrona” posso solo dire che il film infrange tutti i possibili pregiudizi sul cinema orientale: è un film estremamente dinamico, ben conscio del suo potenziale “patetico”(in senso lato):mi riferisco al fatto che al di là dell’aspetto riflessivo-meditativo era sicuramente di forte impatto emotivo, infatti spesso mi veniva tremendamente da ridere e poco dopo quasi da piangere, in una successione di impressioni molto rapida. l’aspetto comico sicuramente stemperava la tragicità di fondo, o la facilità ad indugiare sui luoghi bellissimi mostrati…
Chiara F