Francia 2003 Durata: 86 minuti USCITA PREVISTA : 8 ottobre 2004
SCHEDA TECNICA
Sceneggiatura Jacques-Rémy Girerd, Antoine Lanciaux,Iouri Tcherenkov
Internet www.laprofeziadelleranocchie.it
VOCI
Ferdinand Sergio Fiorentini
Tartaruga Anna Marchesini
Elefantessa Simona Izzo
Elefante Roger Ricky Tognazzi
Luise De La Motte Francesca Draghetti
Juliette Kadigia Bove
Tom Alex Polidori
Lili Angelica Bonacini
SINOSSI
Ai confini del mondo, lontano da tutto, una famiglia tranquilla si è trasferita in un grazioso casolare, in cima a una collina. In questo piccolo nido vivono Ferdinand, marinaio in pensione, la moglie Juliette, originaria d’Africa e Tom, il figlio adottivo.
I vicini, i Lamotte, che vivono ai piedi della collina, stanno per partire per l’Africa per prelevare una coppia di coccodrilli. La spedizione alletta ben poco la signora Lamotte, coinvolta suo malgrado in questo viaggio. Juliette e Ferdinand si sono gentilmente offerti per occuparsi durante la loro assenza di Lili, la loro unica figlia. Questa fortunata circostanza fa impazzire di gioia i due bambini.
Ma la sera in cui i Lamotte devono partire, la campagna circostante è percorsa da un brivido di enorme preoccupazione. Il mondo delle rane è in subbuglio. Ogni pozza, ogni stagno, ogni rivolo d’acqua ha inviato una sua rappresentante alla riunione straordinaria dei batraci della regione che si svolge vicino alla fattoria di Ferdinand. Pioverà per quaranta giorni e quaranta notti ininterrottamente. Un nuovo diluvio è previsto per la luna piena, ormai molto vicina.
La rana anziana avverte i bambini dell’imminente catastrofe e li esorta a prepararsi per affrontarla.
Preoccupazioni e speranze della piccola comunità degli umani e delle bestie convergono naturalmente verso Ferdinand, il solo apparentemente in grado di salvare tutti da questa situazione.
All’improvviso, Ferdinand ritrova il suo istinto di vecchio lupo di mare. Ha inizio così una fantastica avventura, dai mille sviluppi, che esprime con rigore, humor e tenerezza tutta la commedia umana.
La pioggia sarà terribile!
I fiumi s’ingrosseranno, presto romperanno gli argini e inonderanno tutto ciò che li circonda! Assisteremo a un diluvio spaventoso che sommergerà il mondo intero!
Ogni essere vivente sarà sommerso dall’acqua, che salirà, salirà e salirà.
Mi senti?
Un altro diluvio!
La rana anziana
Intervista a Jacques-Rémy Girerd
Su quale profezia si basa la sua storia?
Una profezia immaginaria, che s’ispira certamente alla storia dell’Arca di Noè, di cui ho conservato solo l’immagine poetica e universale: l’annuncio di un nuovo diluvio, quaranta giorni e quaranta notti di pioggia battente. A questo si aggiunge una storia, o meglio più storie di animali straordinari e di uomini ordinari. Il tema centrale è quello del mito della creazione, si basa sulle grandi paure ancestrali. A parte questo, “La profezia delle rane” è una favola sociale tragicomica che tratta questioni quali la tolleranza, l’ecologia, la difficoltà del convivere, i tormenti della dittatura… È anche una bella storia d’amore tra due bambini.
Come si è svolta la stesura della sceneggiatura?
Prima di tutto ho scritto una storia puramente letteraria. Poi, con Iuri Tcherenkov (anche lui responsabile della realizzazione grafica) e Antoine Lanciaux, il quale ha già collaborato come animatore in parecchi film della Folimage, abbiamo sviluppato la sceneggiatura. Ci sono voluti quasi due anni. Mi piace molto lavorare a più mani. Condividere l’atto della creazione non mi toglie niente. Anzi, è uno stimolo per migliorare, mi spinge a mettere il mio ego da parte. Alla fine, il risultato è migliore. È il frutto di tre immaginazioni e il vantaggio è che non esistono confusioni.
