Regia: Patrice Leconte
Sceneggiatura: Jerome Tonnerre
Fotografia: Eduardo Serra Montaggio: Joelle Hacge
Musiche: Pascale Esteve Scenografia: Ivan Maussian
Cast: Fabrice Luchini, Sandrine Bonnaire, Michel Duchaussay, Anne Brochet, Gilbert Melki, Laurent Gamelon

Raffinato e intellettuale, ironico e colto, lieve e romantico, l’ultimo film di Patrice Leconte coglie nel segno, nonostante la complessità del tema affrontato. Come spesso nella vita, è la casualità a determinare i percorsi esistenziali: una giovane donna sbaglia porta e confida i segreti coniugali più intimi a un commercialista invece che all’analista presso cui aveva preso appuntamento. Tra i due si instaura fin da subito una complicità profonda (transfert e controtransfert?), dovuta alle rispettive e speculari solitudini. Il dialogo intimo che si produce riporta entrambi alla vita, divenuta mera sopravvivenza. L’autentico analista non manca di aiutare e sostenere William nella parte di improvvisato terapeuta, elargendogli consigli non senza il dovuto tornaconto economico.
Il film parla della solitudine dei tempi moderni, solitudine che si annida nelle case e che congela il talamo. Una solitudine tanto esasperata da farci accettare l’inaccettabile, pur di avere l’illusione di una presenza al nostro fianco. Parla della solitudine di chi fra noi si difende lavorando sempre, anche la domenica, per far passare il tempo, per non accorgersi del silenzio che si è fatto attorno. Parla del bisogno che abbiamo di comunicare, anche a pagamento, per sentirci finalmente ascoltati e compresi e amati. Parla del miracolo della psicoanalisi che si compie in virtù della sola parola, che guarisce e sana le ferite anche più remote.
Il tutto però con leggerezza sublime e senza scarti. Il film mantiene una tensione costante, dall’inizio alla fine, senza picchi e senza avvalli. Lo spettatore è preso dolcemente per mano nel ruolo classico di voyeur e ascolta e guarda. E impara che non è mai troppo tardi per amare. Che le parole tutte hanno un peso. Che c’è sempre posto e tempo per scelte anche radicali ma sane e felici. Che il cinema, proprio quando sembra naturale, ha dietro anni e anni di studio e di applicazione. Che la vita è bella, nonostante.

Mariella Minna

SINOSSI

Anna, avendo sbagliato porta, finisce per raccontare i suoi problemi matrimoniali a un consulente finanziario, William Faber.
Colpito dal suo stato d’animo e anche un po’ intrigato, Faber non ha il coraggio di rivelare ad Anna che in realtà non è uno psichiatra.
Incontro dopo incontro, si instaura tra di loro uno strano rituale. William è colpito dalla giovane donna e ascolta rapito i segreti che gli altri uomini non conosceranno mai. E Anna? Chi è veramente? Ed è possibile che non si sia accorta di nulla?
Lo strano rapporto tra i due continua ad evolversi.
Anna e William cominciano a mettere in discussione tutto, le loro vite, le persone che amano.
Ognuno, grazie all’altro, guarda alla propria vita con uno sguardo diverso, senza avere alcuna idea di cosa succederà…

INTERVISTA A PATRICE LECONTE

Mi racconti come è nato il progetto.

I produttori Alain Sarde e Christine Gozlan mi hanno fatto leggere una cosa che Jérôme Tonnerre stava scrivendo. Era una storia di trenta pagine che mi ha veramente entusiasmato. Ho subito pensato che c’erano tutte le premesse per un thriller sentimentale. La storia comincia con uno scambio di identità e poi si evolve in un intreccio che sta a metà tra mistero e desiderio. La storia mi ha ispirato. A quel punto ho cominciato a lavorare all’adattamento con Jérôme. La pensavamo tutti e due allo stesso modo.

Quali sono le parti che l’ hanno colpita in modo particolare?

E’ un incontro inusuale che è, allo stesso tempo, stupefacente e intimo. I due protagonisti si aprono lentamente, un po’ alla volta. Questo vale soprattutto per Anna, il personaggio interpretato da Sandrine Bonnaire. Mi piace che ci venga voglia di scoprire chi si nasconde dietro questa giovane donna. E’ infelice? E’ disillusa? Tutto è possibile, potrebbe avere problemi enormi o semplicemente potrebbe cercare di manipolare William.

Dirigere un film e degli attori pensando a tutte queste cose è un lavoro affascinante. Devi giocare con le apparenze, lasciare spazio al dubbio.

Mentre scrivevate, avevate già pensato a quali attori avreste utilizzato?

No, avevamo immaginato William e Anna senza sapere chi avremmo scelto. Naturalmente avevamo parlato di qualche nome, ma avevamo rimandato la decisione a un secondo momento.

A volte gli attori sono fonte di ispirazione, ma per questo film abbiamo scritto per i personaggi e non per gli attori. La cosa straordinaria è che quando abbiamo finito il film, ci siamo detti “Chi altri avrebbe potuto interpretare questi ruoli, se non Sandrine Bonnaire e Fabrice Luchini?” Si sono imposti. Hanno fatto sì che i personaggi fossero reali, con tutti i loro problemi e le loro ansie!

