di e con Charles Dutton, con Meg Ryan, Kerry Washington, Tim Daly, Joe Cortese e Tony Shalhoub (USA, 2004) – 1 ora 20 minuti.

“Against the ropes” (Alle corde) e’ liberamente ispirato alla vita di Jackie Kallen (Meg Ryan), unica donna ad aver avuto successo come manager nel mondo maschile e maschilista del pugilato.
Jackie, cresciuta con il padre nell’ambiente del pugilato, sua unica grande passione, lavora come executive assistant presso il Coliseum di Cleveland ed e’ critica testimone della grettezza e del basso spessore morale dell’ambiente privo di qualsiasi rispetto verso gli atleti. A seguito di un battibecco con l’arrogante promoter Sam LaRocca (Tony Shalhoub), viene sfidata a intraprendere la stessa carriera e ad avere successo. Scopre cosi’ casualmente nei sobborghi della citta’ Luther Shaw (Omar Epps), un giovane sbandato, e ne riconosce il potenziale per diventare un grande pugile. Il suo fiuto si rivela ottimo e la sua iniziale capacita’ di instaurare un rapporto umano piu’ profondo con Luther si rivela preziosa nel guidare il giovane, con l’aiuto dell’allenatore e amico Felix Reynolds, verso una serie di successi che lo porteranno a poter sfidare per il titolo il campione in carica, gestito proprio da LaRocca. Le vittorie tuttavia vanno di pari passo con una sorta di metamorfosi per Jackie, la quale, investita da un turbinoso successo personale, perde di vista proprio quelle doti umane che quel successo avevano reso possibile, facendole perdere la stima degli amici e facendole rischiare di compromettere la carriera sua e di Luther. Messasi da sola “alle corde”, con il sistema pronto a stritolare entrambi, senza piu’ alcun supporto, sara’ in grado di uscirne vincente soltanto sacrificando la sua immagine personale (ovvero cedendo il contratto di Luther al suo acerrimo nemico) per permettere al suo campione di combattere e vincere il titolo.
Nel complesso, il film non decolla. I fatti si susseguono velocemente e vengono presentati con superficialita’. L’introspezione dei personaggi e’ ridotta ai minimi termini ed e’ appena funzionale a supportare la trama. Molte scene risultano forzate e quasi ridicole nella loro prevedibilita’. Le riprese dei combattimenti, che forse nelle intenzioni di Dutton volevano ricordare i close-ups di “Ali”, risultano fastidiose avendo il solo effetto di rendere incomprensibile cio’ che sta accadendo e, al massimo, di indurre un leggero mal di mare.
Il film ha comunque il merito di non scadere in un propagandistico e stereotipo femminismo, che ne avrebbe ulteriormente ridotto lo spessore. Il ponderato messaggio e’ che per una donna, in un ambiente come quello rappresentato, mettere in gioco determinazione e aggressivita’ da “cane tra cani” (“se vuoi correre con i grossi cani non stare ferma ad abbaiare nel cortile”, consiglia a una giovane ammiratrice)non e’ sufficiente per reggere la competizione con i colleghi maschi, ma si deve distinguere per superiori doti umane se non vuole finire schiacciata dal sistema.
Il tema e’ gia’ stato trattato in numerose altre pellicole (una su tutte “The associate” di Donald Petrie, con la grandissima Whoopi Goldberg) e “Against the rope” non aggiunge nulla ne’ migliora quanto gia’ e’ stato fatto.
Meg Ryan, sempre bellissima, e’ inferiore alle aspettative. L’interpretazione e’ un po’ contratta, forse per il tentativo di parlare con un accento forzato. “DOA” (1988) ci aveva dato una Meg acqua e sapone dai deliziosi occhioni blu, che ha continuato con successo per quasi vent’anni a interpretare personaggi piu’ o meno dello stesso filone. Anche considerando la maturita’ artistica raggiunta, piacerebbe vederla in un’opera impegnativa che ancora le manca. La doppietta “In the cut” e “Against the rope” sembrano invece due occasioni perse, che si affidano di piu’ ai centimetri di pelle in mostra piuttosto che alla qualita’ dell’interpretazione di un ruolo che non sembra esserle esattamente proprio o allo spessore della trama. Speriamo sia un momento di “transizione”.

Mattia Bonsignori