Recensione n.1

Se il cinema italiano si dà all’impegnato, si ottengono buoni risultati; se si dà alla commedia, spesso nascono film volgari e stupidi.
Se invece il cinema americano si dà all’impegnato, si ottengono buoni risultati, ma la differenza è che quando si dà alla commedia, spesso nascono film divertenti e intelligenti.
Uno di questi è 50 volte il primo bacio, una commedia romantica che racconta di Henry (Adam Sandler), veterinario playboy abituato a cambiare donna ogni giorno. Finalmente sembrerebbe aver trovato l’amore della sua vita in Lucy (Drew Barrymore), ma quel che Henry non sa è che la ragazza soffre di una strana forma di amnesia, ovvero ogni giorno perde la memoria del giorno prima; ogni sera, prima di dormire, il suo cervello è come “resettato” a zero.
Il film di Peter Segal (Una pallottola spuntata 33 1/3) si rivela molto piacevole: si passa dalle divertenti trovate gag del comico Adam Sandler (Big Daddy), alle tipiche situazioni da batticuore delle teenage movie americane, con momenti che raggiungono il commovente, fino al gran finale certamente scontato, ma che rivela una sorpresina inaspettata.
La performance di Drew Barrymore (Mai stata baciata) riesce ad alternare con efficacia momenti di pazza comicità con momenti di serietà drammatica, riconfermando il talento di questa attrice spesso sottovalutata e catalogata unicamente per i generi di film che fa (ma posso mettere la mano sul fuoco che accompagnato da un solido regista, l’opinione critica invertirà parere).
Ottimi i personaggi di contorno: il palestrato fratello Doug (Sean Astin, il Sam de Il Signore degli Anelli), il quasi spaventoso Nick (Pomaikai Brown), l’eccentrico Ula (Rob Schneider) e la veramente brillante Sue (Amy Hill).
50 volte il primo bacio è un film che corre liscio come l’olio, senza sotterfugi che facciano grattare la testa allo spettatore, un’opera sincera e godibile al massimo per un completo relax non banale.

Pierre Hombrebueno

Recensione n.2

Lui e’ uno sciupafemmine che ruba il cuore a giovani turiste in cerca di brividi ormonali esotici (siamo alle Hawaii). Lei una ragazza che in seguito a un incidente automobilistico ha perso la memoria breve: ricorda tutto cio’ che e’ accaduto prima dello scontro fatale, ma niente degli eventi successivi. Ovviamente i due si incontreranno e bla-bla-bla, ma la trovata simpatica e’ appunto che ogni giorno la ragazza dimentica completamente il giorno precedente. Non facile, quindi, per il protagonista, farla innamorare ad ogni ineluttabile spuntare del sole. La sceneggiatura ha il pregio, pur facendo i salti mortali, di far progredire la storia senza arenarsi alla semplice trovata iniziale e non basandosi, una volta tanto, sul tema del superamento del trauma, cardine di tanto cinema americano. Purtroppo, pero’, il contorno della vicenda (non originale ma piacevole) lancia strali di naftalina: la famiglia innanzitutto, tanti buoni sentimentiin pacco dono, personaggi che pare vivano d’aria, una problematicita’ solo apparente, un buon numero di macchiette non sempre irresistibili (l’assistente “uoma”, l’amico truzzo, il fratello tontolone) e una comicita’ a singhiozzo. Se, infatti, in alcune sequenze il registro brillante adottato da Peter Segal funziona (il menage familiare della ragazza, i ripetuti tentativi di abbordo), i momenti puramente comici soffrono invece (forse anche a causa del doppiaggio) di sviluppi perlopiu’ prevedibili e botta e risposta mosci. Con il risultato che molte gag cadono a precipizio nel vuoto. Certo, la dimensione da villaggio vacanze non aiuta. Piu’ azzeccata, anche se fin troppo facile, la scelta di “hawaianizzare” l’atmosfera spruzzando di reggae alcuni “must” musicali degli anni ottanta (Police, Cure, Spandau Ballet tra gli altri). Quanto agli interpreti, Drew Barrymore, quando non eccede in smorfie e’ graziosa ed espressiva, mentre Adam Sandler, inspiegabile icona comica d’oltreoceano, oltre che fuori parte e antipatico ha sempre la stessa faccia. L’incontro tra “Memento” e “Ricomincio da capo” finisce quindi per collocarsi in un non troppo entusiasmante limbo di mediocrita’: poteva essere molto peggio, ma anche molto meglio. In ogni caso si esce dalla sala con la stessa sindrome della protagonista: al mattino successivo, del film non resta che un vago ricordo di camicie multicolori, trichechi loquaci e UOVA fritte.

Luca Baroncini (da www.spietati.it)