Regia: Jennifer Abbott e Mark Achab
Sceneggiatura: Joel Bakan e Mark Achab
Tratto dal libro di Joel Bakan

Le corporations del titolo sono le imprese che, divenute dei colossi finanziari, si accingono a detta degli autori a dominare il mondo adottando un modello fondamentalmente dittatoriale, come fecero nel passato la Chiesa, le Monarchie o il Partito Comunista.
Queste innumerevoli e temibili imprese influenzano le nostre abitudini, impongono stili di vita, modelli ai quali ispirarsi, obiettivi da raggiungere, attraverso una strategia studiata a tavolino, nei minimi dettagli, da strapagate equipes di esperti e psicologi.

Il film non svela niente di particolarmente nuovo: le multinazionali che producono nel terzo moddo e pagano la manodopera, ad unità di capo, tre decimi dell’un per cento del valore di vendita del prodotto (impressionante solo a dirsi), le collusioni con la politica e con gli ambienti criminali, sino a mostrare l’appoggio che i grandi imprenditori diedero al fascismo italiano prima, al nazismo hitleriano poi. Anche la strategia dell’assuefazione ai modelli imposti da mass media e pubblicità, operata a tutto campo per crescere una generazioni di sudditi più docili e dunque più manipolabili dal potere, è storia antica. Il saggio che conclude Il nuovo mondo di Aldous Huxley parla proprio dei due modi per instaurare una dittatura: quello autoritario e violento (che utilizzò ad esempio il comunismo stalinista) e quello dell’assuefazione della democrazia attraverso il lento e graduale ottenimento del consenso popolare[1], proprio come fanno ora le Corporations. Dunque mi sento di consigliare vivamente il film a chi è a corto di queste conoscenze, chi invece legge abitualmente Bertrand Russell si astenga, non avrà nessuna informazione particolarmente preziosa.
Del resto, un’operazione del genere era stata “pompata” parecchio anche sul versante letterario, all’uscita di No Logo di Naomi Klein, la cosiddetta “bibbia del movimento NoGlobal”, ed infatti la Klein ha collaborato alla realizzazione del film, assieme al “rè” dei documentari Michael Moore.

The corporation è costruito su di un impianto tradizionale, con lunghe interviste inframezzate da immagini di repertorio tratte da telegiornali, o da reportages, oppure, ed è uno degli elementi più originali dell’operazione, da inserti cinematografici. Esilarante è la scena in cui un potente a capo di una multinazionale decide di andare per la prima volta in Australia, dove sorgono gli impianti di produzione della sua azienda, ma per vedere una partita di tennis, e viene mostrata la sequenza di Delitto per delitto di sir Alfred nella quale i protagonisti assistono ad un match tennistico.
La stagione odierna è particolarmente fertile di documentari, ed avendo vinto premi prestigiosi al Sundance ed al festival di Toronto ci aspettavamo un plusvalore dal punto di vista cinematografico, ma così non è. Le immagini si susseguono scadenzate magari da un buon montaggio, ma si tratta di un documentario puro e dall’impianto televisivo, completamente incentrato sui contenuti e poco attento all’originalità della messa in scena (perché premiarlo allora ad un festival cinematografico?), lontano anni luce dal Bowling a Colombine di Moore che pure viene ripreso in parte nel film.

Certamente, poi, se fosse per me lo proietterei in tutte le scuole di tutti i paesi occidentali, anche se il finale con Moore (ancora lui!) che esalta l’importanza di operazioni come queste per influenzare l’opinione pubblica, dopo la vittoria di Bush, ci lascia decisamente con l’amaro in bocca.

Mauro Tagliabue

[1] Si tratta de “Ritorno al nuovo mondo” pubblicato nel 1961 da Huxley a trent’anni di distanza dalla sua opera più celebre, Il mondo nuovo (Brave new world) del 1932 e pubblicato appunto a chiusura del romanzo nell’edizione più diffusa in Italia, quella di Mondadori.