Come si creano dei personaggi animati?
Frugando nei ricordi, soprattutto quelli dell’infanzia. Il personaggio di Ferdinand, un vecchio marinaio barbuto e tenero, assomiglia un po’ al mio primo maestro di scuola: Pépé Germain. Ferdinand è com’era lui: parlava con arroganza, aveva la faccia vissuta, il frustino facile. Un errore nel recitare la tabellina dell’8 e giù una scarica d’imprecazioni fenomenali che attraversavano da parte a parte il palazzo della mia scuola elementare fino ai banchi degli allievi più anziani. Ma Ferdinand è anche il frutto della mia immaginazione di bambino popolata da avventurieri, filibustieri e pirati. Personaggi esuberanti, colorati, aggrappati ai cordami di qualche galeone di cui il capitano Haddock ne è un meraviglioso esempio. Ancora oggi, mi capita di rileggere con lo stesso piacere di quando avevo dieci anni, le sue dispute con una banda di pappagalli ne “Il tesoro di Rackam il Rosso”. Potrei anche parlarle di mio zio Claudien, contadino di Saône-et-Loire, in sella al suo trattore, visiera del berretto rialzata, come se il mondo gli appartenesse… Ferdinand mi ha quindi permesso di coniugare nel presente quei ricordi e quelle emozioni infantili, di costruire pezzo dopo pezzo, dialogo dopo dialogo, il personaggio del vecchietto tenero e brontolone che animava i miei sogni.
Lei in che modo dirige un film di animazione?
Cerco di fidarmi delle mie più profonde intuizioni, di esprimere sentimenti leggeri: una mano che accarezza dolcemente un viso, un bambino addormentato che ti sistemi teneramente sulle ginocchia, un ancheggiamento impercettibile, una sedia che cade per errore, il dolore a una spalla. Non cerco di trasmettere a ogni costo la prodezza visiva che talvolta maschera una debolezza dei sentimenti. Anzi, la mia squadra ha la mente aperta e con loro cerchiamo di dagli accademismi. Propendiamo naturalmente più per un’interpretazione in volume di una grafica immaginata quasi tutta in piano. Hayao Miyazaki afferma che “da mille anni i Giapponesi si esprimono con linee e contorni mentre gli Americani si esprimono attraverso i volumi”. Senza voler copiare lo stile di nessuno, la mia sensibilità pende più dalla parte di Miyazaki. Mi affascina molto anche l’opera di Paul Grimault o quella di Iuri Norstein. Concretamente, a modo mio cerco di resistere alla globalizzazione “disneyana”.
Concretamente, come si svolge il lavoro di realizzazione di un progetto come questo?
Parto dal principio che l’emozione deve sempre avere il sopravvento sulla tecnica. Questo è stato reso ancor più facile dal fatto che gli artisti che hanno lavorato con me sono tecnici eccellenti. Il grosso della mia attenzione in quanto regista, l’ho concentrata sulla registrazione delle voci, sulla recitazione degli attori, sull’”Acting” come dicono gli Inglesi e sulla colonna musicale. Il direttore artistico, il responsabile delle scenografie e il responsabile della colorazione mi hanno ampiamente permesso di revisionare la grafica, il colore e la luce. La grande difficoltà in un lungometraggio è l’enorme numero di piani in lavorazione in varie fasi di realizzazione. A un certo punto della produzione, c’erano contemporaneamente più di mille piani. Una visione terrificante! Ci sono circa venti, quaranta informazioni importanti in ciascun piano, basta fare il calcolo, è allucinante! Una sola soluzione è possibile: prendere le distanze per non perdere l’essenza, il senso della storia e la sua freschezza. Questo approccio implica a volte il rischio di mescolare un po’ i pennelli, per fortuna senza gravi conseguenze gravi. Lavorare su più di mille dossier contemporaneamente è assolutamente disumano. Mi chiedo se sarei in grado di rifarlo. Alla fine, ci sono voluti due anni di ricerca per tradurre in film, con l’aiuto potente delle tecniche computerizzate, la nuova e libera grafica di Iuri Tcherenkov. Alcuni hanno addirittura detto che le immagini fanno pensare a illustrazioni in movimento. Roba mai vista!
