Il cinema ha l’incredibile potere di frammentare il punto di vista permettendo allo spettatore di godere di un’invidiabile ubiquita’. Una vicenda puo’ essere quindi scomposta (“Memento”), sdoppiata (“Sliding Doors”, “Smoking”, “No Smoking”), moltiplicata (“Lola Corre”), stravolta (il nostrano “Amnesia ma soprattutto “Pulp Fiction”), vista da piu’ parti (dal classico “Rashomon” al recente “Basic”), reiterata (“Ricomincio da capo”, “Cinquanta volte il primo bacio”), raccontata al contrario (“Irreversible”) o dribblando la scansione temporale (“Ritorno al futuro” su tutti), e personaggi che non si conoscono possono essere portati dal fato ad incrociarsi e/o sfiorarsi con esiti imprevedibili e risolutivi (“Tredici variazioni sul tema”, insieme a una moltitudine di altri titoli). Il novello demiurgo Greg Marcks (classe 1976) si inserisce in questo filone, ricco di variabili e opportunita’, e prova a rinvigorirlo attraverso una sorta di commedia nera degli equivoci, dove la sonnecchiante provincia americana diventa l’epicentro di una devastante reazione a catena. Se Marcks dimostra di divertirsi un sacco a giocare con la sorte dei suoi personaggi, non riesce pero’ a trasmettere il suo entusiasmo, e i continui rimbalzi causa-effetto mostrano quasi subito la corda. E’ troppo perfetta la geometria che li anima, finalizzata unicamente ad alimentare uno stupore in perenne stand-by e, cosa piu’ grave, non esiste una vera progressione in grado di aggiungere tasselli effettivamente sorprendenti. Si’, e’ vero, la descrizione di ogni quadretto si dilata per gradi attraverso l’infittirsi dei dettagli, ma il gioco ad incastri prende il posto del mistero senza, alla base, il supporto di una consistente solidita’ narrativa. Personaggi dal respiro corto movimentano cosi’ un teatrino di mesta umanita’ che pesca ancora nel pulp (uh!) e sdrammatizza il thriller con una comicita’ smargiassa, mancando il bersaglio dell’ironia. L’obiettivo della circolarita’ viene raggiunto, ma al prezzo di una compiaciuta gratuita’, poco ravvivata dalla regia nonostante l’incedere del ritmo e una fotografia dai ricercati toni lividi. Anche il frullato musicale di jazz, country e sonorita’ latine, e’ piu’ originale che effettivamente azzeccato e, anzi, aumenta il distacco nei confronti dello schermo, contribuendo a non prendere sul serio i personaggi e il loro grottesco destino. Tra i volti che popolano la cittadina di Middleton si riconoscono una fugace Barbara Hershey, un Patrick Swayze piu’ bolso che mai e una sprecata Hilary Swank (anche tra i produttori esecutivi). Il retrogusto e’ quello di un cruciverba tirato per le lunghe.
Luca Baroncini (da www.spietati.it)