Come siete arrivati a loro?

Conoscevo Sandrine Bonnaire fin dai tempi de L’insolito caso di Mr. Hire e stavo aspettando l’opportunità di poter lavorare ancora con lei. Appena abbiamo completato la sceneggiatura, la scelta è caduta su di lei. Ha accettato subito. Anna è diversa, ambigua, cruda anche. Abbiamo la possibilità di vedere Sandrine sotto un’altra luce. Con Fabrice Luchini è stato diverso. Lo conoscevo solo da spettatore. Alain Sarde e Christine Gozlan mi hanno suggerito il suo nome e io ho pensato fosse un’idea meravigliosa.

E’ un ruolo piuttosto nuovo per lui, più intenso, in cui si espone di più …

In questo film non è molto diverso da com’è nella vita, ma rivela una certa umanità, una fragilità e dei sentimenti inaspettati. Per quello che ne so io non abbiamo mai visto Sandrine né Fabrice così prima. Quando Sandrine, nel ruolo di Anna, dice quelle cose così crude, con quella disinvoltura incredibile e una sorta di calma angelica, sono scene davvero forti. Diventa disturbante. Lui non dovrebbe averla sentita e il suo mondo non è più lo stesso, comincia a mettere tutto in discussione.

Si aggira su un terreno a lui sconosciuto: il luogo dei segreti delle donne. Questo è un altro aspetto che mi è piaciuto affrontare.

Sandrine Bonnaire e Fabrice Luchini sono una coppia piuttosto sorprendente. Come hanno lavorato insieme?

Io avevo in mente un incontro di due opposti. Due attori che provengono da famiglie diverse che semplicemente non sono fatti per stare insieme. Se lei avesse scelto la porta sbagliata, non si sarebbero mai incontrati! E questo è esattamente quello di cui parla il film!Anna non avrebbe mai dovuto incontrare William e Sandrine potrebbe non aver mai incontrato Fabrice. Avevano moltissimo rispetto l’uno per l’altra, ma ognuno andava dritto per la sua strada. Nel film ci sono momenti in cui si incontrano, ma poi vengono fuori le differenze, le dissonanze, come risultato dei loro personaggi. Per un regista è una cosa bellissima.

Il suo film gioca sull’attesa dei due personaggi…

Questo, credo, è ciò che ne fa un thriller sentimentale. Mistero, incertezza, paura, dubbio e suspense, tutto costruito sulle emozioni. Non voglio dire che è una storia d’amore, perché è più perversa, più atipica e allo stesso tempo platonica. Mi piace diluire nel tempo le aspettative. Per me la cosa più bella da filmare, la parte più toccante, è il preludio, quello che “succede prima”. Non si tratta di pudore virginale, si tratta solo di stare attenti, di avere rispetto, di ritardare “il momento in cui…”. In questo caso sopra le loro teste aleggia un certo tipo di desiderio, un problema di cui sono sempre più coscienti. Ci accorgiamo quando cominciano a innamorarsi. Quando gli attori riescono a trasmettere queste sensazioni, non è semplice da filmare.

Ci sono dei ruoli forti anche per gli attori non protagonisti.

Avevo già lavorato con Michel Duchaussay ne La veuve de Saint Pierre e sono stato contento di lavorare ancora con lui. E’ stato fantastico nel ruolo dello psichiatra. Più di tutti mi piace Anne Brochet. Il suo personaggio, Jeanne, non era facile. Se c’è una persona che da questa avventura non ha cavato niente, è stata proprio lei. E’ veramente incredibile. Hélène Surgère interpreta la signora Mulon, la brava segretaria fedele, che è passata di padre in figlio e che conosce la casa come il palmo della sua mano. Porta al personaggio quella giusta nota materna.

Il personaggio interpretato da Gilbert Melki, che è molto importante perché Anna fa sempre riferimento a lui, ha solo due scene in cui si esprime a pieno. L’attore non si può permettere passi falsi. Gilbert Melki è stato esemplare. Mi ricordo che a un certo punto aveva un’espressione scura, profonda e terribile e poi allo stesso tempo esprimeva una fragilità totale.

C’è un’immagine delle riprese che le è rimasta impressa?

Ce ne sono molte e quelle più strane sono sempre legate agli attori. Sono stato fortunato a lavorare spesso con attori bravi che hanno fatto per me un lavoro straordinario. E lo ripeto per l’ennesima volta, lavorare a stretto contatto con Sandrine e Fabrice è stato un vero piacere. La loro generosità, la loro capacità di fare sempre la cosa giusta mi hanno sconvolto. Sono sempre io a decidere le inquadrature e credo che questo porti gli attori a dare ancora di più. Si instaura un rapporto quasi sensuale. Quando preparo le scene, ho la sensazione di essere anch’io un personaggio, un attore virtuale, un testimone in prima persona. Gridare “stop” per trovarmi poi faccia a faccia con le persone che stanno dando vita alla mia storia…non ha prezzo.