Come definirebbe la grafica del film?
Iuri Tcherenkov ha creato, su mia richiesta, l’universo grafico del film. È un grande artista che ha partecipato anche alla realizzazione (“La grande migrazione”) cosa che ha facilitato molto le cose. Sono circa dieci anni che questo Ucraino vive in Francia, da quando ha incontrato la Folimage. La sua opera è gioiosamente melanconica, è l’immagine del suo autore. I personaggi, che ha limato con l’aiuto della sua compagna Zoïa Trofimova, hanno un’umanità sconvolgente. Iuri si allontana quel tanto che è necessario dal realismo, per cogliere la poesia del volo.
Jean-Loup Felicioli, caposcenografo, ha partecipato anche lui alla realizzazione e ha dato alla grafica di Iuri un supplemento d’anima, ai confini della distruzione. Il colore va da Vlaminck a Monet, esprime sentimenti forti e molta tenerezza, senza mai aver paura di mettersi in mostra. Ancora una volta, le sensibilità si sono unite in modo armonioso per moltiplicare la forza delle immagini e al servizio del testo.Gli universi di Jean-Loup e di Iuri, in teoria lontani uno dall’altro, hanno trovato ne “La profezia delle rane” le giuste condizioni per la loro sublimazione.
Pensa di creare un nuovo stile?
Mi è totalmente indifferente, per me contano solo l’onestà e la sincerità. Quando mi trovo davanti a me stesso, mentre scolpisco mentalmente un personaggio, mentre scrivo una sequenza di dialogo o mentre avviene uno scambio creativo con la squadra di animatori incaricata dei movimenti, ebbene, mi sento molto più vicino intellettualmente a Marcel Carné e Gao Xiangjang che a Disney. Cerco di avvicinarmi il più possibile alla poesia del reale. Vorrei trasmettere ai miei personaggi l’afflato che sento confusamente dentro di me, vorrei dare loro un po’ della mia vita, vorrei che si sentissero due pelli che si sfiorano, che la tenerezza s’insinui senza che ce ne rendiamo conto, che di quando in quando si leggano i pensieri più reconditi, che gli animi traspaiano sulla superficie del film. Io cerco di dire la verità, tutto ciò può sembrare illusorio e presuntuoso, ma a volte, lo giuro, funziona! E quando succede ho la fantastica sensazione di star facendo bene il mio lavoro e di star servendo con lealtà la squadra del film.
Si può allora dire che la realtà è il fattore dominante del suo modo di lavorare?
Di sicuro uno dei fattori. Ma questo non impedisce a questa realtà di essere delirante. I bambini vivono emozioni reali nella vita quotidiana. Per esempio, tutti sperimentano la paura, paura di perdere i propri genitori, paura di essere divorati, paura di diventare un mostro… Quando i personaggi di un cartone animato esprimono le stesse paure, le stesse angosce, non rassicurano di certo il bambino, però gli permettono di prendere una certa distanza rispetto a quelle situazioni. Il bambino è attento e cerca dei punti di confronto con i turbamenti quotidiani che l’opprimono. Sì, mi interessa tantissimo ricercare la realtà e utilizzarla in modo utile. Mi sembra di star facendo un’opera educativa.
Definire la voce dei personaggi è importante per la loro creazione?
