Una piramide sopra i cieli di New York, una divinita’ in cerca del tramite di un corpo umano per riprodursi, un serial killer all’opera per le strade della metropoli, un sovversivo dissidente scongelato, una ragazza dalla pelle diafana e dal corpo in misterioso divenire, una dottoressa che fa strani esami, mutanti e umani in difficile convivenza. Il fumettista Enki Bilal (nato a Belgrado ma parigino d’adozione), al terzo lungometraggio, mette in scena le sue tavole disegnate e costruisce un universo futuro (la vicenda e’ ambientata nel 2095) in cui fondali digitali, personaggi di sintesi e attori in carne ed ossa convivono in precario equilibrio. L’operazione, apprezzabile per il coraggio del regista di sperimentare e per la capacita’ di dare corpo alla sua personale visione, ha pero’ evidenti limiti, sia estetici che di contenuto. La storia infatti, inutilmente complicata e frammentata, procede senza mordente e priva di tensione.
Ogni ostacolo trova, nella piatta sceneggiatura dello stesso Bilal, immediato superamento: la divinita’ cerca una donna con rarissimi requisiti e la trova al primo colpo, viene spedito dai “cattivi” un anfibio gigante per uccidere i “buoni” e al primo scontro il mostrone viene ucciso, e cosi’ via. Le dinamiche dell’azione non poggiano neanche su personaggi sufficientemente interessanti. Ognuno ha il suo dettaglio ricco di fascino (una lacrima blu, una testa di falco, un piede d’acciaio) e la sua forte motivazione, ma la caratterizzazione non gode di quelle preziose sfumature in grado di uscire dalla meccanica causa – effetto e di regalare verita’ all’azione. Perdipiu’ non si va oltre il solito conflitto basato sulla diversita’, e l’amore come facile, ma improbabile, punto di arrivo. Nemmeno l’occhio gode come vorrebbe: le enormi scenografie digitali, in cui la tecnologia del futuro e’ immersa in un’atmosfera di decadenza post-industriale dal vago sapore retro’, e’ vecchia come il cucco, i costumi continuano a saccheggiare la saga dei fratelli Wachowski, e la commistione tra pixel e carne (una sorta di “Chi ha incastrato Roger Rabbit” al contrario) ha effetti soprattutto di gelido straniamento. Poco originale anche la New York a piu’ livelli, con intrecci di strade sospese nel vuoto, ma a difesa di Bilal bisogna riconoscere che e’ grazie al suo contributo visionario che astromobili colorate sfrecciano nel vuoto della megalopoli de “Il quinto elemento”. Sfida il ridicolo, invece, e perde la scommessa nonostante il consueto charme, Charlotte Rampling in camice bianco e parrucchino laminato da ballerina di Charleston.
Luca Baroncini (da www.spietati.it)