Recensione n.1

Matteo ed Emma sono una coppia un po’ triste: lui lavora sulle ambulanze, lei in ospedale come chirurgo. Hanno una figlia a cui vogliono bene, ma il sentimento che li lega ha perso entusiasmo e le energie sono tutte per mezze frasi di reciproca incomprensione. Entrambi sono attratti da colleghi di lavoro. Fin qui sembra di trovarsi in un ordinario dramma degli affetti: conflitti, incomunicabilita’ e tradimenti, incorniciati in una Roma dai toni bluastri resa suggestiva dalla fotografia di Luca Bigazzi e dal toccante commento sonoro di Ludovico Einaudi. Anche gli attori se la cavano con professionalita’. Poi Michele Placido dopo il deludente “Un viaggio chiamato amore”, prova ad affrancarsi dal minimalismo di tanto cinema italiano contemporaneo e a volare alto. L’aggettivo che meglio qualifica i suoi pur apprezzabili sforzi di uscire da strade rodate e ampiamente battute e’ uno solo: imbarazzante. Eh si’, perche’ inaspettatamente il film diventa un grottesco incrocio tra Pirandello e “X-Files” e sbanda clamorosamente nel ridicolo involontario. Tutta la seconda parte e’ infatti un filosofeggiare sulla caducita’ degli affetti e sul dolore provocato dalla perdita di un amore, ma Placido non riesce a sfruttare le potenzialita’ espressive del mezzo cinematografico e non trova il taglio adatto alla pretenziosita’ del racconto. E cosi’, tra dialoghi insensati (la non intenzionale comicita’ delle disquisizioni su geografia e coccinelle), svolte narrative nonsense (il lungo episodio del professore universitario) e dettagli kitsch (il grottesco nudo integrale finale, che giovera’ di sicuro alla promozione del film), il lungometraggio cede al pastrocchio e finisce per suscitare risate laddove vorrebbe indurre alla riflessione e persino impensierire. Peccato, perche’ gli attori sono bravi, ma il piu’ delle volte mal diretti e lasciati affondare insieme alle pretese del progetto.

Luca Baroncini (da www.spietati.it)

Recensione n.2

Difficile commentare un film indifendibile, con una prima mezz’ora di cinema medio classico godibile, e un’ora successiva di pura commedia involontaria. Quello che nuoce al film (che narra la morte di un marito, Accorsi, in crisi con la moglie) , più ancora che i dialoghi imbarazzanti (su coccinelle e margherite) è la pretenziosa vena intellettuale. Citazioni da Pirandello e Dante sprecate. Peccato, perchè Placido come attore pirandelliano è un grande. Forse gli ha nuociuto il troppo amore per lo scrittore.
Un dialogo su tutti: Moglie di Accorsi, a cui è appena morto il marito “Ed ora come farò?”. Amante “Ma ci sono qua io!!!!”. Risa e scherno in sala. Una bordata di fischi come non ho mai visto in 6 anni a Venezia. Un’occasione sprecata.
Il film di Placido è legato a una scena “cult” del Festival 2004.
Proiezione stampa di “Ovunque sei” di Placido, in Sala Perla, ore 22. La proiezione successiva, alle 24, è “Orgasmo”, di Umberto Lenzi.
Dopo mezz’ora la sala inizia a rumoreggiare.
Dopo quaranta minuti molti iniziano a sghignazzare…
Sulla scena finale con Accorsi e Violante Placido nudi, tra lo sgomento generale, una voce si leva in sala “Basta!!! dateci Orgasmo!!!”. Grande scroscio di applausi, e fischi feroci e meritati alla fine del film.

VC

Recensione n.3

A volte mi chiedo che cosa passi in testa agli “illustri colleghi” critici italiani. Presentato in anteprima al Festival di Venezia, Ovunque sei è stato accolto in proiezione stampa da risate e fischi a non finire, con tanto di lunghissimo BUUU finale. Innanzitutto cessa quel rispetto per gli spettatori che vogliono godersi il film in santa pace, senza risate che disturbino la visione soprattutto nei momenti clou, che la critica italiana sia quindi un popolo di barbari, abituati a fare confusione da pub rovinando il sacrosanto silenzio generale che dovrebbe caratterizzare il movie time? Sicuramente molto più educata la stampa estera, che non solo ha evitato i fischi e le urla, ma addirittura ha difeso il nostro film, nostro in senso nazionale. Ma non voglio dilungarmi oltre la discussione riguardo la critica italiana che cade a pezzi, ora parliamo del film, del perché non è da buttare nella spazzatura.
Continua il viaggio di Michele Placido nel mondo dell’amore, questa volta addirittura andando oltre i confini dello spiegabile e del razionale per addentrarsi nel metafisico, nella vita ultraterrena. Protagonista è ancora una volta Stefano Accorsi, medico del primo soccorso che consuma le sue notti infinite dentro le ambulanze. Col volto dipinto di tristezza, l’attore rievoca il Nicolas Cage di Al di là della vita con il senso di claustrofobia interiore, la sensazione di avere una bomba dentro lo stomaco che non accetta di esplodere. Toni cupi datati dalla fotografia grigiastra e dai tempi dilatati del montaggio caratterizzano la prima parte dell’opera, l’ambiente circostante è il riflesso spirituale dei due protagonisti, una coppia che si trascina dietro un rapporto ormai stanco, al limite dell’esaurimento.
Molti sono i temi affrontati dal regista, a cominciare dal riscatto, quella possibilità di cambiare vita per iniziarne una nuova, di lasciare alle spalle il proprio passato per incominciare a vivere nuovamente, così la seconda parte della pellicola brilla di colori caldi, quasi come una rinascita, una seconda vita. A caratterizzare queste scene sono soprattutto le citazioni pirandelliane, una vena poetica tanto apprezzata dalla stampa estera presente a Venezia. Placido ritiene forse la poesia come l’arte più vitale, così lo usa per sottolineare il ritorno alla giovinezza del protagonista, la sua iniziazione alla rinascita, il nuovo amore del presente che inconsapevolmente si traduce in quello del passato, perché ciò che il regista vuole dirci è proprio questo: l’amore è eterno, il passato si tramuta in presente, e il presente in futuro.
Non si nega la presenza di certi dialoghi costruiti male, banalmente, ma il messaggio filmico, i rispecchi metaforici e la cura della rappresentazione, nell’ attuale panorama del cinema italiano, mi fanno dare il benvenuto a Ovunque sei.

Pierre Hombrebueno