Sì, perché sono loro che raccordano il film alla realtà. Aiutano gli animatori a trovare i gesti e le espressioni giuste. Ma a volte capita anche che pensando a una voce, quindi a un attore, riesco a meglio definire il personaggio. Gli attori mi parlano in segreto… Per esempio, non riuscivo a togliermi dalla testa la personalità di Michel Galabru mentre scrivevo i dialoghi di uno degli elefanti del film. Quando ho dovuto scegliere gli interpreti, è stata una gioia poter associare Michel. L’umorismo, la truculenza, il gioco, la musicalità immaginata da tanto tempo, tutto era lì, fantastico! Michel Piccoli, ha dato la voce al patriarca, Anouk Grinberg, sconvolgente, Jacques Higelin, il vecchio leone diplomatico, Romain Bouteill, il lupo scorbutico, Manuela Gourari, la perfetta tontolona, Luis Rego, il dolce pazzo, Laurentine Milebo, la mama affettuosa, Jacques Ramade, il porcellino convulsivo, e ancora Annie Girardot, Liliane Rovere, Pef dei Robins des Bois, Bernard Bouillon.… mi hanno tutti dato una soddisfazione enorme nel concretizzare il film, con una precisione maniacale, senza mai frenare la mia immaginazione. Ricordo anche la partecipazione di due bambini che dall’alto dei loro nove e dieci anni, grazie a una concentrazione e a un lavoro enormi, sono stati gli interpreti perfetti dei ruoli principali.
Di che genere è la sua collaborazione con il compositore Serge Besset ?
Lavoro con Serge da venticinque anni, è importante! Ho molta stima e affetto per questo ragazzo un po’ “sui genersis” nella vita e nel lavoro. Non è sempre facile seguirlo, ma col tempo ho imparato. Oggi, ci capiamo quasi al volo. Per “La profezia delle rane” abbiamo programmato il lavoro di composizione in tre fasi. La prima mentre scrivevamo la sceneggiatura: in questa fase Serge ha immaginato liberamente un certo numero di temi musicali. La seconda durante la fabbricazione delle immagini, abbiamo esaminato insieme con attenzione ogni pezzo, ogni tempo, ogni colore, per trovare il modo migliore di inserirla nella storia. In un terzo tempo, Serge ha portato a termine le composizioni a partire dal film montato, prima di passare alla registrazione definitiva dell’orchestra. Per quanto mi riguarda, ho scritto e composto alcune canzoni per Michel Piccoli. Che io sappia era la prima volta che l’attore si cimentava nella canzonetta.
Lei stesso ha insistito perché alcuni strumenti fossero presenti?
La musica sinfonica mi fa provare sentimenti forti. I violini suscitano in me una vera propria reazione fisica, gli ottoni mi trafiggono, il fagotto mi fa piangere… Per spezzare la meccanica troppo classica dell’orchestra ho in effetti chiesto a Serge d’introdurre quattro strumenti antichi: una ghironda a ruota, dei pipa, un sitar indiano e un “duduk”, una specie di oboe usato dagli Armeni e dai Turchi. Serge ha saputo integrare a meraviglia questi strumenti e la nostra idea di dare alla musica del film un’aria planetaria è riuscita. Quello che apprezzo di Serge è che mette veramente la sua musica al servizio del film. La sua musica è sempre presente, al posto giusto senza forzature, a volte prende le cose in contropiede, di sorpresa, in modo inaspettato. Fa parte dei ruoli principali.
Quanto ci è voluto per realizzare il film?
La produzione è iniziata nel 1998, il secolo scorso. Un milione di disegni, ce ne vuole di tempo! Nel migliore dei casi, il film è andato avanti di otto, dieci secondi al giorno. Nonostante la squadra fosse composta da duecento persone e fosse dotata di adeguati mezzi tecnici, la dimensione tempo è stata pesante: in totale, un’avventura e un cantiere di sei anni, senza interruzioni.
Oggi è facile fare un film interamente in Francia ?
Questo è il miracolo della Folimage! La sua grande forza è quella di avere uno degli ultimi studio completi in Europa. Mai uno studio francese si era lanciato in un’impresa simile da “Le roi et l’oiseau” di Paul Grimault, vent’anni fa. Folimage ha raccolto la sfida con una squadra affiatata e appassionata, riunita sotto lo stesso tetto, condizione indispensabile per esercitare un controllo artistico totale del film.